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Regione, che botti! Dal fortino di Micciché alle “vacanze romane” del presidente schifato

Fuori Aula: Pagana in punta di piedi, Assenza gentleman. De Luca: «La Vardera in Antimafia»

Di Mario Barresi |

Giorgio Assenza è davvero un galantuomo d’altri tempi.  «Lasciare Fratelli d’Italia perché non mi hanno voluto come assessore? Guardi, io ho una foto con Almirante di quando avevo quindici anni… No, non me ne vado con Miccichè. Ci sono rimasto male, molte cose non le ho capite o magari le ho capite sin troppo bene. Ma non ho dove andare: il mio posto è qui…». Chissà se il deputato ibleo, dopo aver impartito questa lezione di stile nel loggiato di Palazzo dei Normanni, è fra i sei franchi tiratori che hanno impallinato Luisa Lantieri.

La forzista subisce l’onta del sorpasso di Nuccio Di Paola: 35-32, con entrambi vicepresidenti dell’Ars, ma il ruolo di vicario va al grillino. E il centrodestra «compatto e coeso» annunciato da Renato Schifani alla presentazione della giunta va subito a gambe all’aria. Lantieri non la prende bene. E, in ossequio alla parità di genere, impreca come uno scaricatore di porto. Lei che, schietta e diretta come pochi altri, da assessora di Rosario Crocetta viene ricordata per una battuta non certo politically correct, in giunta ma fuori verbale, che stroncò un’iniziativa poco chiara: «Rosario, non è che perché ti piace a te possiamo prenderla tutti in quel posto…». 

Ma tant’è. Nel giorno dello sbarco della nuova giunta all’Ars qui dentro si vive di leggende metropolitane. Come quella secondo cui Ruggero Razza, in compagnia del figlio piccolo, abbia aspettato l’insediamento della moglie Elena Pagana «dentro una macchina posteggiata in doppia fila in piazza Indipendenza». Niente di più falso: lui non c’è. E lei entra, permane ed esce dalla conferenza stampa come se non vedesse l’ora che finisca. «Ma perché non le davano l’assessorato alla Famiglia?», la feroce battuta nei confronti di una giovane ex deputata che sui banchi dell’Ars, prima col M5S e poi con i diversamente musumeciani di Attiva Sicilia, s’è sempre distinta per garbo e competenza. «Elena è una tosta, farà bene», è il vaticinio non scontato di un’ex collega grillina.

Lasciamola lavorare, senza pregiudizi. E magari senza farle incrociare, almeno per i prossimi giorni, Giusi Savarino, ex sacerdotessa musumeciana tradita e ferita. Lei diserta corridoi e buvette, vota in aula e poi si volatilizza. Nel frattempo, dopo la foto di rito, Pagana ha già lasciato il palazzo, scortata da alcuni fra i più fedeli collaboratori dell’ex assessore alla Salute.

L’altra leggenda metropolitana arriva dalla Torre Pisana. «Miccichè s’è rinchiuso nei suoi uffici da presidente e non vuole lasciarli a Galvagno», è la voce che corre. La verità è un po’ più edulcorata: il neo-presidente dell’Ars, in attesa che si concludano i lavori nell’ala che sarà destinata all’uscente, come gesto di bon ton ha concesso una “coabitazione”. E magari l’ex presidente s’è allargato un po’. Come fa quando, intercettato dai cronisti, commenta l’insediamento della giunta col tono del «non mi somiglia per niente» di Johnny Stecchino: «Questo nuovo governo non mi piace per niente, non è un mistero per nessuno».

E poi arriva quasi all’autocommiserazione: «Io sono stato trattato come un appestato, fino all’ultimo ho lavorato per l’unità del partito. Ho chiesto un segretario a Marco Falcone e lui mi ha risposto che avrebbe dovuto chiedere a Schifani, mentre io sono rimasto fuori da tutti i giochi per il bene della Sicilia. A questo punto il segretario me lo prendo io con il gruppo.  

A proposito: la faida forzista è diventata farsa. Vero è che, formalmente, Miccichè ha cacciato Schifani e altri otto dal partito. «Si ricordino che io sono il legale rappresentante di Forza Italia in Sicilia», scandisce. Ma è Galvagno a dover pelare la prima gatta: qual è il vero gruppo forzista? A un certo punto scatta l’aiuto da casa: una telefonata di Ignazio La Russa, che consiglia al suo giovane pupillo di prendere tempo, in attesa di input da Roma. E così viene fuori la forzatura per coprire Schifani: “Forza Italia 1” e “Forza Italia 2”. Come “genitore 1” e “genitore 2” della teoria gender, come i nomi dei gruppi scout Agesci. «Ma fra poco arriverà una lettera di Berlusconi», confidano i Gianfry-boys.

Intanto Cateno De Luca se la gode. Sta meglio, lo spavento per il quasi-ictus è un brutto ricordo. E lui torna a fare il mattatore: «Voglio Ismaele La Vardera presidente dell’Antimafia», confida ai cronisti. Prima di stroncare l’offerta di collaborazione arrivata da Palazzo d’Orléans: «Questa giunta di governo è una grande delusione. Per 48 ore mi stavo innamorando di Schifani, un presidente che sembrava voler dire no alle impostazioni romane. Una illusione che è durata 48 ore». Controreplica il governatore: «Con l’onorevole De Luca avremo modo di incontrarci e di confrontarci fattivamente sui problemi della Sicilia. Attendiamo prima di giudicare». Sta per calare il sipario. E, dopo la Waterloo sulla vicepresidenza (trattativa gestita da Galvagno e altri con M5S e De Luca), si cambia ambasciatore; il leghista Luca Sammartino rispolvera la sua vecchia maglietta dem per trovare l’accordo sui questori: finisce con tutt’altro risultato.

Schifani sembra schifato. «Domani (oggi per chi legge, ndr) a mezzogiorno riunisco la giunta e poi prendo un volo per Roma: starò lì tre giorni, certo farò incontri istituzionali ma ne approfitterò per riposarmi perché sono stati giorni molto faticosi». Commento al vetriolo di un non allineato di centrodestra: «Manco il tempo di cominciare e già si fa il weekend lungo di vacanze romane…».

Twitter: @MarioBarresi

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