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VERSO LE REGIONALI

Nella notte dei ”candidati cadenti”, la carta Schifani (sotto processo) e la tentazione Miccichè

Forza Italia cerca alternative interne. E Musumeci non molla. L’opzione Russo, Minardo e la ruota

Di Mario Barresi |

Ché poi, a ben vederlo, nemmeno in questa meravigliosa notte famigerata di San Lorenzo, il cielo sopra Palermo è davvero terso. Magari cadranno pure le stelle, ma non si vede nulla; anche per colpa delle tradimentose luci artificiali della capitale della politica siciliana. Cadono, invece, i candidati del centrodestra. Quelli sì. Uno dopo l’altro, splendidi splendenti.

Nulla è come appare, nell’Isola dei Gelosi. Un reality in cui la regola d’ingaggio è non voler fare il presidente della Regione, quella  vincere è affossare tutte le altre candidature.

Così è per Stefania Prestigiacomo, incoronata da Silvio Berlusconi, sceso in campo in prima persona, e poi accettata da Matteo Salvini. Che dovrebbe essere il primo ad alzare il ditino per la peccaminosa presenza dell’ex ministra sulla Sea Watch, per lui portatrice insana di rogne giudiziarie, e invece la digerisce in nome della magica «sintesi» (altrimenti detta: non ti rompiamo più le scatole sulla Lombardia) della coalizione. Del resto, sulla nave dei migranti, in  quel tiepido giorno di gennaio del 2019, con Carola Rackete e Nicola Fratoianni, c’era anche l’allora senatrice dem Valeria Sudano, oggi portabandiera e portatrice sana di voti della Lega. Dopo lo sdoganamento del Capitano, in Sicilia è tutto un fiorire di gioiosi comunicati di sostegno a Prestigiacomo: non proprio gradita a tutta la coalizione (a partire dal suo partito), ma già subito beatificata come candidata vincente anche da chi storceva il naso. Riposizionamento spinto. Come si cambia, per sopravvivere nella giungla sicula.

«L’accordo è chiuso», esultano i No-Nello dopo la rancorosa uscita di scena del governatore uscente. Che si ritira per farsi chiedere di non ritirarsi. Nessuno glielo chiede, ma in rete è un’esplosione di hashtag #IoVotoMusumeci. E il segnale che il ColonNello non abbia davvero deposto le armi arriva, sempre via social, dai fedelissimi. «Ma si vuole vincere o perdere in Sicilia? Lo dicano con chiarezza», si chiede Ruggero Razza. « Per noi Musumeci rimane il candidato migliore, Stop!», chiosa Manlio Messina. Poi, in questa strana notte di mezz’estate, l’ondata di gelo di Giorgia Meloni: «Non volete Nello, che è il migliore? E io non accetterò mai chi è salita sulla Sea Watch». 

Prestigiacomo è bruciata. Gianfranco Miccichè e Ignazio La Russa se le danno di santa ragione. «La farneticante minaccia di Miccichè di rompere la coalizione di centrodestra in Sicilia potrebbe diventare realtà», sbotta il bellicoso ambasciatore  meloniano. Non sapendo che è proprio questa la fantasmagorica  tentazione frullante nella testa  di Gianfry. Che ha già vinto il primo tempo della sua partita (eliminare definitivamente Musumeci, almeno così pare) e sta vincendo, grazie all’ingegnoso innesco della macchina dell’orgoglio di Arcore, il secondo.  «Se il candidato è nostro e la Prestigiacomo non gli piace, che problema c’è? Lo cambiamo…», è l’utilitaristica contromossa partorita nelle stanze forziste. Dove, sempre con la “lista della spesa” (i nove candidati proposti dal commissario regionale agli alleati) sul tavolo, si deve soltanto scegliere fior da fiore.

Contatti frenetici con gli alleati più fidati, consulti interni. E due opzioni,– soprattutto ma non soltanto due – che corrispondono ad altrettante strategie opposte. La prima è lo stesso medesimo Miccichè. «La Meloni non può dire di no a tutte le nostre proposte. Se lo fa, significa che vuole rompere. E che problema c’è…». Una sfida azzardosa (e non soltanto perché l’accoglientissimo  presidente dell’Ars andò a comprare le mutande poi distribuite da Laura Boldrini ai migranti sbarcati al porto di Catania), tanto quanto suggestiva. Mentre gli sherpa della coalizione s’informano su quanto si potrà restringere il campo largo progressista. «Ma che fa il Pd? Accetta le condizioni dei grillini? Se non lo fa, vanno separati e il centrodestra può vincere anche senza Musumeci e Meloni». E la stessa cosa, magari, staranno pensando gli alleati patrioti. Un conteggio pericoloso:  con l’election day in mezzo alla casa il centrodestra non può permetterselo, neppure nell’incompresibile-incompresa Sicilia.

 E allora è meglio trovare un azzurro più tenue, più pastello: ed ecco spuntare Renato Schifani, quanto mai silenzioso in questi ultimi giorni, come “riserva della Regione”. Un nome sul quale, fanno sapere da FdI, si potrebbe discutere. Anche dimenticando – si chiedono alcuni dispettosi big della coalizione – che l’ex presidente del Senato è alla sbarra a Caltanissetta nel processo sul sistema Montante?

 Nulla è come sembra, ma anche Raffaele Lombardo – al momento giusto, quando la luna è già alta, ma non si vedono licantropi in giro  – una volta tanto non dice il contrario di ciò che vuole: «Ma perché non candidiamo Massimo Russo?». Il magistrato è l’ultimo consistente sussurro della notte, mentre il leghista Nino Minardo – la cui buona educazione non va scambiata per arrendevolezza – aspetta quatto quatto. La ruota gira, freneticamente. Se Berlusconi si tira indietro, si passa a Salvini. In entrambi i casi – Minardo o Russo – Miccichè non vincerebbe: stravincerebbe,  se riottenesse lo scranno più alto di Sala d’Ercole. 

La notte –  ancora lunghissima; dei lunghi coltelli ben affilati; senza stelle cadenti, ma con tanti candidati caduti – porterà consiglio? Non è dato saperlo. L’unica certezza è che non c’è più tanto tempo: domenica scade il termine per presentare i simboli per le Regionali. Compreso quello del “listino” del candidato presidente. Nel quale ci vuole un nome e un cognome. E non un punto interrogativo. 

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