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Sicilia, alla Regione voglia di rimpasto (ma sarà una “sveltina”): i nomi in ballo

Di Mario Barresi |

Catania – Si accelera. Fino al punto di rinviare il periodico “ritiro spirituale” della giunta regionale, previsto per oggi a Enna. Non si fa più. Anche per evitare l’imbarazzo a qualche assessore che di lì a poco magari non ci sarebbe stato più. Ma soprattutto perché proprio oggi Nello Musumeci incontrerà Gianfranco Miccichè per affrontare la pratica del rimpasto. Che rischia di trasformarsi in qualcosa in più di una semplice staffetta fra un paio di assessori di Forza Italia.

C’è più di un prequel. Il primo: martedì a Palazzo d’Orléans il governatore ha ricevuto il viceré berlusconiano, accompagnato da Riccardo Savona, specialista delle trattative più delicate. «Nello, io ti chiederei pure l’assessorato alla Salute, ma non lo faccio – così Miccichè avrebbe rotto il ghiaccio – perché non è il caso». Eppure, un gruppo con 14 deputati «con la prospettiva di diventare il più numeroso dell’Ars», questo il senso delle parole di Miccichè, «ha tutto il diritto di riequilibrare la rappresentanza territoriale». E fin qui il ragionamento fila. Anche per Musumeci, per archiviare nel più breve tempo possibile (e con un prezzo politico low cost) la questione. La certezza sono gli assessori forzisti in uscita: Edy Bandiera (Agricoltura) e Bernardette Grasso (Autonomie locali). Sugli entranti il discorso si complica. Miccichè ha un nome certo: Toni Scilla, ex deputato regionale di Mazara; con il rischio calcolato dell’ira funesta del marsalese Stefano Pellegrino, non a caso sempre più corteggiato all’Ars da FdI. Ma ci potrebbe anche essere una soluzione per salvare capra (un assessorato nel Trapanese) e cavoli (la permanenza di Pellegrino in Fi): l’attuale deputato si dimetterebbe dall’Ars andando a fare l’assessore, facendo subentrare Scilla come primo dei non eletti. Sul secondo nome la geopolitica forzista porta ad Agrigento, dove ha molta voce in capitolo il deputato Riccardo Gallo, che puntata su Vincenzo Giambrone, ma è disposto a dare spazio in giunta, col placet di Miccichè, al collega nisseno Michele Mancuso che rappresenterebbe entrambe le province. Ma Musumeci pone la questione delle quote rosa: Grasso è l’ultima rimasta in giunta, nel turn over deve entrare una donna. E qui ecco rispuntare due nomi: più che quello Maria Antonietta Testone, ex assessora a Sciacca, coordinatrice siciliana di “Azzurro Donna”, soprattutto quello di Margherita La Rocca Ruvolo, ex udc appena entrata in Forza Italia, che proprio con Gallo ha un patto di ferro (lui alle Politiche, lei alle Regionali) per le prossime scadenze. Ma la scelta di una donna, più un fattore di forma che un obbligo di legge, sembra essere nelle ultime ore diventata secondaria.

Il duo più accreditato è Scilla-Mancuso. Al netto del diritto di veto del governatore sui nomi, una questione interna a Forza Italia: due fuori, due dentro. Ma non è più così. Perché Miccichè – e questo è il secondo prequel della vicenda – è tornato a sentirsi (molto spesso, ultimamente, anche in prospettiva 2022) con Raffaele Lombardo. Che, interpellato da La Sicilia, si tira fuori: «Sono a Roma, non mi occupo di rimpasti». Ma si dà il caso che Savona, ritornato in versione solitaria da Musumeci mercoledì, abbia notificato al governatore la novità: sul “ritocchino” c’è un accordo fra Forza Italia e Autonomisti. Con quest’ultimi vogliosi dell’Agricoltura, col via libera di Miccichè. Che, avendo fatto pace con Gaetano Armao (il patto è che «possiamo convivere senza che l’uno provi a fare fuori l’altro»; terzo prequel da non sottovalutare) sa già cosa chiedere in cambio della rinuncia alla pesante delega: portare l’Arit (l’Agenzia per l’innovazione tecnologica, con in pancia circa un miliardo di fondi Ue) dentro le Autonomie locali, togliendola all’Economia di Armao che però sarebbe ricompensato con la Programmazione, oggi dipartimento della Presidenza. E all’Agricoltura chi andrebbe fra i lombardiani? Lo storico leader potrebbe non volere sacrificare, magari in cambio di una robusta nomination per Palazzo degli Elefanti, Antonio Scavone (oggi al Lavoro, delega che in caso di rimpasto più ampio andrebbe a Fi), ma voci insistenti riportano il pallino nella Valle dei Templi. Dove il papabile è Roberto Di Mauro, mattatore del “miracolo civico” alle recenti Amministrative. Sarebbe lui, che continua a smentire qualsiasi trattativa in corso, l’uomo degli auronomisti. Rafforzato dalla ritrovata sintonia con Gallo, con l’effetto di far innervosire il deputato ex autonomista Carmelo Pullara, che infatti ora, da battitore libero, chiede a Musumeci «un rappresentante agrigentino in giunta», facendo i nomi della stessa La Rocca Ruvolo e della musumeciana Giusy Savarino. Con il chiaro scopo di stoppare l’odiato ex pigmalione Di Mauro. Che, in caso di ingresso in giunta, lascerebbe poltrona di vicepresidente dell’Ars. A Fi (Grasso o Mancuso), o magari a qualche altro alleato finora a bocca asciutta.

Musumeci, nel secondo colloquio con Savona, avrebbe reagito con freddezza all’ipotesi che il turn over possa riguardare il “pacchetto” Fi-ex Mpa. E non solo per l’incubo di un nuovo asse fra Miccichè e Lombardo. Il punto è che mettendosi i muratori in casa, escano fuori altre crepe. La prima riguarda i sopravvissuti di Ora Sicilia (Luigi Genovese e Totò Lentini), che Ruggero Razza, ispiratore-animatore del gruppo, prova a trattenere dal transito nell’Udc evocando per loro un assessorato da togliere proprio ai centristi. Ma il governatore non vuole fare stravolgimenti. «La squadra, per ora, non si cambia» è il refrain. Ripetuto agli ex grillini di Attiva Sicilia, ormai opposizione solo virtuale, anche a malincuore per il profondo legame con Sergio Tancredi, assessore ideale in caso di grandi manovre. Ed è un ritornello rinfacciato ai renziani più collaborazionisti, come Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo, che sussurrano al presidente, anche per interposte orecchie, il nome di Beppe Picciolo in caso di un rimpasto più organico, ricevendo un «non fa per me», motivato pure dai trascorsi crocettiani dell’ex deputato messinese. Ma i diretti interessati smentiscono categoricamente: nessun trasbordo in maggioranza; né, di conseguenza, nomi di assessori.

E poi, al netto dei mal di pancia e delle rese dei conti fra i centristi, c’è la Lega. Che rischia di diventare l’oste più ostico con cui Musumeci dovrà fare i conti. «Non è il momento per fare rimpasti», premette Nino Minardo, influente deputato salviniano. Ma c’è un ma: «Pure se si cambiasse uno o due assessori, la Lega chiederebbe subito un confronto di maggioranza. Per rilanciare l’azione di governo in vista degli ultimi due anni, ma anche per rivedere l’assetto della giunta. Abbiamo accettato i Beni culturali, rinunciando all’Agricoltura, in un contesto d’emergenza. Ma se si riapre il discorso, noi vogliamo dire la nostra».

Per tutto questo (e per molto altro ancora) nell’incontro di oggi pare che Musumeci abbia insistito con Miccichè sull’opzione “sveltina”: si cambia poco e subito, oppure non se fa nulla. Riuscirà a convincerlo?

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