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L’avvocato Lipera candidato a sindaco di Catania: «Questa città non può più aspettare»

«Me lo hanno chiesto in tanti: amici, conoscenti, colleghi. E lo sento come un dovere, non come un piacere».

Di Francesca Aglieri Rinella |

Sulla scrivania dello studio una clessidra per misurare il tempo. «Perchè Catania non può più aspettare». Così Giuseppe “Peppino” Lipera, catanese doc e avvocato di lungo corso, anticipa a La Sicilia e annuncia alla città la sua discesa in campo, in corsa per la carica di sindaco.

 Come nasce questa candidatura? «Me lo hanno chiesto in tanti: amici, conoscenti, colleghi. E lo sento come un dovere, non come un piacere. Ci ho pensato, ma neanche tanto e alla fine ho detto: basta mi candido! Anche perché ho visto quello che c’è in giro. In questa città non è cambiato molto. Qualcuno che si propone e che ha alle spalle gente amante del potere fine a se stesso. La città è come una casa, una famiglia. Ci sono i genitori, i figli, i nipoti, in qualche caso anche i nonni e ci si confronta, si litiga. Ma se accade – come accade alla città – che la casa sta crollando, non si può litigare. Prima sistemiamo la casa e poi torniamo a confrontarci. Qui si vive di degrado. Una città in cui ha inciso molto la mancanza di potere, di una guida e in cui vige un’anarchia assoluta». 

Una candidatura civica, ma a quali forze politiche guarda?  «Non mi interessano i partiti. Chiunque vuole appoggiarmi lo può fare, ma se pensa che in compenso avrà qualcosa se lo può dimenticare. Non ho ancora incontrato nessuno. Basta a queste persone che vogliono sempre scendere a compromessi, fare aggiustamenti, io ti appoggio però in cambio voglio questo o quello. La spazzatura, le strade, il disagio non sono problemi né di Destra, né di Sinistra. E ho pensato che se sarò eletto vorrei nominare pro sindaco Enzo Trantino, che era nel partito monarchico con mio padre e che conobbi da bambino e sappiamo che è di Destra. A Sinistra, come vicesindaco mi piacerebbe avere Giuseppe Beretta che oltre a essere il nipote dell’avvocato Andrea Scuderi è il pronipote di Giovanni Motta, uno dei più grandi penalisti avuti in città. Questo per testimoniare qual è la mia idea per restaurare questa casa, la città, che è in malora». 

Lei non è un principiante? «Le mie idee non sono nate oggi. Ricordo che scoprii Giuseppe De Felice Giuffrida circa 30 anni fa, lo scoprii per caso in una biblioteca comunale, mi appassionai, lo studiai. Lui fu quello che inventò il panificio municipale, quando la gente non si poteva compare il pane perchè i panettieri avevano aumentato il prezzo. Prese gli operai dalla manutenzione strade, andò in via D’Amico e creò il panificio municipale. E quando morì c’erano 100mila persone che gli resero omaggio al suo funerale. Aveva poche lire in tasca. Era socialista a livello nazionale, ma con Luigi Capuana, Federico De Roberto e tanti altri fondò il Movimento popolare catanese, che tentai di far rivivere nella mia esperienza come consigliere consigliere negli anni Novanta grazie a Marco Pannella e a Enzo Tortora con cui condividevo una grande amicizia. 

Dell’esperienza con Pannella, cosa porterebbe oggi? «Intanto, se dovessi essere eletto la prima cosa che farei è di intitolargli una strada. Di lui porterei il disinteresse e l’onestà. Lui diceva sempre agli eletti che noi siamo biodegradabili, io posso essere candidato nel partito x, ma se eletto sono consigliere del Comune e rappresento i cittadini. Porterei con me gli insegnamenti di un laico e di un libertario all’inverosimile. Fu lui che consentire a Tortora di essere assolto, fece sì che la sua candidatura al parlamento europeo facesse accendere i riflettori sul quel processo, una boiata pazzesca. Tant’è che fu assolto, ma ci rimise le penne». 

Lei è uomo di legge e di giustizia… «Mi sento un uomo di giustizia. La legge è una cosa, la giustizia un’altra. Questa città ha bisogno di giustizia sociale, amministrativa, economica. La cosa che mi fa soffrire è la realtà dei quartieri abbandonati. Penso a Librino per cui non è accettabile ci sia stato questo profondo disinteresse. Il Villagio Sant’Agata o Picanello vivono in uno stato di isolamento, quando invece fanno parte della città, che deve rinascere tutta». 

Le prime tre cose che farebbe? «La questione rifiuti. Non ha funzionato la rimozione dei cassonetti. Oggi dappertutto vedi buste di spazzatura davanti alla porta, perchè così vuole la legge. Torniamo ai cassonetti, poi educhiamo la gente. Secondo, i marciapiedi: è impossibile camminare a piedi senza rischiare di cadere. Non c’è manutenzione. E torniamo al discorso iniziale della casa. La compri nuova, ma dopo anni devi sempre sistemarla. Terza cosa, la cultura. È idealistico, ma bisogna fare incontrare i nobili con il popolo e arrivare a una nuova visione della città. È arrivato il momento in cui i nobili, i ricchi con gli operai e con le persone povere si mettano insieme per sistemare la casa (la città, ndr). Quando sento persone come Enzo Bianco dire come hanno ridotto questa città, dico, ma se ha fatto il sindaco quattro volte, ci vuole coraggio…».

Cosa serve per essere un buon sindaco?  «Passione e onestà devono essere la prima cosa e poi le capacità. Pietro Calamandrei diceva che lo studio legale non è altro che il pronto soccorso delle anime in pena. Io da 43 anni indosso la toga e credo di avere un certo bagaglio professionale. Sento gli umori delle persone e penso di avere un’esperienza umana per capire qual è la fame e la sete della gente che non è solo il denaro, ma il lavoro, la dignità sociale, strade pulite, ordine, sicurezza. Io sono catanese, i miei figli e i miei nipoti anche. I catanesi si debbono occupare di Catania. Io ero bambino quando corso Martiri della Libertà era com’è ora. Com’è possibile? La città non può più aspettare». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA