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Record di spesa ma costi raddoppiati: ecco la verità sui cantieri Covid in Sicilia

I rilievi e le “incongruenze” segnalate dal ministero della Salute sul nuovo piano poi “vistato” dal commissario Musumeci

Di Mario Barresi |

L’ultima picconata è arrivata dall’Ars. Proprio ieri. Il capogruppo di Forza Italia, Tommaso Calderone, chiede la testa di Tuccio D’Urso, soggetto attuatore nominato da Nello Musumeci nella veste di commissario delegato sui lavori Covid negli ospedali siciliani. Eppure non è soltanto la solita faccenda politica. Perché la spesa del “tesoretto” di fondi nazionali è un argomento sensibile. Affrontato dall’Antimafia regionale, che nell’inchiesta sulla sanità ha acquisito atti sugli appalti e sentito lo stesso D’Urso. E oggetto di attenzione della magistratura, anche a seguito di alcuni esposti, con un blitz dei carabinieri lo scorso 28 dicembre al Policlinico di Palermo.

C’è davvero qualcosa che non funziona nella gestione “edilizia” dell’emergenza pandemica? Non certo nella capacità di spesa: con 58,4 milioni di risorse già trasferite (più del doppio della Lombardia) la Sicilia è prima a livello nazionale. Sul piano finanziato dalla Protezione civile la Regione ostenta il 100% di interventi realizzati, in cantiere o aggiudicati; soltanto tre le gare ancora aperte.

Ma la prima anomalia riguarda la lievitazione della spesa prevista. Di fatto raddoppiata – pur a parità di posti letto e di lavori nei pronto soccorso previsti – rispetto al piano originario approvato dal governo nazionale. Un trend riscontrabile in altre Regioni, ma non nell’ordine di misura siciliano: da 123,3 milioni s’è passati a una rimodulazione (proposta dallo stesso D’Urso, condivisa col governatore-commissario e approvata con delibera dell’assessore alla Salute, Ruggero Razza) pari a 237,2 milioni.

Ed è proprio il ministero della Salute, in un fitto carteggio con la Regione, a segnalare che i conti non tornano. Più volte, con note che la La Sicilia ha avuto modo di consultare, la direzione della Programmazione sanitaria incalza gli interlocutori siciliani. Specificando, come ad esempio fa il direttore generale Andrea Urbani, che «le rimodulazioni non possono comunque prevedere di modificare degli importi già erogati né di modificare/diminuire i posti letto per terapie intensive e sub-intensive previsti nel piano approvato dal Ministero della Salute». In effetti il prospetto finale, disponibile sul sito potenziamentoreteospedaliera.sicilia.it (un bell’esempio di accessibilità e trasparenza), conferma gli obiettivi iniziali, ovvero «69 interventi diversi che investono 30 strutture ospedaliere e 16 delle 18 Aziende sanitarie, ospedaliere, universitarie regionali». E anche il numero di nuovi posti letto rimane invariato: 253 in terapia intensiva e 318 in sub-intensiva. Così come i pronto soccorso da adeguare: 26.

Ma perché per realizzare le stesse opere è necessario il doppio di soldi pubblici? Illuminante la relazione dello stesso D’Urso. «In buona sostanza si è intervenuto dinamicamente nelle situazioni di ciascun Presidio ospedaliero», è il concetto-chiave. Le spiegazioni tecniche: i costi sono lievitati a causa di «interventi “ancillari”» (spostamento di reparti o creazione di postazioni provvisorie), ma soprattutto di «ulteriori investimenti» su «alimentazione elettrica ed alimentazione dei gas medicali, spesso di notevole importo». E il piano rimodulato «riporta ora costi prossimi a quelli reali».

Il ministero della Salute, oltre a chiedere conto di tutte le «varianti», esplicita  alla Regione un concetto: i 114 milioni per saldare il nuovo conto possono essere cofinanziati con altri plafond «ad esclusione dei finanziamenti da parte di fondi strutturali e di investimento dell’Unione europea». Quindi: non col Pnrr.

Nelle note ministeriali vengono inoltre segnalate numerose «incongruenze» presenti nelle tabelle allegate al piano di rimodulazione del decreto assessoriale 558 del 18 giugno 2021. Un paio di esempi. Al Civico di Palermo con gli stessi soldi (circa 42 milioni) negli allegati B e C si dettaglia il finanziamento di 12 posti in terapia intensiva e 8 in sub-intensiva più l’adeguamento del pronto soccorso, mentre nell’allegato F si includono nel conteggio un laboratorio di microbiologia, l’adeguamento del padiglione 11, ma soprattutto 32 posti di intensiva all’Ismett (costo stimato di 11 milioni e 450mila euro), opera che il ministero ricorda «non prevista» nel decreto di finanziamento. Al Garibaldi di Catania il costo dell’adeguamento del pronto soccorso è prima fissato in 2.169.275,95 euro per un unico intervento e poi in 4.401.010,89 per due diversi; cambia il computo dei posti letto: nell’allegato B vengono considerati 3.321.459,38 euro per 8 in terapia intensiva e 16 in sub-intensiva, nell’allegato F il costo degli stessi scende a 1.254.624,33 euro, ma poi si riporta un altro importo (2.562.711,10 euro) per ulteriori 10 posti in Tsi.

Nella tabella Excel del ministero, inoltre, «importi sbagliati» in alcuni casi, ma anche dati diversi su altre strutture (fra cui Cannizzaro di Catania e Umberto I di Siracusa), oltre che «interventi senza riferimento al numero di posti letto» come nel caso del Policlinico di Palermo. Alcuni degli errori (ma non tutti) segnalati da Roma sono stati corretti. E l’ultima rimodulazione di Razza, il decreto 960 del 21 settembre scorso, ha ricevuto il visto del commissario Musumeci, ma anche – dopo la presa d’atto del ministero – la registrazione della Corte dei conti. Un iter che dovrebbe blindare tutti i protagonisti almeno da eventuali responsabilità contabili.

Ma ci sono anche altre «criticità» di cui si vocifera, carte alla mano, a Palermo. Dubbi magari alimentati  da ex colleghi della schiera dei «fannulloni» regionali, nella celebre definizione di D’Urso. Si ipotizza di un «illegittimo affidamento dell’incarico di Rup» all’ex dirigente, in quanto «soggetto esterno alla Pubblica amministrazione», il che configurerebbe «un danno erariale per Musumeci» e un «ingiustificato arricchimento» per D’Urso. Controdeduzione: il soggetto attuatore nominato dal commissario svolge il suo compito a titolo gratuito. Replicano i “giuristi” dei palazzi palermitani: allora l’incarico, «in assenza di un compenso determinato o determinabile», sarebbe nullo. Ma su questa tesi, al netto della norma dell’articolo 1.346 del Codice civile, ci sia consentito più d’un dubbio.

La parte più delicata del dossier riguarda però l’affidamento, da parte di D’Urso, di decine d'incarichi professionali (progettazione, direzione lavori, sicurezza e collaudo) rigorosamente online sul sito. Con il medesimo format: procedure dirette (perché inferiori a 139mila euro), con un “prestampato” senza  specificare né l’importo né l’oggetto esatto, ma soltanto con l’indicazione di uno “sconto” del 15% sulla parcella futura. Il che lascia un retrogusto di perplessità.

Perché non si è cercato (ad esempio negli organici delle aziende ospedaliere e sanitarie) con degli atti d'interpello se ci fossero tecnici “pubblici”? Perché non si è fatta una stima unitaria dell’importo totale dei servizi di architettura-ingegneria e si è invece scelto questo frazionamento? Perché non si è determinata la prestazione da effettuare (con relativo costo) per poi procedere all’affidamento, con procedure differenziate in base alla parcella? Ad alcune di queste domande risponde, nell’intervista pubblicata in questa pagina, lo stesso D’Urso. Che smentisce, categoricamente, anche l’ultima (e più sgradevole) voce: che in qualche caso, magari a Palermo, ci siano stati lavori diversi da quelli finanziati sulla carta.

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