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Per detenuti Perugia libertà è piatto gourmet

Grazie a cucina progetto "Dietro le sbarre vive la speranza"

Di Redazione |

PERUGIA, 20 SET – Il colore della libertà è anche in un piatto gourmet che 17 detenuti del carcere di Capanne, a Perugia, stanno imparando a realizzare grazie al corso di cucina organizzato con il progetto “Dietro le sbarre vive la speranza”. Spadellano, assaggiano, impiattano e sperano in una vita migliore. Lontana dai guai per cui stanno scontando la loro condanna. Il laboratorio sono i fornelli del penitenziario – sezione maschile – dove l’ANSA ha potuto seguire all’opera questa brigata che per qualche ora ha svestito i panni del carcerato e ha indossato quelli del cuoco. A guidarla c’è Catia Ciofo, una degli chef chiamati a tenere il corso per conto della cooperativa “Frontiera lavoro”. “Vedere nei loro occhi la gioia di realizzare piatti belli e buoni è qualcosa di molto appagante, ti fa capire che nella vita c’è sempre la possibilità di avere una seconda opportunità e questi ragazzi sentono di poterla cogliere”, racconta. “E sono certa – aggiunge – che al termine del corso e quando torneranno ad essere uomini liberi, potranno davvero lavorare in un ristorante”. “L’obiettivo del progetto – spiega il responsabile Luca Verdolini – è proprio quello di consentire agli allievi di intraprendere un percorso di crescita personale e professionale al termine del quale possano ambire ad una collocazione nel mercato del lavoro”. Ed esperienze in tal senso già ci sono e qualcuno degli attuali detenuti che frequentano il corso, svela che presto inizierà a lavorare in un locale del centro storico di Perugia grazie alla semilibertà. La speranza di una vita diversa da quella fin qui condotta accompagna ogni singolo gesto di ogni singolo detenuto. Federico è della periferia di Perugia ed ha solo 24 anni. “Prima di sbagliare con la vita – racconta -, facevo il pizzaiolo e il panettiere. La cucina è il mio ambito e in questi anni che mi sono rimasti di carcere voglio studiare e migliorarmi in questo settore, lo devo fare per me stesso, per la mia famiglia e soprattutto per mio figlio”.

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