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Micciché: «Niente Roma, resto a Palermo». Il “Punto G” che turba Schifani

Il commissario di Forza Italia conferma la rinuncia al Senato. «Sarò al fianco del presidente». Ma vuole un ruolo. O sarà Donbass. Fallita la moral suasion sul Cav, Schifani si ritrova con l’ingombrante leader a Palermo. E “Scateno” «Noi lo sosteremmo» 

Di Mario Barresi |

Vogliono sapere dov’è e soprattutto dove sarà. Lo cercano tutti. Ma non è così difficile trovarlo, questo “punto G”. G come Gianfranco. Sì, perché quando in mattinata Miccichè sta per salire sull’aereo Palermo-Roma (destinazione finale: Palazzo Madama, dove si dovrà votare per i vicepresidenti), ha già chiaro in testa tutto: «Non avrò alcuna carica in Senato, e non perché il mio partito non me ne vuole dare. Ma ve lo immaginate, io sotto La Russa…? Il presidente Berlusconi, fino a qualche ora fa, chiedeva: ma Gianfranco cosa vuole fare? E io l’ho detto chiaro a tutti: resto in Sicilia, resto al fianco del presidente Schifani, che è del nostro partito». 

È tornato. Anche se, in fondo, non se n’è mai andato. Il che, per il governatore appena insediato, può essere una polizza sulla vita, nonostante il leader regionale prometta minaccioso che «resto con Schifani fino alla morte». Ma può essere anche una minacciosa fatwa sul quinquennio che è appena cominciato. Miccichè fa un viaggio di andata e ritorno in giornata. «A Roma non ho davvero nulla da fare», chiarisce ai suoi. Ai quali confessa la lunga telefonata mattutina con Licia Ronzulli, capogruppo al Senato e aspirante prossima coordinatrice del partito. Ma soprattutto sua sodale nell’ala forzista più disinibita contro lo schiacciamento patriota. «Che vuoi fare, Gianfranco?», è la domanda-mantra che rimbalza da Arcore a Palazzo Madama, fino ad arrivare a Punta Raisi. E lui a chiarire, per l’ennesima volta, che «il mio posto è in Sicilia». Nemmeno l’ipotesi, circolata nelle ultime ore, di un posto last minute di sottosegretario (ammesso e non concesso che Giorgia Meloni sia disposta a darglielo) convince Miccichè a desistere dalla sua destinazione finale. Né l’ennesima telefonata di Renato Schifani, destinatario quel “335” che in pochissimi possono vantarsi di avere in rubrica, cambia il corso delle cose. Il governatore – col dovuto garbo – spinge sul Cav affinché il neo-senatore palermitano resti a Roma. Una richiesta legittima, da parte di chi vuole avere mani libere a Palazzo d’Orléans.

«Ma Gianfranco vuole fare gioco di squadra, il suo contributo è importante», è il ragionamento ai piani alti di Forza Italia. Dove non è passato inosservato il messaggio di pace che il commissario regionale ha consegnato alla delegazione di eletti all’Ars, alla presenza di Schifani, nell’ultimo vertice. Ai miei ho pregato di comunicare il verbo della serenità- aggiunge il diretto interessato in un colloquio con ilsicilia.it- Avevo fatto lo stesso cinque anni fa quando fu eletto Musumeci perché se votiamo un presidente è giusto portarlo avanti. Con Musumeci però è andata diversamente con lui la guerra è finita solo quando ha deciso di andarsene». Palermo-Roma. Partenza e arrivo. Pratiche senatoriali espletate nel più breve tempo possibile. E poi subito Roma-Palermo. Mentre qualcuno del suo staff gli ricorda il video-spot montato per la campagna elettorale delle Regionali. «Resto in Sicilia perché…», la musichetta di sottofondo con immagini di lui che stringe mani, vede gente, fa cose. Poi un endorsement tratto dall’ultimo commosso intervento all’Ars dell’ex deputata grillina Gianina Ciancio: «In quest’aula ci sono tante maschere e pochi volti. E lei, presidente (dice rivolta a Miccichè) è un volto. E per questo la ringrazio…». Infine, i puntini di sospensione che riprendono la frase iniziale: «Perché amo troppo i siciliani».

E così quel video “emozionale” rifà il giro delle chat forziste. Prioprio mentre il presidente della Regione è chiuso nella sua stanza con Marco Falcone. Dopo l’incontro con i sindaci delle isole minori, una lunghissima sessione di lavoro con l’assessore uscente (e aspirante rientrante), il capo della fronda anti-Miccichè, per riallinearsi su alcuni fascicoli aperti in materia di infrastrutture e trasporti. E magari per parlare, lontani da occhi e orecchi indiscreti, di tanto altro ancora.

Il dado è tratto. «Resto in Sicilia: ormai ho deciso», è il verdetto che Miccichè comunica a esponenti di partito e alleati. Il suo posto al Senato, «al momento giusto, ma non c’è fretta», andrà alla pupilla aretusea Daniela Ternullo, quello a cui aspira Ciccio Cascio a Sala d’Ercole resterà occupato dall’ingombrante tenutario. Ma non è soltanto una questione di scranni a incastro. La scelta di Miccichè, risoluta e definitiva per quanto possa essere, apre una precisa questione a Palazzo d’Orléans, in Forza Italia e nel centrodestra siciliano. A partire dal dossier sulla nuova giunta. «Ci saranno delle regole da rispettare…», scandisce il viceré berlusconiano lasciandosi sfuggire una risatina prima di zittirsi in un inconsueto moto di autocensura. Nel non detto c’è il ruolo che spetta al leader regionale del partito che ha espresso, pur non avendolo scelto, il presidente della Regione. Il sogno proibito è il ritorno sullo scranno più alto di Sala d’Ercole. «Come ha fatto la Meloni con La Russa, così può essere fra Schifani e Miccichè», sostiene chi forse sottovaluta la furia vendicativa di FdI se si vedesse sfilata anche la presidenza dell’Ars dopo aver immolato Nello Musumeci sull’altare dell’unità della coalizione.

«Quelli sono pronti a scatenare l’inferno». A proposito: quel diavoletto di Cateno De Luca soffia sul fuoco. «Verifichi se sussistono le condizioni per fare di nuovo il presidente dell’Ars. Io non avrei nulla in contrario, lo appoggerei. Lo dico chiaramente. Noi, nel caso, lo appoggeremmo», scandisce beffardo a LiveSicilia. Il recente pranzo fra “Scateno” e il leader forzista («assolutamente casuale», giurano entrambi) non è passato inosservato. E Schifani «è diventato una furia, appena gliel’hanno raccontato», confessa un aspirante assessore regionale. E adesso è proprio il “modello Foti” (Angela, ex deputata, all’epoca grillina, eletta vicepresidente «a sua insaputa», con una minima parte di voti del M5S e l’appoggio di un’altra maggioranza trasversale) a turbare i sonni del centrodestra. Eppure ci sarebbe una soluzione a portata di mano. «Per sterlizzare Gianfranco, bisogna fargli fare l’assessore alla Salute», è il consiglio arrivato da più parti. Ma lui, il presidente che sostiene di non avere ancora nemmeno aperto il dossier nuova giunai, «non ne vuole nemmeno sentire parlare». Per la sanità siciliana ha altri programmi. Diversi pure dall’alternativa proposta: la manager dell’Asp di Palermo, Daniela Faraoni.

Il bivio è lì davanti: dentro o fuori. La presidenza-tris dell’Ars o la sanità: sono le uniche condizioni del trattato di pace. Se Schifani non dovesse firmarne nemmeno una delle due, sa già a cosa va incontro. Una guerra di logoramento lunga cinque anni. Con piazza Indipendenza che tornerebbe a essere, com’è già stata per Musumeci, un viscido e inestricabile Donbass. Twitter: @MarioBarresi COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA