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Sicilia, il patto segreto Schifani-La Russa: come è nata la giunta che ha isolato Micciché

La “faida” interna a Forza Italia e alla coalizione di centrodestra ora si sposta a Roma

Di Mario Barresi |

Il patto, segretissimo, risale esattamente a una settimana fa. Martedì 8 novembre, quando Renato Schifani vola a Roma. Incontra Matteo Salvini, assieme al collega calabrese Roberto Occhiuto, per rilanciare il dossier Ponte. Poi, nel corso della stessa giornata, un altro vertice. A riflettori spenti. Quello a Palazzo Madama, nella stanza che fu di Schifani dal 2008 al 2013. Accolto da Ignazio La Russa, ma non in veste di presidente del Senato. E così «a nome di Giorgia» riceve non una richiesta, ma una precisa condizione. In giunta devono entrare Francesco Scarpinato, con esplicita destinazione al Turismo, ed Elena Pagana, per la quale viene ipotizzata la delega ai Beni culturali.

Schifani, però, ha un enorme problema. «Se accetto i vostri esterni, anche gli altri mi chiederanno di derogare alla regola dei deputati-assessori», è la preoccupazione, fondata, del presidente della Regione. Ed è a questo punto – la ricostruzione è accreditata da autorevoli fonti romane di FdI – che comincia la parte più delicata dell’accordo. La “vertenza” deve venire fuori soltanto quando tutti gli altri tasselli della giunta sono stati messi a posto. E si dovrà risolvere all’ultimo, quando nessuno degli alleati avrà il tempo e lo spazio per ulteriori rivendicazioni. Un gioco delle parti, un finto braccio di ferro in cui, ammette uno dei pochissimi messi al corrente, «era già tutto previsto». Fondato sulla constatazione che «Renato sa benissimo di essere stato di fatto candidato da La Russa» e adesso che Meloni è premier «ha tutto l’interesse a non rompere con loro». A maggior ragione dopo che Gianfranco Miccichè è stato isolato, ma non del tutto arginato.

Ed è anche per questo che, nonostante le indiscrezioni fatte filtrare e i racconti sull’alta tensione dentro Palazzo d’Orléans dopo l’ultimatum di FdI di lunedì sera, ieri descrivono uno Schifani «sereno». Come se il copione andato in scena negli ultimi giorni fosse stato scritto, al netto di qualche fuoriprogramma. «Schifani ha siglato un patto di ferro con La Russa». Ed il presidente del Senato è  il garante una precisa copertura politica. Una polizza sugli sgambetti della fronda dei forzisti delusi, ma anche un investimento su un asse con Palazzo Chigi.

Fin qui la parte nascosta della storia. Che ieri trova un incastro perfetto con quella esplosa nel pomeriggio. Gianfranco Miccichè “sfratta” il governatore (e altri sette deputati regionali) dal gruppo di Forza Italia all’Ars, con lui stesso «capogruppo provvisorio», composto da Tommaso Calderone, Nicola D’Agostino, Michele Mancuso e Riccardo Gennuso. Ma nel frattempo si riunisce un altro gruppo di Forza Italia, che elegge Stefano Pellegrino coordinatore.

Degli otto fanno parte, oltre allo stesso Schifani, gli assessori Marco Falcone ed Edy Tamajo e i deputati Riccardo Gallo, Luisa Lantieri, Margherita La Rocca Ruvolo e Gaspare Vitrano. Nel verbale della riunione risultano «assenti» Calderone e D’Agostino. E alla fine spunta il “pentito” Gennuso, che lascia Miccichè e viene accolto, mentre firma, da un’amorevole pacca sulla spalla da parte di Schifani.

Si apre l’ennesimo contenzioso da azzeccagarbugli sul riconoscimento del gruppo. Gli schifaniani precisano che il loro s’è «riunito dopo regolare convocazione», dall’altra parte ribattono che la titolarità di convocare la riunione è del capogruppo uscente Calderone o del leader regionale Micccichè. Questioni di lana caprina. Un po’ meno lo sono le ultime spoglie di potere conteso: dalla sfida Mancuso-Lantieri sulla vicepresidenza spettante al partito, al ruolo di capogruppo,  fino alla velata minaccia di azzerare l’appannaggio, fondi e staff, di  Miccichè in veste di ex presidente dell’Ars.

Ma la questione è potentemente politica. Miccichè alza il livello di scontro al massimo. «E lo fa per legittima difesa, dopo che – dicono i suoi – che il governatore lo ha scientificamente isolato sulla scelta della giunta e messo all’angolo nel partito». Del quale però resta coordinatore regionale, almeno finché  a Roma persisterà la silenziosa ignavia che si trascina da mesi. «Gianfranco, per fare questa provocazione, ha la copertura dei vertici nazionali», assicurano. E se lo sconfessano? «Sappiamo già cosa fare». Ma già oggi  si porrà una questione concreta nella seduta dell’Ars: qual è il vero gruppo di Forza Italia? A deciderlo sarà il presidente Gaetano Galvagno. Che, incidentalmente, è il siciliano in assoluto più vicino a La Russa, a sua volta il kingmaker nascosto degli ultimi equilibri di potere in Sicilia. Perché in fondo in questa storia, in apparenza incomprensibile, tutto torna.

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