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Il “modello” Lagalla: a Palermo il candidato che piace a tutti, da Dell’Utri agli “acchiappavoti” più ruspanti

Il "ritratto in controluce" dell'ex rettore. Il big sponsor ad Arcore, i rapporti sul filo dell'equilibrismo con Musumeci e Miccichè. La corte di Renzi per candidarlo nel 2017 al posto di Orlando. Il primo incontro con Salvini, otto mesi fa, su iniziativa di Sammartino. E quella "fatwa" di Lentini... 

Di Mario Barresi |

Per capire il sacrificio – sovrumano – che Totò Lentini ha compiuto per «un centrodestra coeso, forte e vincente» bisogna riportare indietro il frullatore della maionese impazzita di Palermo a poco più d’un mese fa. Quando cioè Roberto Lagalla chiamò l’aspirante «sindaco del popolo» per farlo desistere in nome di «un comune progetto di rassemblement dei moderati». La risposta del candidato libero-autonomista fu inequivocabile: «Rettoooreee… La sa una cosa? Il prossimo sindaco di Palermo… massimo la terza media dovrà avere!». Seguì un eloquente silenzio. E la trattativa s’interruppe sul nascere.

Ebbene, pure Lentini alla fine ha scelto il Professore. Lui, come tutti gli altri. Candidato unico della coalizione che vuol fare tramontare il sole all’orizzonte di un impero intramontabile, quello di un altro Professore – Leoluca Orlando Cascio, Sinnocollando per il popolo  – surclassando già al primo turno Franco Miceli. L’Architetto. Additato da un altro verace avversario, il leghista Vincenzo Figuccia (santo protettore di Lsu-Asu-ex Pip), come alfiere «anche un po’ snob» di «un centrosinistra salottiero e radical chic»: Miceli, che «parlerebbe del Festino di Santa Rosalia come dell’evento in cui da bambino gustava l’escargot».

Ed eccola, la meravigliosa nemesi. Il centrodestra più ruspante – quello di Lentini e dei Figuccia’s, e di altri acchiappavoti radicati nei quartieri popolari: da Edy Tamajo a Peppe Milazzo, da Giulio Tantillo a Mimmo Russo – condiziona, fra mugugni e minacce di fuga dalle liste, la scelta finale del candidato. Ed è la gioiosa macchina da guerra che porterà a Palazzo delle Aquile l’ex rettore. Salottiero, chic (ma non radical) e pure con la erre moscia. Status fonologico che manca persino a Miceli. «Ova sono pevfetto», l’esultanza che gli attribuiscono quei geni vastasi di Lor’a dopo una (satirica) operazione arrotante.

«Ma Roberto, prima di tutto, è un democristiano». Così dicono i suoi per annacquare il pedigree socio-baronale di un candidato da sempre nelle stanze del potere. Medico (da specialista radiologo), ma soprattutto accademico (ordinario, direttore di dipartimento, rettore per due mandati) e politico. Assessore regionale, da tecnico, alla Sanità di Totò Cuffaro dal 2006 al 2008, prima di guidare l’Ateneo di Palermo, ora affidato al discepolo Massimo Midiri. Pacato, misurato, talvolta arzigogolato nei discorsi più scomodi, il Professore – oggi cavallo di Troia scelto da Giorgia Meloni per ottenere la ricandidatura di Nello Musumeci – ha sempre tenuto la barra al centro. Da Totò Vasa-Vasa (vecchio amico ora rivelatosi decisivo quanto il “Metternich di Alcamo”, alias Mimmo Turano, e il fidato Toto Cordaro, per vincere il reality di centrodestra Chi vuol essere sindaco di Palermo?) a Matteo Renzi, sempre omaggiato in ogni apparizione palermitana, fino alla proposta di correre da sindaco già nel 2017 al posto di Orlando; o contro di lui. Ma il saggio Lagalla rifiuta. Fiutando che il vento sta cambiando: fonda Idea Sicilia e si (auto)candida a governatore. Premiato per la «generosità» del passo di lato con un posto nel governo Musumeci. «Ma almeno lui il seggio all’Ars se l’è conquistato», sibilano i suoi amici con un chiaro sottinteso. E anche per la coabitazione in giunta, il Professore sfoggia il suo savoir-faire. All’inizio subisce l’invidia penis politica del governatore, che lo vede come un potenziale rivale, ma riesce a conquistare, a poco a poco, la sua fiducia. Sempre esentato dai cazziatoni riservati agli altri subordinati del “partito degli assessori”, Lagalla misura le parole. Ma sa farsi valere: «Senti, ragazzino, così non possiamo più andare avanti», la frase attribuitagli (e mai smentita) all’apice di uno scontro con Ruggero Razza sui saggi di Gaetano Armao per il Pnrr. «E quando interveniva Roberto, in giunta non volava una mosca», racconta un ex collega. 

Lagalla parla con tutti, tutti parlano con (e di) lui. Il primo a incontrarlo è Matteo Salvini, otto mesi fa, su iniziativa di Luca Sammartino, altro big sponsor a distanza. Poi lo adotta Gianfranco Miccichè, lanciandolo in pista da candidato con la tessera dell’Udc appena presa. Lo evoca Silvio Berlusconi, nel celebre vertice di Arcore, come nome «preferito». Magari dopo che Marcello Dell’Utri ha tessuto le lodi dell’ex rettore, «la persona giusta per rappresentare la città, per la sua storia, per la sua statura, non solo fisica, ma parlo di persona». E lui ringrazia. Incassa e porta a casa. Con la stessa paciosa disponibilità con cui ascolta l’ambiziosa moglie di Lentini – Paola D’Arpa, ribattezzata «la Hilary Clinton di Baida» dagli alleati più perfidi – discettare di «ruoli» e di «listino», così come non si scompone di fronte ad alcuna richiesta degli ingordi ambasciatori di partito.

Tutti lo cercano, tutti lo vogliono. «Ora dicono tutti di conoscerlo dai tempi dell’università…», smozzicano i fedelissimi. Eppure a un certo punto resta solo. La domenica del Cascio-show a Mondello medita il gran ritiro. «Statti fermo dove sei», gli consigliano. Il resto è storia recente. Dalla “mossa del cavallo” di Miccichè (ritirare Cascio e puntare sull’ex rettore per spiazzare Musumeci) alla fulminea risposta di Ignazio La Russa che adotta il candidato iper-moderato come alfiere patriota sfidando i mugugni della destra palermitana. L’ultimo miglio, la trattativa finale. Delicatissima. E vincente. Mentre il governatore si dice «felicissimo» della scelta, ieri il candidato unitario telefona a Miccichè: «Sei un animale politico», gli riconosce.  «Sono un animale. Punto», la risposta.

E ora si parla di “modello Lagalla”. A Palermo. Ma con vista sulle Regionali, pure al tavolo dell’imminente vertice nazionale. «Un candidato che unisce tutti» è lo slogan. Che piace a tutti. Da Dell’Utri e Cuffaro a Lentini e Figuccia.  Il modello gradito tanto ai musumeciani, che vogliono replicarlo alla Regione, quanto ai No-Nello, pronti a suggerire ai leader litigiosi che «ci vuole uno di sintesi, uno come Roberto», che non potrà essere il governatore uscente. Lui, il sindaco predestinato di Palermo, non si sbilancia. «Ogni giorno ha le sue spine. E le spine evidentemente si tolgono una a una cercando di toglierle il più rapidamente possibile tutte insieme», supercazzoleggia al porto interrogato sul nesso col bis di Musumeci.

Lagalla galleggia e resta a galla. Facendo tesoro dell’unico inciampo di una campagna elettorale sin qui diplomaticamente perfetta. Quel galeotto sms inviato agli amici dopo lo sblocco della trattativa con Forza Italia, sbirciato dai cronisti impertinenti sul display del cellulare di Cordaro. Lui, il centrista civico che piace ai salotti ma ha imparato a parlare alla gggente, esprime la sua esultanza con un messaggio vintage: «Il dado è tratto». E lo era davvero. Ma qualcuno – fra i più sanguigni e viscerali alleati, hater dei salotti della Palermo bene, che gli porteranno un pozzo di voti – avrebbe scritto tutt’altra cosa. Magari: «800A».

Twitter: @MarioBarresi

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