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Regionali, la tentazione di Nello Musumeci: dimissioni e elezioni entro il mese di giugno

Sul tavolo dell'assessorato alle Autonomie Locali c'è il dossier "election day": il presidente forza la mano?

Di Mario Barresi |

Sul tavolo del dipartimento regionale delle Autonomie locali, ufficialmente da un paio di giorni, c’è un dossier delicatissimo. Che, su esplicita richiesta di Palazzo d’Orléans, doveva restare riservato. Nome in codice: “Election Day”. Ovvero, studiare la fattibilità del voto anticipato per le Regionali. In contemporanea (opzione molto più complicata) o in una data prossima alle Amministrative del 12 giugno.

È la prova provata che Nello Musumeci pensa davvero al coup de théâtre: dimissioni  dopo l’approvazione di bilancio e finanziaria all’Ars per spiazzare tutti. Alle urne subito, magari il 26 giugno. Prendendo in contropiede il centrosinistra, ancora in attesa che Giuseppe Conte nomini il coordinatore regionale del M5S per cominciare a discutere col Pd di primarie ipotizzate fra l’8 e il 10 luglio. Ma, soprattutto, per disorientare i cecchini di quello che il governatore definisce «il fuoco amico» di centrodestra. Già dilaniati sulla scelta del candidato a Palermo, gli alleati si troverebbero a dover «improvvisare un candidato che non c’è». E magari, confida un musumeciano doc, saranno costretti a «mangiare questa minestra per non buttarsi dalla finestra».

Il ragionamento ha un suo senso. E non è più solo un ricatto da brandire durante le sedute della giunta – come già avvenuto più volte in passato – con la tecnica di parlare a nuora (gli assessori) affinché suocera (i partiti) intenda. Stavolta quella di Musumeci è una strategia concreta. «La probabilità di dimissioni-shock del presidente subito dopo il voto della finanziaria? Oggi sono almeno al 70 per cento», contabilizza un assessore che a Palazzo d’Orléans è di casa. Magari è proprio questa l’«ottima idea», da valutare «entro qualche giorno» di cui si discuteva nel siparietto fra il governatore e Giorgia Meloni spiato da La Sicilia al Vinitaly.

Di certo c’è che il piano d’emergenza è diventato una strategia concreta dopo aver incassato l’entusiastico consenso di Ignazio La Russa, in un pranzo ristretto in cui c’era anche Ruggero Razza, fra i principali ideologi della «prova d’orgoglio, favorita dal consenso dei siciliani». Che è «una scelta obbligata» in caso di ulteriore melina degli alleati sulla ricandidatura, ma nel Pizzo Magico prende corpo la consapevolezza che l’uno-due sia una mossa da attuare a prescindere dall’esito delle trattative nella coalizione.

Certo, in caso di rottura definitiva con i No-Nello, negli ambienti di Fratelli d’Italia e di DiventeràBellissima c’è chi continua a sostenere anche l’ipotesi, non del tutto disinteressata, di un azzeramento della giunta con un susseguente “governo del presidente”. Ma secondo Musumeci questa sarebbe una «soluzione estrema», che comunque «non avrebbe lo stesso effetto di mandare tutti a casa». Il governatore, spesso accusato dagli alleati di non condividere le scelte più importanti, stavolta s’è consultato con la coalizione. Eccome. Ma con pochi e fidati interlocutori. Oltre ai suoi fedelissimi (FdI, Db e Attiva Sicilia), anche forzisti lealisti e qualche illuminato centrista. Ai quali ha anticipato il suo piano, ottenendo riscontri alquanto positivi. «Così li fotti a tutti», s’è lasciato andare uno fra i più entusiasti analisti.

Al voto, al voto. Se non ora, quando? Già, perché il punto adesso è la data delle eventuali elezioni regionali anticipate. Nell’input che dalla Presidenza è arrivato alle Autonomie locali, l’opzione preferita è l’election day del 12 giugno, assieme ad amministrative e referendum. Una scelta teoricamente praticabile, secondo i primi riscontri dell’assessorato: l’unico vincolo, in caso di dimissioni del presidente della Regione, è indire le nuove elezioni «entro tre mesi» dalla firma dell’addio, così come prescrive l’articolo 10 dello Statuto.

Ma alcuni giuristi – e fra questi almeno un paio consultati dal nostro giornale – sostengono che anche nell’iter straordinario innescato dalle dimissioni bisognerebbe rispettare «i tempi minimi della campagna elettorale». In caso di voto a scadenza naturale l’indizione dei comizi elettorali, secondo l’articolo  11 della legge regionale 29/1951, deve avvenire «non meno» di 30 e «non più» di 45 giorni «prima della scadenza del  quinquennio» e «per un giorno anteriore al sessantesimo giorno successivo alla scadenza  del quinquennio stesso». Una prescrizione che secondo gli uffici della Regione non si applicherebbe al caso di voto post dimissioni. Ma alcuni esperti sostengono che altri due termini previsti dalla legge elettorale non possono essere derogati neppure in caso di urne anticipate: il deposito dei simboli in assessorato (fra il 44° e il 42° giorno prima della data del voto) e la presentazione delle liste alla cancelleria  della Corte di appello di Palermo (fra il 31° e il 30° giorno prima).

Per questo c’è una data magica che circola nello staff di Musumeci: il 27 aprile. Ovvero, l’ultimo giorno utile per dimettersi se si vuole votare anche per le Regionali il 12 giugno. Ma se davvero ci fosse la prescrizione dei 45 giorni prima delle urne (anche se, come detto, c’è chi sostiene che si possa votare in qualsiasi data, purché entro 90 giorni dalle dimissioni), lo scenario dell’election day si complica. Perché, sostengono anche i più ottimisti tifosi del governatore, è «materialmente impossibile» che l’Ars chiuda bilancio e finanziaria entro fino e aprile. Sul primo la giunta ha già approvato il ddl, della seconda ieri s’è discussa la prima bozza della «manovra light» chiesta da Musumeci: non più di «dieci articoli indispensabili per ogni assessore» per evitare complicazioni. Ma anche nella più rapida delle prospettive, il via libera da parte dell’Ars – fra commissioni di merito e aula – non può avvenire prima di maggio inoltrato. Anche perché di mezzo, oltre alle vacanze pasquali, c’è lo stop delle attività a Palazzo dei Normanni per un convegno internazionale sulla giustizia previsto fra il 3 e il 6 maggio.

Fra i quesiti sottoposti dal presidente c’è anche la ricerca di una data compatibile con il superamento dei quattro anni e sei mesi di legislatura. Per una ragione ben precisa: il 15 giugno è il termine minimo dopo il quale, per i deputati regionali alla prima legislatura, scatta il vitalizio. Se si andasse alle urne prima, a Sala d’Ercole scatterebbe una rivolta trasversale. Ma il problema, secondo i tecnici, non si pone: l’attuale Ars resterà in carica fino all’insediamento della successiva e dunque, anche in caso di voto a giugno, la pensione delle matricole sarebbe blindata. Fugato anche  un altro dubbio: le Regionali possono tenersi in contemporanea ad altre consultazioni. Il fatto che si sia scelta sempre una data ad hoc è più che altro una prassi consolidata, fra l’altro con almeno due eccezioni fra i precedenti: il 20 giugno 1976 si votò assieme alle Politiche, così come il 13 e 14 aprile 2008, dopo le dimissioni di Totò Cuffaro.

Ma c’è un altro nodo. Il dipartimento Autonomie locali, rispetto al 12 giugno, considera una controindicazione dopo un consulto informale del Viminale: il caos spoglio. A Palermo e Messina, ad esempio, ci si troverebbe con le schede di sindaci, consiglio, circoscrizioni e referendum, oltre a quella per Ars e governatore. Un carico complicato da gestire per seggi e uffici.

Anche per quest’ordine di ragioni, allora, l’indicazione per Musumeci sarebbe una data diversa dall’election day. Quella più accreditata nei palazzi regionali, a questo punto, è il 26 giugno. In coincidenza con i ballottaggi (possibili in 13 dei 120 comuni siciliani alle urne), senza l’overbooking dello scrutinio e senza dover chiamare alcuni siciliani per tre volte al seggio nel giro di poche settimane, con il rischio di astensionismo che sconsiglia l’ipotesi di Regionali “solitarie” il 19 giugno, la domenica in mezzo ai due turni delle Amministrative. A meno che non si slitti addirittura al 3 luglio.

Un calendario ancora virtuale, eppure sempre più ricorrente. Fino ad arrivare ai più acerrimi nemici. Fra i quali c’è chi sogna di  far saltare il banco: «E se gli bocciassimo il bilancio? Se Nello vuole dimettersi sul serio, gli faremmo una “cortesia”: sarebbe il primo presidente della Regione nella storia rimosso dal governo nazionale…».

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