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Schifani e la sua squadra di assessori: lo schema è il 4 – 4 – 2 – 1 – 1, ecco chi c’è (o ci vorrebbe essere)

Di Mario Barresi |

Renato Schifani continua col vade retro toto-assessori. In pubblico (anche incontrando Confagricoltura, ha ripetuto che «di giunta si comincerà a parlare dopo il voto»), quanto in privato. Anche perché, col dovuto rispetto, qualche pezzo grosso del centrodestra il “discorsetto” gliel’ha già tirato fuori da un bel pezzo. «Parlo con tutti e accetto ogni consiglio, ma alla fine decido io», è la chiara linea dell’aspirante governatore.

L’argomento è stato tabù anche nel recente pranzo catanese nella stessa trattoria del “patto dell’arancino”, dove Schifani ha scansato ogni tentativo di moral suasion assessoriale.

Ma gli alleati ne parlano. Eccome. In cerca, fra un comizio e un pacco di volantini, di un doppio equilibrio. Uno all’interno di ogni partito (saranno anche i risultati del voto a dare molte risposte), l’altro nei rapporti di forza dentro la coalizione.

Qualcuno, sondaggi alla mano, ipotizza anche una sorta di formula magica – ancora non un vero accordo – già stabilita, col tacito consenso del candidato: 4 assessori a Fratelli d’Italia, che prenderebbe anche il presidente dell’Ars, 4 a Forza Italia (che potrebbero scendere a 3, in base ai risultati, ma sempre e comunque con la Sanità), 2 alla Lega (che aspira al vice di Schifani) e uno a testa per Nuova Dc e Mpa, dato per scontato il superamento dello sbarramento al 5%.

Sarà un 4-4-2-1-1. Questo è lo schema di gioco che dallo spogliatoio (ma anche dalle tribune) arriva sulla lavagna del commissario tecnico Schifani. Che, a qualcuno dei pochissimi di cui si fida davvero, avrebbe però rivelato che il modulo è suscettibile di qualche ritocco, magari per dare spazio a un assessore di sua «fiducia»: un nome in quota Palazzo d’Orléans. Oppure, a poste invariate, uno dei quattro forzisti potrebbe essere il suo fedelissimo Pietro Alongi, candidato a Palermo.

I nomi, appunto. Un «discorso prematuro», per i più realisti che aspettano l’esito delle urne. E consigliano di non sottovalutare il peso che avrà nella futura giunta l’obbligo di avere 1/3 di donne. Una legge che è «un grandissimo scassamento di m…», commenta un big. Vi lasciamo il piacere di indovinarne l’identità. Ma siccome dei papabili se ne parla già, ecco una prima rassegna. Partito per partito.

La rappresentanza più forte l’avrà FdI. Senza discussioni. Per il risultato atteso, grazie anche al trascinamento dell’election day, ma anche per il sacrificio della mancata ricandidatura di Nello Musumeci. I meloniani di Sicilia scaldano i muscoli. Il più quotato è Alessandro Aricò. Per lui, assessore e capogruppo di #Db uscente, si profilerebbe lo scranno più alto di Sala d’Ercole. Anche per lo sfizio della vendetta su chi non ha voluto il Nello-bis. Anche Giorgio Assenza e Giusi Savarino, altri musumeciani doc, potrebbero aspirare al ruolo. Che qualcuno, fra i fratelli di Sicilia di più antica militanza, rivendica però «uno di noi». Magari pensando a Gaetano Galvagno, giovane eppure già molto a suo agio in aula. Ma il favorito alla presidenza dell’Ars resta il deputato palermitano: per Savarino, Assenza e soprattutto per Galvagno (molto legato a Ignazio La Russa) è più probabile un ruolo in giunta. Con altri aspiranti. Tutti di rilevo. Il vincitore del derby messinese fra la capogruppo Elvira Amata e Pino Galluzzo, oltre che il più resistente superstite alle tante scosse sotto l’Etna. Al netto delle aspirazioni di Galvagno, ci sono altri due fattori. Il primo è legato al futuro di Ruggero Razza: non candidato né a Palermo né a Roma, ma comunque in lizza per un «ruolo istituzionale». Magari non più la Sanità, promessa a Forza Italia, ma chissà. Perché c’è anche il secondo fattore: se Salvo Pogliese dovesse avere numeri di un certo tipo con i suoi candidati all’Ars (Dario Daidone e Barbara Mirabella), il partito non potrebbe non indicare l’ex deputato acese Basilio Catanoso fra i suoi assessori.

Capitolo Forza Italia. La raffica di interviste di Gianfranco Miccichè per rivendicare per se stesso la Sanità (rinunciando al seggio in Senato), negli ambienti azzurri viene inquadrata in una precisa strategia: «Se dicono “tanto Gianfranco va a Roma” perde voti all’Ars. E così lui dice di voler restare a Palermo. Anche se magari non sarà così». Quindi la poltrona di piazza Ziino è da assegnare. Assieme ad altri tre posti. «Per conoscere il dream team di Miccichè – consiglia chi lo conosce bene – andate a rileggervi la lista di nostri candidati governatori che consegnò agli alleati in un vertice». E così facciamo: a parte i “fuoriquota”, in quel biglietto c’erano i nomi di Patrizia Monterosso, Tommaso Calderone, Michele Mancuso, Daniela Faraoni, Barbara Cittadini e Toti Amato. Gli ultimi tre perfetti per la Sanità, «tecnici» pur non «politici» come vorrebbe Schifani; la prima ideale per i Beni culturali, altro pallino del leader forzista. Ma sarà complicato negare, come avvenuto per il seggio alle Politiche, un posto a Marco Falcone. Del quale Confindustria, a Catania, ha invocato la conferma ai Trasporti. Si vedrà, soprattutto dopo l’esito della sfida nel collegio con Nicola D’Agostino, che per la prima volta in vita sua l’assessore vorrebbe farlo. Con la sponda dell’area di Sicilia Futura, che a Palermo conta sui voti, tanti, di Edy Tamajo. Due gli assessori della Lega, di cui uno anche vicepresidente. In pole position c’è il catanese Luca Sammartino (l’ideale per lui sarebbe il Lavoro, magari accorpato alla Formazione), mentre a Palermo c’è l’imbarazzo della scelta. Fra Francesco Scoma (mancato candidato sindaco e deputato), Marianna Caronia (favorita dalle quote rosa) e Vincenzo Figuccia. Deciderà il segretario Nino Minardo.

Un posto a testa, secondo l’ipotesi più accreditata, a Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro. Il primo punterebbe su Roberto Di Mauro (Agricoltura o Trasporti i desiderata, se proprio non si potrà riavere Massimo Russo alla Sanità), il secondo ha più opzioni. La «donna misteriosa» poi mai proposta come presidente, o magari quel «giovane catanese di grandissimo valore» di cui si vocifera in ambienti centristi. Con l’identikit, non confermato, di Santino Scirè, leader Acli e “candidato” per 30 secondi (giusto il tempo di smentire via agenzie) nelle liste del Pd per le Politiche. Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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