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IL RACCONTO

Lagalla “prigioniero” della questione morale: «Ma io quei voti li rifiuto tutti»

Il distinguo di Maria Falcone, le accuse di Calenda. E il siparietto col mancato elettore di sinistra

Di Mario Barresi |

«La mia storia parla da sola: non mi faccio dare lezioni di etica da nessuno», ripete quasi fosse  una  segreteria telefonica che risponde a chi lo chiama in causa sulla questione moral-mafiosa. Eppure, qualsiasi cosa faccia, comunque  sbaglia. Roberto Lagalla è ormai prigioniero del personaggio del “candidato opaco”. Triste, solitario y final, come un enorme gorilla ferito, quando in serata, alle 20,50, si reca all’Albero di Giovanni Falcone. Un paio di minuti in silenzio, lo sguardo a un paio di bigliettini lasciati dalle scolaresche, nessun commento neppure con i più fidati membri dello staff, prima di correre a a Santa Maria di Gesù. E lì, a margine dell’ultimo incontro elettorale della giornata, ci dice: «Spero di non doverlo ripetere più: quei voti, io, non li cerco: anzi li rifiuto con chiarezza sin da ora. Chiunque s’è messo in testa di sostenere me o qualsiasi  mia lista per  proporre patti scellerati sarà accompagnato alla porta, e in caso d’insistenza direttamente in Procura».    

Ma l’appoggio esplicito dei condannati per mafia è diventato un ingombrante  scheletro nell’armadio del candidato sindaco del centrodestra a Palermo. Lagalla convoca una conferenza stampa, all’indomani dell’assenza alle manifestazioni per il trentennale di Capaci (se ci fosse andato sarebbe stato contestato) e prova a chiarire: «Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri non sono ispiratori della mia candidatura, non ritengo che debba dire altro». L’ex rettore torna sui veleni del 23 Maggio: Maria Falcone «ha condiviso con me che quella fosse la migliore scelta».   

Polemica archiviata? Macché. Lunedì sui profili social di Lagalla era apparsa una “card” con la foto della sorella di Giovanni Falcone e una frase virgolettata: «Lagalla è stato un ottimo amministratore».  Peccato che la diretta interessata, in tempo reale, esca allo scoperto con una precisazione al vetriolo: «Trovo poco gradevole il post», scandisce la professoressa, che parla di «frase estrapolata da un discorso ben più ampio» diventata «un mio endorsment alla sua campagna elettorale, cosa che non era affatto». Era una citazione del recente passato, quando i due hanno avuto rapporti istituzionali nei rispettivi ruoli di assessore regionale all’Istruzione e di presidente della fondazione Falcone, “apostola” di legalità anche nelle scuole siciliane. Tant’è che il  diretto interessato rafforza il concetto davanti ai giornalisti: «Chi ha parlato di endorsement? Mi ha fatto piacere sentire dalla Falcone che mi consideri un ottimo amministratore». 

Anche i  big nazionali ieri in città si cimentano nello sport ormai più praticato a Palermo: il tiro al Lagalla. L’ex ministro dem Francesco Boccia rincara la dose: «È un signore che con la sua assenza ha deciso da che parte stare». E Carlo Calenda: «Di lui non me ne può fregare di meno, non lo conosco. So che Lagalla è semplicemente Micciché, Cuffaro,  Romano e Dell’Utri. Si possono mettere insieme quattro persone così e pensare di gestire Palermo in modo credibile e autonomo?». Il leader di Azione premia invece Raffaele Lombardo come «il migliore governatore, per il resto c'è stato un disastro epocale». Il suo candidato,  Fabrizio Ferrandelli, fa ammenda: il sostegno di Cuffaro, da aspirante sindaco nel 2017, «fu un errore». L’ex governatore si sciacqua la bocca: «Scegliere di inquinare un solenne giorno di memoria con uno squallido spettacolo politico da campagna elettorale  è stato a mio modesto parere disgustoso». Cuffaro ironizza sull’attacco di Pif: «Può tenere il suo animo disteso perché normalmente io querelo le persone non “i pif”…».

Un melmoso pozzo senza fondo. Lagalla invita a guardare oltre: «Credo che da oggi sia venuto il momento di parlare dei problemi di questa città». Ma per chi conosce l’ex rettore – a cui c’è chi consiglia di non rispondere più sul tema mafia – «è diventata una questione d’onore». Sembra nervoso, ossessionato da una lettera scarlatta che non potrà scrollarsi di dosso. Per Pagnoncelli sul Corriere sarà testa a testa con Franco Miceli (39.9% contro 37,4%, con Ferrandelli al 10%), ma quasi tutti gli altri sondaggi danno il candidato di centrodestra ha il vento in poppa: Demopolis, per Otto e mezzo lo dà  l’ex rettore «in netto vantaggio, verso l’elezione al primo turno».

Né lo solleva il siparietto colto dall’Ansa a “La Cubana”,  un bar-ristorante di via Pitrè in cui il candidato si ferma per la pausa pranzo. «Professore Lagalla… lei è stato il rettore migliore che abbiamo avuto a Palermo negli ultimi anni», lo lusinga  un avventore che lascia la pastasciutta. Poi gli confessa: «Io sono di sinistra, quindi non la posso votare… però, mi creda, lo dico da docente». Lui si bea: «Grazie… apprezzo molto». E il mancato elettore conclude: «Deve sapere, professore, che proprio per togliermi dall’imbarazzo nei giorni delle elezioni partirò:  sarò in Austria, me ne vado proprio perché non posso votarla, sono e rimango di sinistra». Lagalla sorride e gli stringe la mano. Riflessione a margine della scenetta (pur statisticamente insignificante): perché il docente palermitano di sinistra il 12 giugno ha deciso di espatriare in vacanza, anziché votare per Franco Miceli? La risposta alla domanda è il “Codice Da Vinci”  di quest’avvelenata campagna elettorale.

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