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Provenzano: “Le mire della mafia sui 50 miliardi destinati alla Sicilia”

Il vicesegretario del Pd: «C’è un disegno: infiltrarsi nelle istituzioni, come hanno già tentato a Palermo. Con Musumeci l’Isola è arretrata. Con Schifani torna al passato: c’era già quando io ero alle elementari»

Di Mario Barresi |

Provenzano, lei è sempre più il front-runner del Pd in Sicilia: forse l’unico a impensierire gli avversari. Crede davvero di sovvertire i sondaggi che danno il centrodestra vincente anche alla Regione? «La campagna elettorale entra nel vivo adesso. Domani saremo con Letta, a Catania e a Palermo, al fianco di Caterina Chinnici, per l’avvio “ufficiale”. Sono i giorni decisivi. Arrivano le bollette, le spese per la scuola, gli affitti. Le famiglie soprattutto in Sicilia e al Sud non ce la fanno. Su questo dobbiamo concentrarci, su questo i cittadini scelgono. Il 40% è indeciso. Dobbiamo convincerli che non siamo tutti uguali. Parlare delle nostre proposte, con umiltà, ma anche con l’orgoglio di essere il partito che ha fatto la differenza, in questi anni, in Italia e in Europa. Alle Amministrative nei mesi scorsi abbiamo spesso ribaltato i pronostici. La partita è apertissima anche ora, in Sicilia e a Roma».

Perché è fallita l’alleanza con il M5S? Anzi, visto che  la frittata è fatta, la domanda è: perché vi siete fatti ingannare? Era chiaro da tempo che Conte non volesse più  il “campo largo con le sarde”… «Conte ha tradito un patto, non tanto con il Pd, ma con i siciliani. Dopo le primarie, è stato un vero e proprio voltafaccia. Ma i primi ad essere arrabbiati con lui sono gli eletti e gli elettori del M5S, che volevano costruire con noi un’alternativa al fallimentare governo Musumeci. Ora cerca di presentarsi come un “vero” progressista. Ha dimenticato la prima regola: non fare favori alla destra. E questa è la peggiore destra di sempre. Ecco perché noi guardiamo avanti. La sfida è tra noi e la destra. E siamo impegnati a combattere. A combattere per vincere».

Ormai è andata. E la candidata del Pd è Chinnici. Che, fra tormentate riflessioni  e ultimi scampoli di vacanze, è di fatto in campo da un paio di giorni. Non  s’è perso un mese di tempo? «Glielo ripeto, la partita è appena iniziata. Le vere divisioni sono a destra. Non si mettevano d’accordo, hanno tirato fuori all’ultimo la figura di Schifani, che era finita nel dimenticatoio: nessuno se lo ricordava più, se non per i favori a Berlusconi e per qualche guaio giudiziario tutto suo. Sono divisi su tutto. E si uniscono solo per il potere, che esercitano in modo spregiudicato, come per la nomina scandalosa a Taormina Arte o le assunzioni in sanità, dove c’è una gestione clientelare e vergognosa, a danno dei cittadini, come visto durante la pandemia».

Perché non s’è candidato  lei in prima persona a governatore? «Caterina Chinnici è la persona giusta, un’opportunità perché suscita speranze e rappresenta una storia che vanno oltre gli stessi confini del centrosinistra. È la prima donna che può diventare presidente della Regione Siciliana. Una svolta storica. Io ci sarò, mi candido alla Camera perché questa Sicilia non ha più voce a Roma. Voglio contribuire a spezzare l’isolamento politico in cui l’ha confinata la destra, mentre nella società vi è una grande vitalità che non chiede favori, ha bisogno di rappresentanza nuova».

Il centrodestra ha rottamato Musumeci con Schifani: un avversario più o meno forte del governatore uscente? «La destra porta tutta intera la responsabilità dei danni e dei fallimenti del governo Musumeci. I progetti del Pnnr bocciati, le riforme mancate, i Comuni sull’orlo del dissesto, la gestione disastrosa della pandemia, con Razza che truccava il numero dei morti, una vergogna che ha fatto il giro del mondo. La politica seria deve rendere conto di quello che fa. Noi del Pd, con me ministro, abbiamo fatto la fiscalità di vantaggio per il Sud, abbiamo istituito le Zes, fatto arrivare risorse ai comuni per i servizi e ottenuto il Pnrr. Schifani era in Parlamento quando io andavo alle elementari. Ditemi una sola cosa che ha fatto per il Sud e per la Sicilia in tutti questi anni». Con Musumeci la Sicilia è arretrata, con Schifani torna il passato».

Ricorda spesso che Schifani è imputato al processo Montante. Lo è pure Crocetta, con due assessori, nel secondo filone di un’inchiesta in cui Lumia era indagato in uno stralcio. Qual è la differenza? «La differenza è che noi abbiamo preso le distanze dall’antimafia di facciata, dall’impostura di Montante. E che abbiamo messo la lotta alla mafia come precondizione della nostra battaglia per l’economia giusta, per aumentare i salari, dare dignità al lavoro, realizzare le infrastrutture, per spingere sulla transizione ecologica e superare la gestione vergognosa e opaca di sanità e rifiuti». 

Su Schifani ha pure parlato di «ritorno al passato», facendo innervosire il centrodestra. Ma, visti gli esiti di Lagalla a Palermo, additato di “cuffarismo” e “dellutrismo” ma vincente lo stesso, non pensa che puntare sulla questione morale per sia una strategia che non paga? «La questione non è morale, è politica. Alle elezioni amministrative di Palermo abbiamo visto la mafia che cercava di entrare nelle istituzioni. Ha un disegno, vuole mettere le mani sui soldi europei. In Sicilia arriveranno circa 50 miliardi. Non possiamo permettere che un solo euro finisca alle mafie e sia distolto dalla priorità di creare lavoro buono. Non è moralismo, è una cosa molto concreta, è garantire ai giovani il diritto a restare».

E poi c’è “Scateno”. Sguaiato, politicamente scorretto, populista. Ma in forte crescita. Sarà De Luca  la vera sorpresa? «Minaccia i giornalisti, si presenta come uomo del popolo ma ha tutta l’arroganza dei potenti. È un misto di trasformismo e populismo, due mali che per la Sicilia possono essere esiziali, facendola scivolare ancora di più nell’isolamento e nell’irrilevanza».

Nel 2018 la sua rivolta contro le liste-Armageddon di Renzi divenne un simbolo nazionale di un altro Pd. Ora in Sicilia l’accusa, rivolta soprattutto al segretario Barbagallo ma in parte pure a lei, è quasi la stessa: collegi blindati, paracadutati, corpi estranei al partito, territori penalizzati. Corsi e ricorsi storici? «Ma non scherziamo! In Sicilia candidavano la figlia di Cardinale, stavolta è finito il feudalesimo. I territori sono penalizzati dalla pessima legge elettorale concepita da Renzi. Io la volevo cambiare, altri l’hanno votata. E comunque ora non sono l’unica novità nelle liste del Pd, Antonio Nicita, ad esempio, è un siracusano di straordinario valore. La destra invece candida Brambilla e Fascina, la fidanzata di Berlusconi. Persone che non hanno nulla a che vedere con la Sicilia e che non si vedranno più. Per loro, questa terra è solo un granaio di voti».

Nel Pd siciliano si prepara la resa dei conti. «Dal 26 settembre una nuova era», promettono, o se vuole minacciano, gli esponenti di un “correntone” trasversale. Barbagallo è a rischio? «La stragrande maggioranza della nostra comunità è impegnata in una bella, intensa, difficile campagna elettorale. A tutti dico, ora è tempo di combattere». Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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