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Il RETROSCENA

La mossa di Batman Schifani per liberarsi del “Joker dell’Ars”: riusciranno i nostri eroi…

La pax Cav-Meloni obbliga Miccichè al compromesso Da Arcore “avviso” al governatore, poi l’alt Le sponde romane 

Di Redazione |

Ieri mattina Renato Schifani, ai pochissimi alleati a cui dà fiducia, aveva confessato di essere «un po’ preoccupato» prima dell’annunciato redde rationem in (e con) Forza Italia. Ma l’esito del vertice del suo partito – ipotizzato come un moto anti-meloniano con ripercussioni sulla Regione e finito, complice la pace di Via della Scrofa, «a tarallucci e vino» come raccontano i presenti- è,  almeno dal punto di vista formale, rassicurante.  

E dire che alla vigilia Gianfranco Miccichè  aveva rivelato a più interlocutori la chiamata che il governatore avrebbe ricevuto da Arcore nel fine settimana. «Sulle vicende regionali – è il senso del discorso attribuito a Silvio Berlusconi – decide in autonomia il partito. Che in Sicilia è Gianfranco…». Un assioma non certo gradito da Schifani, come conferma chi nelle ultime ore l’avrebbe sentito «molto infastidito, quasi turbato». L’aleggiare del Miccichè-Joker, già sperimentato da Nello Musumeci e Ruggero Razza in veste rispettivamente di Batman e Robin, può diventare un incubo. Per tutti. Anche per il compassato Schifani.

Ed è per questo che il governatore sta facendo in modo che il viceré berlusconiano di Sicilia vada a svernare a Roma. Il diretto interessato, eletto a Palazzo Madama e all’Ars,  vorrebbe restare a Palermo, con la conferma a presidente dell’Ars sempre in cima alla lista dei desideri («come ha fatto la Meloni con La Russa al Senato»), anche se ieri lo stesso Miccichè ha ammesso che «spetta a Fratelli d’Italia». In alternativa ci sarebbe il ruolo di assessore alla Salute, come più di un big forzista ha consigliato a Schifani «per tenere Gianfranco sotto controllo». Ma il governatore non ne vuole sapere: troppo rischioso. «La sanità non l’affiderà direttamente nelle mani di Gianfranco, l’ha fatto capire più volte», racconta un informato alleato. 

E dunque, potrebbe esserci un punto di caduta diverso, frutto di due fattori che s’incrociano. Il primo è legato al brusco cambio di scenario: dopo aver cavalcato l’orgoglio berlusconiano contro la «prepotente, arrogante» (e via appuntando) Giorgia Meloni, il commissario siciliano, fra i falchi più esposti a Roma con Licia Ronzulli, ha  pagato il naturale “rinculo” dovuto al cambio di strategia del Cav dopo il flop del tentato sabotaggio dell’elezione di Ignazio La Russa.

Ma Miccichè, per la sua innata tendenza a strafare, ci ha messo del suo. Con l’ipotesi dell’«appoggio esterno» di Forza Italia al governo, consegnata a un’intervista a La Stampa proprio nel giorno del vertice chiarificatore con la futura premier, sarebbe scattato il warning dall’alto: «Gianfranco, datti una calmata!». E così l’idea di creare una simbiosi fra i mal di pancia nazionali e gli equilibri alla Regione (dove Forza Italia ha comunque un ruolo paritario rispetto ai meloniani) è nata già morta. Per questo, raccontano fonti forziste, in mattinata il summit diventa già un’altra cosa: da potenziale sfogatoio anti-FdI senza Schifani a chiacchierata molto più pacata in presenza del governatore, che sarebbe stato invitato su esplicita richiesta dei vertici del partito.

E così Miccichè deve giocare sulla difensiva: rinuncia, almeno a parole, a qualsiasi ambizione sullo scranno più alto di Sala d’Ercole e patteggia con Schifani la «sintesi comune» sui quattro assessori che il partito rivendica, compresa ovviamente la Salute. «Ma i nomi al presidente li darà il partito, cioè Gianfranco», scandisce un deputato miccicheiano. Ammettendo che «Renato potrà comunque sollevare delle controdeduzioni, ma motivate».

Questa è la quadra sulla parte azzurra di giunta. Il che sottende la possibile via d’uscita dallo scontro fra i due: Schifani potrebbe accettare «in linea di massima» i nomi forniti dal leader forzista. Magari soltanto tre, perché il quarto avrebbe il profilo di «un tecnico di fiducia del presidente», che non a caso ieri ha comunicato al suo partito l’intenzione di volersi «riservare le deleghe sull’Energia». E ciò avrebbe un preciso incastro con il piano di «uscita di scena con onore» di Miccichè, alla quale il nuovo inquilino di Palazzo d’Orléans sta lavorando con interlocutori nazionali, non soltanto forzisti. Un «ruolo di prestigio» a Roma per Miccichè. Sondata l’ipotesi di un posto nel governo: gelo polare dei meloniani;  molto complicata, dopo i recenti veleni, anche la carica  di capogruppo forzista a Palazzo Madama, per la quale il diretto interessato era stato pure sondato una decina di giorni fa; e allora l’ipotesi che gira vorticosamente in queste ore fra Roma e Palermo è che Miccichè possa fare il vicepresidente del Senato. «Così siamo tutti felici, tranquilli e soddisfatti», chiosa un deputato regionale non certo allineato.

Basandosi su questa prospettiva, ma soprattutto sui buoni propositi emersi dal summit di ieri, Schifani sblocca comunque alcuni impegni lasciati in sospeso nella sua agenda. A partire dal resto delle “consultazioni”:  ieri i primi contatti, oggi il governatore  concorderà con Totò Cuffaro e con Raffaele Lombardo la data dei vertici bilaterali con Nuova Dc e Autonomisti; probabile (ma non indispensabile, dopo il faccia a faccia col segretario regionale Nino Minardo) un incontro con l’intera delegazione della Lega. Contatto informale anche con i vertici siciliani di FdI per un «appuntamento in settimana». Il governatore, da oggi, può dedicarsi anche al “risiko” della giunta. Tirando un sospiro di sollievo. Momentaneo e sfuggente, come qualsiasi cosa in cui ci sia di mezzo Miccichè.

Twitter: @MarioBarresi

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