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Pd Sicilia, il congresso-faida è già cominciato. Circoli con Barbagallo, ma Venezia lo sfiducia: «È inadeguato»

Il bis del segretario blindato dal tesseramento: l’area Schlein è al 65%. Ma gli oppositori incalzano il Nazareno: «Senza primarie regole violate». L’11 assemblea decisiva

Mario Barresi

05 Gennaio 2025, 17:40

GALASSIE_PD_SICILIA

Il congresso regionale del Pd, di fatto, è già cominciato. Con un clima più avvelenato che mai. Anche lo scontro sulla linea del gruppo dell’Ars nelle mancette della manovra regionale è chiaramente il primo tema di scontro fra le due fazioni: schleiniani contro bonacciniani. E in questo scenario si gioca la conferma del segretario siciliano Anthony Barbagallo: forte di un tesseramento che vedrebbe l’area di maggioranza oltre il 65% dei consensi nei circoli, il deputato nazionale vede come il fumo negli occhi l’ipotesi delle primarie. Che invece gli oppositori chiedono a gran voce a Roma: c’è un documento già pronto, firmato da decine di big regionali del partito, con pesanti accuse su presunte «forzature» e «irregolarità» nella gestione della fase precongressuale. Il Nazareno avrebbe chiesto di tenerlo a mollo qualche giorno per provare un’ultima mediazione.

Una strada «impercorribile» per chi ritiene che il tempo di Barbagallo (l’unico segretario regionale, fra quelli attualmente in carica, che sostenne Elly Schlein nella corsa alla guida del partito) sia ormai scaduto. E non a caso Fabio Venezia, fresco di addio alla segreteria regionale, indicato da molti come «nome nuovo» al congresso, esce allo scoperto con La Sicilia: «Barbagallo è inadeguato, sarebbe meglio che facesse un passo indietro sulla sua ricandidatura», afferma il deputato Ars e sindaco di Troina.

Facciamolo noi, un passo indietro. Narrativo. La faida dem di questi giorni trae origine dal risultato delle primarie nazionali del febbraio 2023: anche nell’Isola vinse Schlein (con il 57,3%), ma con quasi tutta la classe dirigente siciliana schierata con lo sconfitto Stefano Bonaccini. A parte Sergio Lima, coordinatore siciliano della mozione e oggi sacerdote dell’ortodossia di Elly, in pochi puntarono le loro fiches sulla futura segretaria: Barbagallo fu fra questi, in asse con l’ex ministro Peppe Provenzano. Assieme a loro le deputate nazionali Giovanna Iacono e Stefania Marino; dell’Ars soltanto Dario Safina.

A questo nucleo iniziale, negli ultimi due anni, si sono aggiunti i neo-schleiniani: il senatore Antonio Nicita, il deputato regionale Nello Dipasquale e l’ex assessora Cleo Li Calzi. Ma lo zoccolo duro degli eletti a Palazzo dei Normanni è rimasto dall’altra parte: su 11 iscritti ben 7 (a partire dal capogruppo Michele Catanzaro e dallo stesso Venezia, in compagnia di Giovanni Burtone, Ersilia Saverino, Tiziano Spada, Calogero Leanza e Mario Giambona), con l’eurodeputato Peppino Lupo fra i bonacciniani più influenti. La deputata regionale Valentina Chinnici è l’unica dentro l’area di Gianni Cuperlo, dalla quale sembra essersi allontanato Antonello Cracolici, oggi fra i non allineati come il “Barone Rosso” Mirello Crisafulli; Antonio Rubino, da tempi non sospetti spina nel fianco della segreteria Barbagallo, è il rappresentante della corrente orfiniana.

La galassia

Questa è la galassia del Pd siciliano. Che, con il congresso alle porte (la finestra indicata da Roma dovrebbe essere fra marzo e aprile prossimi), dopo una lunga tregua forzata, è arrivato alla resa dei conti. Barbagallo, fino a un certo punto, pensava di poter riproporre il “modello Morgantina”: lui «segretario unitario di garanzia», con un accordo fra tutte le correnti, lo stesso che nel 2020 portò al passo indietro di Antonio Ferrante poi nominato presidente regionale.

Ma oggi lo scenario è cambiato. «Anthony non lo vogliono più, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo», sussurra un pezzo grosso del partito. Eppure il segretario uscente sarebbe in netto vantaggio rispetto al tesseramento appena concluso: secondo i primi dati dell’area Schlein, infatti, i 2/3 degli iscritti siciliani sono pronti a rieleggerlo. Nonostante una sorta di “maledizione esistenziale” che qualche nemico comincia a sbandierare: «Ha rotto con l’ala riformista per mostrarsi più schleiniano della Schlein, ma la sinistra del partito lo considera sempre un ex lombardiano».

La rottura

E allora anche le tensioni interne sulla «postura» del gruppo nel corso dell’ultima finanziaria diventano riconducibili alla logica congressuale. Quando Barbagallo, sulla scia di alcune critiche già esternate da Lima, viene fuori con l’idea di denunciare a Procura e Corte dei conti «distorsioni delle procedure e sperperi di denaro pubblico» parla a nuora perché suocera intenda. Non accusa apertamente i suoi deputati regionali di un inciucio con il centrodestra nella spartizione dei fondi “territoriali”, ma di fatto rompe con il gruppo dell’Ars. «Elly aveva chiesto discontinuità: niente parcellizzazione in micro-interventi. E la linea del Nazareno - spiegano dal fronte barbagalliano - era stata chiarita anche in una segreteria aperta ai deputati regionali». I quali, però, sono andati in ordine sparso nell’utilizzo del budget personale (circa 800mila euro) assegnato a ogni esponente d’opposizione.

I casi più emblematici sono quelli di Giambona, che avrebbe suddiviso la sua quota in contributi dal “taglio” di 25mila euro (tra cui uno per la rievocazione storica in maschera “Mastro di Campo” a Mezzojuso, con tanto di ringraziamento social del sindaco), e di Burtone, che avrebbe indirizzato gran parte del suo tesoretto a Militello, di cui è sindaco. Non sono passati inosservati nemmeno gli “aiutini” di Leanza ad alcuni comuni del Messinese e di Saverino a realtà etnee. Quanto basta per creare la narrazione di «una segretaria incazzatissima» con i disobbedienti dell’Ars.

«Non vedo cosa abbia dato di “immorale” il Pd nella finanziaria: nessun finanziamento ad associazioni di parenti o ad amici degli amici. Guardare ai territori e ad amministrazioni di sinistra non è una vergogna», la difesa di Cracolici. Che, come il capogruppo Catanzaro, rivendica «il contributo in termini di qualità» dato in aula: dalla norma sul credito al consumo a quella sul trasporto degli alunni, fino all’inserimento, «per la prima volta nella legislazione regionale», delle parole «antifascismo» e «partigiani».

Ma Barbagallo, pur definendo «fuori dalla realtà» la «dicotomia» fra gruppo all’Ars e segreteria, chiarisce che «sui fondi ai parlamentari ho visto qualche post di troppo che non ha nulla a che vedere con la linea concordata con il partito nelle segreterie regionali allargate e con la segretaria nazionale e ovviamente i protagonisti parlano a titolo personalissimo e non per conto del Pd». Qualcuno dei deputati “incriminati”, sotto copertura dell’anonimato, ribatte con il racconto di «una telefonata da Roma in cui Anthony mi ha chiesto un emendamento di 100mila euro per la sua Pedara», ma ormai anche questo è un dettaglio superato.

Il ring

Fuori i secondi, il ring congressuale è già pronto. Lima pone il Pd siciliano davanti a un bivio: scegliere «se seguire la strada percorsa con chiarezza dalla segretaria nazionale per costruire una netta alternativa al centrodestra oppure continuare a credere che il partito siciliano sia un ducato autonomo dove si possono sperimentare formule fantasiose che in passato hanno sempre dato risultati disastrosi». Evocando il timore che alcuni dem, con Cateno De Luca ormai organico al centrodestra, stiano pensando a un dialogo con Raffaele Lombardo, Roberto Lagalla e Gianfranco Miccichè.

D’altro canto, Cracolici, con una delle sue proverbiali metafore, parla di «riposizionamenti di chi si agita inutilmente: come quello che va allo stadio non per sostenere la propria squadra, ma per gridare “cornuto” all’arbitro». La sua idea di Pd è «un partito che vuole incidere e non restare minoritario o peggio ancora di pura testimonianza».

Voto dei tesserati o primarie aperte? Adesso il punto cruciale è proprio questo. L’area Schlein si ritiene già vincente, ma gli oppositori, forti di una nota della commissione nazionale di garanzia (in cui si conferma che lo statuto del Pd siciliano in vigore «è quello del 2009») accusano Barbagallo e i suoi di «voler giocare con le carte truccate»: proporre, all’assemblea regionale in programma l’11 gennaio, un nuovo regolamento «in contrasto con lo statuto, che prevede le primarie».

Scontri e confronti

La partita è appena cominciata. E Barbagallo non sembra affatto impaurito, neppure dalle voci di un commissariamento di Roma per evitare che si alzi il livello di scontro. «Gli scontri li ho con chi è fuori dal partito e soprattutto con il centrodestra. Dentro il Pd ci si confronta». E dunque la sua prospettiva è chiara: «Sono a disposizione del partito. Valuterò la mia candidatura nel momento opportuno, prima della scadenza del termine, tra fine febbraio e gli inizi di marzo. Durante il congresso più candidature ci sono, più si alimenta il confronto e non certamente lo scontro».

Il segretario riserva parole concilianti al dimissionario Venezia (ma ieri sera anche Marco Guerriero ed Eleonora Sciortino hanno lasciato la segreteria regionale): «Con Fabio abbiamo attraversato una lunga stagione di proficua collaborazione. È chiaro che siamo nella fase congressuale e lui ha fatto una scelta legittima, non gli rimprovero nulla». Insomma: «Non c’è nessuno scontro».

Le ambizioni personali e il partito

Ma il diretto interessato sembra ormai pronto alla sfida. «Gli ultimi episodi legati al gruppo parlamentare e i palesi errori nella gestione del percorso congressuale confermano in maniera chiara l'inadeguatezza di Barbagallo, il quale farebbe bene a fare un passo indietro, come ormai molti pensano, rispetto a una sua ricandidatura», scandisce Venezia. Che, gelido, aggiunge: «La storia politica del nostro partito impone che le ambizioni personali non possono essere anteposte all'interesse generale del partito. Il Pd in Sicilia alla luce dei deludenti risultati elettorali deve rinnovarsi profondamente e riconnettersi con la propria base e con la società e lo strumento delle primarie è l'unico modo per farlo insieme a un dibattito congressuale vero fondato sui contenuti e coerente con la visione tracciata a livello nazionale dalla Schlein».

Una dichiarazione di guerra. La primavera congressuale è ancora lontana. Il lungo inverno del Pd sarà glaciale. E caldissimo.