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IL PERSONAGGIO

Caterina Chinnici, i silenziosi mal di pancia sulla madonna-marziana

Vecchie note e nuove perplessità: ma i dem, obbligati da Letta, fanno quadrato

Di Redazione |

Nella cristalleria dell’unanimismo di facciata, Mirello Crisafulli è come sempre un elefante di schiettezza. «Più che una festa, queste primarie stanno diventando un pranzo di famiglia». Sabato scorso, nella direzione regionale del Pd che ha incoronato Caterina Chinnici candidata alle primarie, il Barone Rosso è fra i pochi a esprimersi su «un clima che non mi aspettavo». Giudizio condiviso da altri. Tanto diffuso, seppur silenziato all’esterno, da costringere Anthony Barbagallo a ricorrere all’“l’aiuto da casa” in apertura di direzione: un intervento via Zoom di Enrico Letta, che ha chiesto – senza troppi giri di parole – al massimo organismo regionale del Pd di «esprimere un sostegno chiaro e compatto a Caterina», anche in funzione del «forte valore» del voto in Sicilia alla vigilia delle Politiche.

E così il segretario nazionale ci ha messo due pezze. Una sulle perplessità della candidata (che lo stesso Letta aveva incontrato a Bruxelles qualche ora prima), già poco convinta di sottoporsi alle primarie e fino all’ultimo tentata di tirarsi indietro senza un’investitura chiara del Pd siciliano. La seconda pezza, la più urgente, è quella sul buco di chi è contrario all’incoronazione «di cui abbiamo letto prima sui giornali». Ufficialmente nessuno, dopo il voto quasi unanime (un solo astenuto: Antonino Musca, ex segretario Gd) sollecitato dal Nazareno.

E qualcuno tira fuori un vecchio documento, risalente alla vigilia delle Europee 2019, con 165 firme in calce. Una lettera degli zingarettiani di Sicilia a Nicola Zingaretti, roba di un’era glaciale fa. Molti di loro (34 sindaci, tre deputati dell’Ars, 14 ex parlamentari nazionali e regionali, 51 segretari di circolo e alcuni provinciali) non se la ricordano. O la rinnegano. Eppure erano tutti compatti nel mettere in guardia l’allora leader da «suggestioni mediatiche di breve periodo», chiedendogli di puntare su «parlamentari uscenti che hanno mantenuto un legame saldo e continuo con il territorio». Chinnici non la prese bene, additata da chi l’ha spesso considerata «un’aliena» in un partito del quale – per legge, essendo magistrata in aspettativa – non ha mai avuto la tessera. Una che «ha preso i nostri voti» (compresi quelli, tanti, dell’allora renziano Luca Sammartino, ora leghista) e poi «non ha mai avuto un rapporto col Pd». Al netto della puzza sotto il naso di chi, nella sinistra dem, ricorda la sua esperienza da assessora di Raffaele Lombardo

Ma ora è lei la candidata. Per tradizione ex pci-dc, più per convinzione, il Pd siciliano fa quadrato. E così lo stesso Crisafulli definisce Chinnici «la migliore candidata possibile», mentre Antonello Cracolici (Rosario Filoramo, suo uomo di fiducia a Palermo, aveva lanciato la crociata contro «i figli di vittime di mafia») si allinea alla «disciplina di partito». La stessa linea finto-pacifista dell’eurodeputato Pietro Bartolo, dapprima furioso per la scelta della collega. Anche Antonio Rubino, coordinatore regionale di Left Wing, inghiotte il rospo: «Ribadiamo il massimo rispetto per Caterina», pur sempre in attesa della «convocazione del tavolo richiesto a Barbagallo per affrontare i nodi politici». Leggasi, fra l’altro, rinuncia dei due deputati eletti in consiglio comunale a Palermo (Carmelo Miceli e Peppino Lupo) per dare spazio all’orfiniano Fabio Teresi. 

L’unica a metterci la faccia è l’ex parlamentare siracusana Marika Cirone Di Marco, più che perplessa sulla scelta di affidarsi «a spalle gracili e modeste, come quelle ad esempio di Chinnici, di cui non si conoscono opinioni né tanto meno lavoro politico con i gruppi dirigenti: pure quello che potrebbe essere un valore aggiunto come donna è invisibile data la sua lontananza dalle battaglie delle siciliane e delle democratiche». Con «tutta la franchezza possibile» l’ex deputata dice a Barbagallo che «non è tempo di deleghe non è tempo di ripercorrere sentieri già battuti con Orlando, Borsellino, Finocchiaro». Cirone Di Marco viene subito rintuzzata da un documento dei dirigenti dem aretusei, che ostentano «pieno sostegno» a Chinnici. Ma sarebbe un errore derubricare la faccenda a scontro locale.

«Anche perché adesso, dopo le belle parole, bisogna mettere in campo i fatti», bisbiglia un componente della direzione. Con una metafora da Formula 1: «Il Pd, come organizzazione e forza di partito, è una Ferrari che per ora resta in garage. In pista si vede soltanto la safety-car dei franceschiniani, che fa il giro con la Chinnici a bordo». Il che, tradotto dal democratichese, significa: «La macchina operativa per cercare iscritti e votanti alle primarie non s’è ancora messa in moto». Col rischio di perdere il vantaggio sul M5S ancora senza candidato. Ma soprattutto di farsi rubare consensi da Claudio Fava, che «oggi è l’avversario da battere». Senza una struttura di partito alle spalle, ma con molte simpatie dentro il Partito democratico. Dall’area di Angelo Villari e Concetta Raia nel Catanese a tanti altri esponenti Cgil che hanno sempre votato Pd, fino al gelese Miguel Donegani e a «nuovi arrivi» che si annunciano dall’Agrigentino e dal Calatino. Tutti uniti dal no, rispettoso eppure deciso, alla madonna-marziana atterrata da Bruxelles sul pianeta Pd Sicilia.

Twitter: @MarioBarresi  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA