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L'INTERVISTA

FdI, Pogliese: «Abbiamo rinunciato alla Regione e a Palermo, ma Catania tornerà a noi»

L'ex sindaco etneo fa un bilancio della Festa del Tricolore e degli equilibri nel centrodestra con un occhio alle prossime amministrative

Di Mario Barresi |

Senatore Pogliese, la Festa regionale del Tricolore è stata più una prova muscolare o una parata della destra di governo?

«Né l’una né l’altra. Il punto fermo è che Catania è stata per tre giorni la capitale nazionale del centrodestra, con cinque ministri, tre fra viceministri e sottosegretari, i presidenti di Senato, Regione e Ars, decine di parlamentari nazionali e regionali, con oltre duemila accreditati. Un grazie al coordinatore etneo Cardillo. Un grande successo, fondato sul confronto fra una classe dirigente di qualità, radicato grazie agli amministratori locali e con i giovani sempre protagonisti».

Adesso, però, avete responsabilità di governo, a Roma e a Palermo. E i siciliani chiedono i fatti concreti.

«Li avranno, come dimostra già l’efficace intervento del ministro Urso su Lukoil. FdI sa di non poter sbagliare, i siciliani si aspettano tanto da noi».

Chi siete “voi” oggi in Sicilia?

«Guardi, quello appena finito è stato l’evento più importante di sempre, ma il format in pratica è lo stesso da quando io e Basilio Catanoso organizzammo il primo campo di formazione nel 1993 a Passo Pisciaro sull’Etna. C’erano già Marsilio e Rampelli, poi arrivò pure  una giovanissima Meloni. Ricordo un manifesto con la foto stilizzata di Borsellino e la scritta “ideali in cui credere, esempi da seguire”. Ecco, noi siamo gli stessi di allora. Con la consapevolezza della responsabilità di governo. E trent’anni di più…»

Ma alla Plaia c’erano molti saltatori sul carro del vincitore, i quali non c’entrano nulla con la vostra storia…

«Ne siamo ben  consapevoli. Stare al governo significa anche diventare attrattivi per chi non sempre è disinteressato. Giorgia è stata chiara sul tema: il partito dev’essere inclusivo, ma occhi aperti su chi fate entrare».

A proposito: com’è finita la fusione a freddo con i musumeciani?

«Io una fusione a freddo l’ho vissuta davvero: fu quella di An con Forza Italia nel Pdl. DiventeràBellissima ha riportato nel partito un 80 per cento di chi ha radici di destra. Tranne qualche caso locale, il nuovo equilibrio sta funzionando».

Non proprio, a giudicare dai veleni sulla scelta degli “assessori esterni”.

«Ci sono state fibrillazioni. E anche qualche deluso. Ma, dopo la signorilità mostrata già da Assenza, domenica sono andato ad abbracciare la Savarino che a Catania ha fatto un discorso bellissimo».

Più che la forza delle ragioni pesa un partito gerarchizzato in cui a un certo punto da Roma dicono: gli assessori sono questi, punto e basta.

«Abbiamo una struttura e una gerarchia, una leadership e un dibattito. Per questo siamo uno dei pochi veri partiti rimasti. E non siamo di plastica…».

Certo, Meloni non avrebbe mai permesso la farsa di FdI 1 e FdI 2 all’Ars. L’ha imbarazzata il duello rusticano Miccichè-Falcone sul palco?

«Non è stato uno spettacolo edificante. Avrei preferito non accadesse. I siciliani ci chiedono risposte, non volgarità o liste di sottogoverno».

Schifani, invece, era molto a suo agio. Quasi come fosse a casa sua. Sulle nomine vi ha accontentato in tutto…

«Noi siamo stati determinanti nell’indicare la sua candidatura. E ora siamo i più leali nel sostenere il suo governo, ripagando anche la correttezza del presidente sulle nomine. Per Schifani FdI è una polizza: siamo la cinghia di trasmissione fra Regione e governo nazionale, ma stiamo dimostrando un ruolo di cerniera all’interno della coalizione in Sicilia».

A Catania, però, fate già la voce grossa: rivolete il sindaco a tutti i costi…

«Rivendichiamo, con grande modestia ma altrettanta fermezza, la candidatura in quella che è stata e che tornerà a essere la più grande città amministrata da FdI. In Sicilia non abbiamo sindaci nei capoluoghi, siamo il primo partito a livello nazionale e siciliano, abbiamo rinunciato a Regione e Palermo… Continuo con la lista di ragioni oggettive?».

No. Ci dica come farà a convincere Lombardo e soprattutto Sammartino.

«Sono certo che si troverà la giusta sintesi su una candidatura unitaria».

Potrebbe rivincere Bianco, che «riflette» sul suo ritorno in campo…

«Ognuno è libero di pensare e fare ciò che vuole. Saranno i cittadini, eventualmente, a giudicare sulle intramontabili ambizioni di chi ha lasciato alla mia amministrazione oltre un miliardo e mezzo di debiti. E decideranno se rieleggere uno che fece il sindaco per la prima volta nel 1988. Quando Ronald Reagan era presidente degli Stati Uniti, Massimo Ranieri aveva vinto Sanremo con “Perdere l’amore” e c’era ancora il Muro di Berlino… Bianco è un uomo che non accetta né il trascorrere del tempo, e questo è un problema suo, né il giudizio dei catanesi, che si sono espressi bocciandolo sonoramente nel 2018».

Twitter: @MarioBarresi 

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