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Regione, l’orgoglio di Armao: «Sicilia non è più il Paese del Bengodi»

Di Redazione |

PALERMO – I tagli agli sprechi che la Regione siciliana sta facendo, la difficile situazione economica dell’Isola, ma anche l’orgoglio del lavoro fatto e l’intenzione di non voler fare nessuno sconto allo Stato.  C’è un po’ di tutto questo nella conferenza stampa in diretta Facebook del vice presidente della Regione siciliana e assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao su andamento dell’economia siciliana nel 2019, tendenze per il 2020 e conti pubblici territoriali.

CAPITOLO TAGLI. «Abbiamo abbassato la media dei dipendenti pubblici – ha rivendicato Armao –  che prima vedeva la Sicilia distaccare le altre regioni, anche se qui una buona parte di questi dipendenti svolge funzioni dello Stato. Oggi la dotazione è in linea con quella italiana, siamo nella media nazionale e in alcuni casi anche sotto. La favoletta che qualche giornalista televisivo continua a raccontare, ossia della Sicilia come paese di Bengodi per i dipendenti pubblici, non è vera. Stiamo riducendo anche gli enti pubblici, che significa meno Cda, meno direttori generali e meno capi degli uffici».

«Il dato di cui siamo più orgogliosi come siciliani – ha sottolineato il vicepresidente e assessore – è che mentre lo Stato incrementa il debito pubblico la Sicilia lo ha ridotto di 700 milioni, quasi il 10 per cento di riduzione del debito pubblico. Se l’Italia lo avesse fatto sarebbe schizzata in alto in termini di rating, mentre purtroppo non è così. E’ la dimostrazione che attraverso un uso sapiente delle risorse pubbliche si può fare anche riduzione del debito».

«Siamo riusciti a rispettare per secondo anno consecutivo i target della spesa europea – ha detto ancora -. E’ evidente che non è un caso, dietro c’è il lavoro di tanti uomini e donne, convinti che attraverso un uso sapiente di queste risorse si possa aggiungere qualcosa alla crescita della Sicilia. E’ chiaro, però, che queste risorse devono essere aggiuntive e non si possono sostituire a quelle statali».

L’ACCUSA ALLO STATO. Ma se l’economia generale dell’Isola stenta ancora decollare, secondo Armao la colpa è anche delle politiche del governo centrale che hanno determinato cinque miliardi in meno di Prodotto interno lordo dovuto ai minori investimenti che sono stati realizzati dallo Stato in Sicilia non rispettando la quota del 34% prevista dalla legge.  «Con un più 0,6% che manca da 10 anni, che sarebbe generato dalla quota del 34% di investimenti da realizzare dallo Stato nel Sud, avremmo recuperato la metà di quello che abbiamo perso con la crisi del 2008, ovvero 13 punti», ha spiegato l’assessore all’Economia e vicepresidente della Regione, Gaetano Armao. «Sarebbero 5 miliardi in più che mancano: ecco quello che determinano i minori trasferimenti. Non è frutto del destino cinico e baro – ha sottolineato Armao – ma «sono delle scelte fatte a livello centrale che hanno penalizzato il Sud e che sono state anche stigmatizzate dal Fmi che dice che siamo il Paese con il divario più antico e profondo del mondo». «Anche il presidente della Repubblica – ha aggiunto Armao – è stato molto chiaro nel sottolineare come la questione meridionale esiste. L’Italia soffre di competitività perchè il Sud finisce di funzionare come mercato, quindi danneggiando anche le imprese del Nord».

NIENTE SCONTI. «Oggi in Sicilia iniziano gli sconti. Ma la Sicilia non può fare più sconti allo Stato. Non possiamo più essere donatori di sangue allo Stato» ha detto Armao. «Bisogna concludere il negoziato con lo Stato per riconoscere i diritti dei siciliani. Nessun privilegio, nessuna zona franca ma il riconoscimento dei diritti», ha aggiunto. «Il 14 gennaio saremo in Corte Costituzionale a difendere la questione dei Lea, ancora oggi la Sanità siciliana riceve meno in media di altre regioni – ha sottolineato -. Non è corretto, giusto e compatibile. Dobbiamo rivendicare il riscatto della Sicilia».

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