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“Puppi”, “masculini” e «fozza Savvini»: a Catania la pesca grossa di Matteo fra i delusi

Di Mario Barresi |

CATANIA – «Savvini, vieni qui. Ammucchitillu ‘nu iammuru». Per capire il contenuto dell’invito, il leader della Lega Nord avrebbe bisogno dei sottotitoli alla pagina 777 della Pescheria di Catania. Poi, però, il pittoresco ambulante gli porge un pugnetto di gamberetti di nassa. Lui, allora, capisce. E accetta, non prima di aver chiesto il prezzo di mercato del gentile omaggio. «Dodici euro al chilo? Non ci posso credere! Per comprare ‘sta roba qui a Milano bisogna farsi un mutuo… Da noi costano tre volte tanto e spesso sono quelli congelati dell’Argentina».

«Onorevoleee, vieni qui. Ti piace questa gravatta?», richiama la sua attenzione un commerciante che si annoda al collo un polipo come fosse una Ferragamo. Seguono applausi. E selfie. Selfie a profusione. Manco fosse l’altro Matteo (Renzi) prima della caduta. Decine di foto: disoccupati e masculini, camionisti e puppi (nel senso ittico del termine), casalinghe e tunnina.Roba da far rivoltare Umberto Bossi nella tomba (preventivamente, s’intende: cent’anni di vita al Senatùr), questa pazza giornata di Matteo Salvini a Catania, intervallata da una tappa messinese. Perché qui non c’è l’ampolla con l’acqua del Po, ma un bagno di folla alla Pescheria.

Cuore, anima e budella di una città stupenda e disperata come la Sicilia. Nuovo bacino di pesca per Matteo il neo-siculo. Che accetta i gamberi; mangiucchia un’oliva cunsata; smozzica un pezzo di pecorino, al pistacchio “Alfano-free”. Ma la salsiccia cruda no. «Grazie, davvero», è l’unica schizzinosità pseudo-padana. Lo inseguono, gli chiedono pane, gli raccontano pene. Lui ascolta tutti. «Il mio impegno è assicurare una vita dignitosa, a Roma e a Bruxelles mi faccio un c.. così per tutelare i prodotti della vostra pesca e della vostra agricoltura».

Sarebbe la solita passerella del solito politico (e in parte lo è pure) se in quest’assolata mattina di primavera, l’ombelico popolare di Catania non gli riservasse un’accoglienza così calorosa. «Manco fossi nel mercatino del mio quartiere a Milano, ragazzi – si compiace nel colloquio pomeridiano nella redazione del nostro giornale – questa è una cosa pazzesca». Sì, perché il leader che cantava i cori contro i napoletani («erano cose da stadio») e paragonava i siciliani a scimmie sull’albero, adesso è un altra persona. Un padano terrone, la metempsicosi inversa del suo fedelissimo Angelo Attaguile, ora terrone padano. Ma Matteo ne è consapevole: «Se qualcuno, qualche anni fa, mi avesse detto che avrei passato una giornata così in Sicilia, gli avrei detto che usa i semi di droga distribuiti oggi a Milano e che coltiva le piantine di marijuana nel balcone».

Ora è diverso: «Il mondo è bello perché cambia, anch’io vado avanti. Conscio delle cose fatte prima, quelle fatte bene e quelle fatte meno bene». Il motto? «Autonomia nelle identità, perché se dici a uno di Acitrezza che è di Aci Castello quello s’incazza», dice con cognizione di causa di ritorno da Messina. Dopo una piccola pausa pranzo. Con un arancino d’ordinanza, stavolta senza contaminazioni con la granita al limone. E un altro po’ di pesce crudo.

Ad Aci Castello lo aspetta uno sparuto gruppo di contestatori, in un paese blindato da oltre un centinaio di forze dell’ordine. Centri sociali, sigle di sinistra, Usb, ma soprattutto il gruppo catanese “Mai con Salvini”. «Hanno perquisito le abitazioni di due di noi – denuncia Erica Garozzo – senza mandato, sfruttando la legge speciale sulla presunta detenzione di armi ed esplosivi». I manifestanti diventeranno una cinquantina, per un corteo pacifico seppur con qualche polemica su un cambio di percorso non autorizzato e poi non effettuato. «Salvini non può venire al Sud senza essere contestato», chiarisce Garozzo.

Nel frattempo il leader leghista entra in municipio per una visita ufficiale. Incontro con il consiglio comunale e con la giunta guidata dal sindaco Filippo Drago. Allevato a pane e scudo crociato dal padre Nino (indimenticato capocorrente andreottiano della Dc) per una brillante carriera con Cdu, Udc, e Forza Italia. E adesso esponente di spicco, assieme al fratello Alfio, di Noi con Salvini. Con l’orgoglio, praticante, della nuova fede: «Un organo dello Stato – rivela il sindaco – mi ha chiesto di ospitare decine di profughi ad Aci Castello. Ma io ho detto di no, perché metà dei miei cittadini sono senza lavoro e il 50% di chi ha diritto al sussidio non ce l’ha». Dopo la precisazione d’obbligo («io non sono razzista»), l’affondo da standing ovation: «Prima Aci Castello e poi gli immigrati. Viva Salvini, viva l’Italia…».

Siamo allo Sheraton. Stracolmo. Mentre Drago recita il rosario neo-leghista in sala, Matteo catechizza col suo vangelo decine di simpatizzanti in una saletta in cui si può entrare a piccoli gruppi. «Parla con le categorie produttive», ci dicono. Alcune delle facce che escono, però, sono le stesse viste all’epoca di Lombardo e Cuffaro, quando si chiamavano questuanti. Ma Matteo vede e provvede. O magari provvederà. Lo sa bene Attaguile, in corsa nel ticket da candidato governatore. «No all’armata Brancaleone», arringa il mite ma risoluto deputato ex Dc ed ex Mpa, oggi rigoroso selezionatore di aspiranti leghisti siculi. «Se avessi accettato le proposte ricevute, avremmo già 5 o 6 deputati regionali. Ma le regole sono chiare: fedina penale pulita, come prescritto dalla commissione Antimafia, massimo due mandati e no a chi ha avuto ruoli negli ultimi governi regionali».

In prima fila, oltre a Salvino Caputo – ex An, Forza Italia e Pdl – nominato commissario di Noi con Salvini a Palermo dal co-coordinatore regionale Alessandro Pagano (ex berlusconiano ed ex alfaniano), c’è il sindaco di Motta, Anastasio Carrà, anch’esso arruolato alla causa del Carroccio. Sul palco introduce Fabio Cantarella, vicesindaco di Mascalucia, fra i pochi siciliani a vantare un rapporto diretto con Salvini. Da ospiti interessati, molti big del centrodestra siciliano: Nello Musumeci con Raffaele Stancanelli di #DiventeràBellissima, Salvo Pogliese, Enzo Gibiino e Ugo Grimaldi di Forza Italia, c’è pure Nino Strano, suo malgrado nei libri di storia per il mortadella-party al funerale politico di Romano Prodi. Vuote le poltrone riservate ai due attesi emissari di Fratelli d’Italia: Ignazio La Russa e Francesco Lollobrigida.

Salvini, prima della cena in un locale a Santa Tecla, chiarisce la sua idea sulle alleanze in Sicilia: «Non mi piacciono i minestroni del tutti contro uno. Porto rispetto alla storia di chiunque, ma non riproponetemi nella battaglia alle Regionali chi è qui da 25 anni e ha cambiato 38 partiti… Alfano cambi mestiere, ma anche qualche vecchio capataz del centrodestra siciliano. Chi pensa di allearsi coi trombati del Pd si iscriva al Pd, a Catania come a Palermo». Insomma, «niente vecchi tromboni, se no noi andiamo avanti da soli». Tutto chiaro?

Twitter: @MarioBarresi

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