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Sicilia, grandi manovre per le Regionali: il Pd tenta Cancelleri (per scaricare Fava)

Di Redazione |

E così Giancarlo Cancelleri, in cuor suo, spera di fare il Conte di Sicilia. Ma, a sua insaputa, rischia di diventare il Micari del 2022. Prima potenziale vittima sacrificale di Chi vuol essere candidato?, diabolico quiz-show giallorosso.

Spogliata l’ultima scheda nei comuni al voto, è già partita la volata per le Regionali. Nel centrodestra più passa il tempo e più in molti, compresi gli hater, si convincono che Nello Musumeci sia allo stesso tempo il male minore e la polizza sulla vita politica di (quasi) tutti. Chi sarà lo sfidante fra poco più di due anni? A taccuino aperto, chiunque, nel variegato fronte giallorosso, fa spallucce. «È troppo presto». Eppure le ipotesi girano, eccome.

Una prima griglia di nomination campeggiava su una pagina del nostro giornale, lo scorso 29 giugno. In ordine rigorosamente alfabetico: Pietro Bartolo, Caterina Chinnici, Claudio Fava, Leoluca Orlando e Peppe Provenzano. Tutti ancora validi, pur con diverso tasso d’interesse (dei diretti interessati e dei partiti). E ora spunta l’ipotesi del terzo tentativo di Giancarlo Cancelleri, già candidato e sconfitto nel 2012 e nel 2017. Il viceministro grillino, fra i più leali e accaniti sostenitori dell’asse M5S-Pd, negli scorsi giorni si è lasciato sfuggire un’idea meravigliosa: una lista Conte in Sicilia. Testuale: «L’alleanza dovrà avere una componente in più, quella del premier Giuseppe Conte, che qui in Sicilia deve giocare una partita importante e lui può farlo perché è in grado di mettere insieme le migliori energie della regione che non si aggregherebbero sotto un simbolo nazionale ma che potrebbero essere stimolate dalla sua figura».

Una mossa da scacco matto, di cui si vocifera da mesi sullo scacchiere nazionale, che suscita la legittima curiosità di portavoce e attivisti pentastellati. «Gianca’, ma Conte lo sa?», ha osato chiedergli qualcuno sotto il palco dell’osannata Maria Terranova, sindaca di Termini. E l’ex vicepresidente dell’Ars ha ammesso candidamente: «No, ma gliene parlerò presto. Le Regionali sono il più importante test prima dalle Politiche e dobbiamo essere noi a stimolare il presidente».

In attesa che il premier ne venga a conoscenza, è superfluo aggiungere (sondaggisti e analisti politici si sono già espressi sul “partito di Conte”) che la strategia è più che sensata. Eppure nasconde anche le ambizioni personali di Cancelleri, storico portabandiera grillino in Sicilia. «Il candidato non si candida, ma viene candidato…», oracoleggia con chi gli chiede cosa intenda fare.

Ma non sono certo i grillini a volerlo candidare. «Quasi nessuno di noi sarebbe d’accordo», smozzicano dal gruppo dell’Ars. Con cognizione di causa, visto che dell’argomento – cosa dobbiamo fare per le Regionali? – s’è discusso in una riunione negli scorsi giorni. Ed è ovvio che s’è parlato anche di lui. «Giancarlo per noi era un leader, che ci manca, e ora è il miglior ponte col governo nazionale. Ma il movimento in Sicilia deve guardare avanti e non può puntare su chi non ce l’ha fatta quando eravamo sulla cresta dell’onda», è la sentenza – implacabile quanto realista – emessa al chiuso di una stanza di Palazzo dei Normanni. In cui, con la franchezza e la serenità ritrovate dopo l’uscita dei cinque ora in Attiva Sicilia, si sono misurate anche le propensioni personali. E più che quello del capogruppo Giorgio Pasqua o del deputato messinese Antonio De Luca, di cui s’era vociferato, il nome emerso – l’unico, apertamente – è quello di Luigi Sunseri.

Il vero artefice del “modello Termini”, in un’orgogliosa trattativa che il giovane deputato, già collaboratore di Ignazio Corrao a Bruxelles, consegna ai suoi colleghi come strategia sulla scelta giallorossa per Palazzo d’Orléans. «La carretta dobbiamo tirarla noi – s’era sbilanciato Sunseri, in tempi non sospetti, con La Sicilia – perché non possiamo presentarci con un candidato di chi ha governato fino a tre anni fa. E poi ancora oggi il movimento riesce a dare il senso del cambiamento, e deve farlo non solo rispetto a Musumeci».

Certo, fra Pd e M5S c’è l’alternativa “terzista”: Fava. Che ha un ottimo rapporto con Sunseri, tanto d’averlo platealmente definito «uno straordinario parlamentare regionale», di cui «mi fido, perché ho visto quello che sa fare e come lo fa, con competenza e sobrietà», in un comizio proprio a Termini. Fava gode della stima di buona parte del gruppo grillino dell’Ars (Gianina Ciancio non ne fa mistero), ma non va proprio giù ad alcuni, fra i quali, ad esempio, Giampiero Trizzino. Se comunque il M5S forzasse su un proprio candidato, con lo stesso rischio (calcolato) di rompere che c’è stato a Termini, non è detto che dovrebbe essere per forza un deputato regionale. Si aprirebbe un’altra corsa, ma anche una conta. In cui peserebbero, fra altri numeri, i 108.146 voti in Sicilia di Dino Giarrusso alle Europee dell’anno scorso.

Ma allora da dove sgorga per Cancelleri questa insostenibile leggerezza di essere un potenziale candidato? Dal bel rapporto con Conte (che ha persino convinto a considerare il progetto del tunnel subalveo sullo Stretto), in un futuribile partito del premier che gli permetterebbe di derogare al limite dei due mandati, ultima traballante roccaforte del non-Statuto grillino. Ma soprattutto dalla consapevolezza di essere uno dei più fidati pretoriani di Luigi Di Maio, che punta a riprendersi il movimento dopo gli Stati generali prossimi venturi. Eppure il viceministro nisseno ha il più convinto sostenitore nel Pd. O meglio: in parte di esso.

A Palermo in molti giurano che – al netto del feeling del grillino con il segretario regionale Anthony Barbagallo – il vero regista del film “Cancelleri 3, la vendetta” sia proprio Antonello Cracolici. Il raffinatissimo deputato dem, definito «un maestro di tecniche d’aula» dall’ex avversario (ma sempre col dovuto rispetto) Cancelleri.

“Crac”, se l’operazione gli riuscisse, raggiungerebbe lo scopo di liberarsi della candidatura di Fava, sgradita per vecchie ruggini dell’epoca dei Ds e per nuovi contenziosi antimafiosi. «Claudio con la sua commissione “cafudda” su Lumia e su Crocetta – si sfoga con gli amici l’ex assessore all’Agricoltura – dimenticando che in quel governo c’erano anche altri…». Un piddino d’altra parrocchia, sotto patto d’anonimato, fornisce una diversa chiave di lettura: «Alla vecchia guardia del partito conviene non metterci la faccia, riperdendo con Cancelleri, perché così ognuno mantiene le sue rendite di posizione, piuttosto che mettersi in casa Fava».

Anche a non voler dare ascolto alle maldicenze, fra i dem il tema di un presidente dell’Antimafia sempre più ingombrante si pone comunque. Anche per i risultati rivendicati dalle liste dei Cento Passi: fra l’8 il 7% a Barcellona, Marsala e Carini. Il giornalista catanese, anch’esso sconfitto nel 2017 dopo il pasticcio della residenza di cinque anni prima, non è più visto come il «candidato di sintesi» senza un voto, ma è un alleato di cui il Pd comincia ad aver paura.

Come dimostrano anche le prime scintille fra il presidente e Nello Dipasquale, membro pd dell’Antimafia in sostituzione di Peppino Lupo. Nel Pd sono tutti ormai convinti (e qualcuno persino sollevato) dell’indisponibilità dell’unico vero super candidato che il partito potrebbe esprimere: il ministro Provenzano, «sempre più in ascesa a Roma, tanto da pensare a una futura segreteria nazionale», rivela un’altra fonte dem. A meno che Nicola Zingaretti in persona, biascica qualcuno, non convinca il “compagno di Milena” a un «estremo sacrificio» (ripagato a peso d’oro in caso di sconfitta) per espugnare l’Isola a tre mesi dal voto nazionale.

Ma è uno scenario complicatissimo. Tant’è che la tattica più efficace sembra quella di Lupo. Cortese con Fava (che non adora), affabile con i grillini. E silenzioso con tutti. In attesa di condividere, al momento giusto, il nome magico. Che potrebbe essere Orlando, se a Palermo le quotazioni del sindaco non fossero così in calo. O magari l’eurodeputato Bartolo, in linea con le sensibilità catto-solidali del centrosinistra nonostante le perplessità sul profilo amministrativo. O, meglio ancora, Chinnici. Tanto lontana dal partito da essere a distanza di sicurezza pure da beghe e veleni. La proposta finale. Semmai i grillini dovessero declinare l’offerta di un Cancelleri in lizza davvero con la griffe di Palazzo Chigi.

Twitter: @MarioBarresi

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