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LO SCENARIO POST AMMINISTRATIVE

Centrodestra Sicilia, resa dei conti sulle Regionali: l’atto di guerra dei “No Nello”

Miccichè rifiuta i complimenti di Armao e poi s’ignora con Musumeci. E riceve una telefonata dal meloniano Crosetto

Di Mario Barresi |

Tre scene. Nel giro di pochi istanti. Tutte distanti da occhi indiscreti. All’ingresso del San Paolo Palace, quartier generale di Roberto Lagalla che ha appena concluso la conferenza stampa.

Prima scena. Gianfranco Miccichè, che s’è sottratto al rito della photo opportunity con indice e medio in segno di vittoria accanto al nuovo sindaco di Palermo, sta fumando una sigaretta gongolante per le proiezioni sulla lista di Forza Italia. Arriva Gaetano Armao. Che gli porge la mano. Il leader forzista ci pensa per qualche secondo e poi arriva una stretta senza guardarsi negli occhi. «Posso farti i complimenti?», chiede con un sorriso che sprizza bon ton l’assessore regionale. Risposta di Miccichè: «Li accetto. Ma da te no, proprio non li gradisco». Armao è indignato: «Resti sempre un cafone!». E scivola via verso il parcheggio.

Seconda scena. Brevissima. E, soprattutto, muta. Subito dopo il siparietto Miccichè-Armao arriva Nello Musumeci. E il presidente dell’Ars è ancora lì a chiacchierare: la sua segretaria-ombra gli fa cenno con lo sguardo, lui si gira. Proprio mentre il governatore, allertato da un uomo della scorta della presenza istituzionale all’ingresso dell’albergo, prosegue a testa bassa. Gli sguardi s’incrociano per un decimo di secondo. Nemmeno un cenno di saluto.

Terza scena. Miccichè riceve una telefonata e si apparta, passeggiando verso la terrazza dell’hotel, che, oltre al comitato di Lagalla, ospita una kermesse nazionale di acconciatori alternativi. Il cronista sbircia sul display chi è il chiamante: Guido Crosetto, una delle eminenze grigie di Fratelli d’Italia, fra i più ascoltati da Giorgia Meloni. Più complicato ascoltare cosa si dicono i due. Fra le poche frasi di Miccichè che riusciamo a origliare, ce n’è una che colpisce: «Vabbe’ Guido, allora io faccio il bravo. Ma non più di una settimana…».

Basterebbero queste tre scene fuori dai riflettori per rendere il senso di un centrodestra siciliano che si riprender Palermo dopo l’ultimo decennio di orlandismo, ma non riesce a godersi la vittoria e ricomincia a litigare sulle Regionali.

Il primo fronte di scontro – vedasi scena numero 1- è dentro Forza Italia. Dove l’analisi dei risultati a Palermo – corroboranti, con FdI che non sfonda e la Lega che rischia di non entrare in consiglio – diventa un motivo d’orgoglio per Miccichè. Tanto più se, come fanno notare dal suo entourage, i principali rivali interni (lo stesso Armao, ma anche il potente deputato Riccardo Savona) avrebbero addirittura «appoggiato candidati di altre liste, una civica di Lagalla e l’Udc». Per questo il leader regionale scandisce: «Forza Italia ha bisogno di coesione vera, non di quella detta davanti ai giornalisti. In questa campagna elettorale non l’abbiamo avuta completamente, ci sono stati nostri uomini che si sono impegnati meno di altri per cui non c'è dubbio che un ragionamento nel partito va fatto. Far  finta che in questi ultimi tre mesi non sia successo nulla sarebbe un grande errore». Poco prima Armao aveva gioito per «un partito coeso», oltre che «generoso nei confronti della coalizione».

Ma la principale resa dei conti – vedasi scena numero 2 – è sulla scelta del candidato governatore. L’uscente e aspirante rientrante ostenta tranquillità: «Quella di Lagalla è una vittoria del governo Musumeci», sillaba appena arrivato al comitato elettorale del suo ex assessore assieme all’inseparabile Ruggero Razza. Poco prima Miccichè l’aveva ufficialmente rottamato: «Lui ricandidato? No, senza alcun dubbio: per tenere unito il centrodestra, Musumeci deve fare un passo indietro alle Regionali». Il governatore, però, non fa una grinza. E con i cronisti che gli citano l’ennesimo niet del rivale forzista, sfoggia un sorriso: «I desideri non diventano sempre diritti». E poi esplicita: «Da domani (oggi per chi legge, ndr) ci mettiamo attorno a un tavolo e in poco tempo bisogna decidere quale sarà il perimetro della coalizione. Io mi auguro che su di me, che sono ricandidato da cinque anni e mi devono ancora spiegare perché non doveri esserlo, si ritrovino le stesse forze che hanno sostenuto Lagalla».

Ma anche il governatore sa che i No Nello stanno per fare la prima mossa. Per adesso accantonata l’idea di una conferenza stampa (inizialmente ipotizzata per oggi), il fronte ostile alla ricandidatura del leader di DiventeràBellissima ha finito di limare la dichiarazione di guerra. Un documento in uscita oggi, rinviato ieri sera per comune accordo, in cui ufficializzeranno il no alla candidatura, «spiegando tutte le ragioni, che sono politiche e non personali» a Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. I firmatari del documento, non più un comunicato stampa, ma una lettera ai leader che fino a ieri pomeriggio girava nelle chat, dovrebbero essere gli stessi della nota di critica sulla nomina del musumeciano Alessandro Aricò al posto di Lagallla: oltre a Miccichè per Forza Italia, certi Nino Minardo (Lega) e Massimo Dell’Utri (Noi per l’Italia). Nella lista  l’autonomista Roberto Di Mauro, anche se Raffaele Lombardo sostiene di «non conoscere il contenuto di alcun documento». Se ci fosse il via libera dell’Mpa, a parte l’asse FdI-Db, resterebbero fuori soltanto l’Udc la Dc Nuova di Totò Cuffaro.

Nel coming out non ci sarà il nome dell’alternativa a Musumeci, ma, come Miccichè continua a ripetere, un’«apertura a qualsiasi candidato che sia di sintesi, ci unisca e ci faccia vincere». L’identikit più plausibile per le trattative future è quello dell’eurodeputato meloniano Raffaele Stancanelli, ma resta in pista il segretario regionale della Lega, Nino Minardo. Anche se Miccichè butta nella mischia altri due riferimenti: il calendiano Fabrizio Ferrandelli che veleggia sul 15% («gli telefonerò per fargli i complimenti, è un soggetto politico con cui bisogna dialogare»), ma soprattutto Cateno De Luca, che sbanca a Messina con il suo erede Federico Basile. «Il risultato più impressionante di queste amministrative, bisogna recuperarlo», osserva il coordinatore di Forza Italia. Non si sa, visto il boom sullo Stretto e i sondaggi che lo danno al 16% come aspirante governatore, quanti margini ci siano per convincerlo a un ticket con Stancanelli, l’unico davvero in buoni rapporti con l’ex sindaco di Messina. E se Matteo Salvini volesse candidare Scateno? «Tutto può succedere, dobbiamo farci trovare pronti», taglia corto Miccichè.

Resta la scena numero 3. Perché Crosetto, il gigante meloniano, chiama Miccichè proprio dopo che le agenzie hanno rilanciato il suo ennesimo no a Musumeci? Fdi replica al leader forzista per bocca di Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera: «Se noi che siamo il primo partito non facciamo gli aut aut agli altri, perché mai gli altri devono poterli fare a noi?».

Ben più aggressivo e risoluto è Ignazio La Russa: «La vittoria di Lagalla rafforza Musumeci, che è anche il candidato migliore per rintuzzare ogni strumentale provocazione sul tema dell’antimafia». Ma alcuni esponenti di FdI, ancora perplessi per la designazione del fedelissimo Aricò in un posto che Musumeci aveva assicurato ai patrioti federati per Giampiero Cannella, invitano alla calma. E suggeriscono di leggere fra le righe la dichiarazione della stessa Meloni: «Di Sicilia parleremo nelle prossime ore: ora dovremmo essere contenti. Noi abbiamo le nostre idee, ho letto delle dichiarazioni da parte di altri assolutamente fuori luogo. Non diamo aut aut, non ne diano altri». Non c’è più il «o venite con Musumeci o andiamo da soli», come testimonierebbe anche il contatto fra Crosetto e il portabandiera dei No Nello. E, mentre Berlusconi da Arcore ripete il ritornello secondo cui «si vince soltanto se restiamo uniti», qualcuno comincia davvero a pensare che il modello Lagalla possa ripetersi. Senza strappi. Ma con qualche sacrificio.

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