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Intervista a Enzo Trantino: «Questa destra è capace, ora un ruolo per Musumeci che ha ridato dignità alla Regione siciliana»

Lo storico leader della destra catanese: «Assessori troppo silenti di fronte al livore personale nei confronti del governatore»

Di Mario Barresi |

Avvocato Enzo Trantino, il 25 settembre sarà l’ultimo giorno del primo post missino a Palazzo d’Orléans. Una sconfitta per la destra siciliana?

«La politica è “visione”. Quando abbiamo speso le nostre migliori energie per rappresentare il progetto umano e sociale della destra non eravamo alla ricerca di vantaggi e potere. C’era solo strada in salita».

Cinque anni fa la vittoria alle Regionali. Sembra un secolo fa…

«Nel 2017 Musumeci venne eletto presidente della Regione. Alla testa di una coalizione con cui ha concordato un programma, poi realizzato in piena sintonia con i suoi assessori, senza che mai si registrassero fibrillazioni nel governo. Sono tornati gli imprenditori attratti dal nuovo e non spaventati dalla costante cronaca equivoca, incontrando un presidente noto per integrità morale, in una Regione lacerata dalle vicende giudiziarie negli ultimi decenni. È facile rimanere con le mani pulite se si tengono in tasca. Invece, opere per miliardi regolarmente appaltate, aumento del Pil dell’isola più di ogni altra regione del Sud, stabilizzazioni e assunzioni che segnavano una nuova stagione».

Ma gli alleati non l’hanno rivoluto.

«Qualcuno ha trasformato il livore personale in strumento di dissenso. E quando tutti si aspettavano il reincarico secondo una prassi sempre rispettata, è successa la storia a tutti nota, e da nessuno, se in buona fede, compresa. Non è pensabile che chi ha prodotto risultati, ponendosi come il preferito in tutti sondaggi, venga osteggiato per presunte incompatibilità di carattere. La politica spesso impone matrimoni forzati, ma in caso di separazione non è mai accaduto che a pagare fosse quello considerato “migliore” dagli elettori».

Quasi nessuno, però, ha alzato la voce indignata per difendere Musumeci…

«Mi sarei atteso maggiore coraggio da parte di chi ha condiviso l’azione di governo. Purtroppo, la politica è spesso spinta da ragioni indecifrabili, per cui il “tengo famiglia” prevale sugli interessi del popolo. E Nello rappresenta un eretico, avendo avversato questo modo di ragionare. Quella nostra è una tradizione in cui la politica non ha costituito occasione per realizzare successi personali, ma per dare riposte con un’efficace azione di governo».

Musumeci ha aderito a Fratelli d’Italia. Ma non gli è servito a ottenere la ricandidatura. Ha sbagliato qualcosa?

«Inevitabile la confluenza con Fratelli d’Italia, soggetto politico che coniuga le speranze con le certezze. Da osservatore esterno devo dare atto a Meloni e La Russa di lealtà e fermezza. Probabilmente lo stile istituzionale di Nello e la sua disponibilità a “fare un passo di lato, se divisivo”, ha rinfocolato i capricci di chi lo osteggiava rendendo più difficile la difesa a oltranza».

Prima di arrivare a Schifani molti nomi alternativi sono stati impallinati. La pallina della roulette stava per fermarsi di nuovo su Musumeci…  

«C’è stata una lunga rassegna di soggetti, purché “diversi da Musumeci”. Alla fine, quando tutto precipitava perché il maggiore partito della coalizione perdesse la calma e rompesse l’alleanza, ancora una volta una prova patriottica e si è ripiegato sulla scelta di Schifani, uomo di sicuro profilo istituzionale».

Ora Musumeci si mostra nella sua amata campagna, mentre lega «i giovani ulivi affinché crescano diritti». Una resa? O un’attesa?

«L’immagine è d’indubbio effetto simbolico, ma non basta, perché si chiede la presenza di un leader amato. Vi è una forte, fortissima assemblea che lo reclama alla testa di una battaglia, quella per tenere salda un’autentica comunità di destini. Si moltiplicano gli appelli. Nello non ha bisogno di “solidarietà”. Resta un galantuomo capace, incontaminato, irricattabile. Perciò, deve organizzare un popolo di destra ancora smarrito, confuso, deluso per tanta ingiustizia di trattamento. È tempo di verticalità».

È tempo di un posto a Roma? Meloni e La Russa non si dimenticheranno di lui.

«Io credo in Giorgia e Ignazio perché antichi compagni di viaggio, quando piegammo un mondo grasso e vile. La morale in politica non è retorica, è onorare una comunità che un comunista come Giorgio Bocca ebbe l’onesta intelligenza di descrivere: “Non sottovalutateli, sono diversi, questi ci credono”. Era vero. Era ed è decorazione permanente. E Nello, fieramente, lo sa».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA