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Ragusa, con Angela Finocchiaro uno spettacolo triste che ha fatto ridere moltissimo

Al teatro Duemila è andato in scena "Il calamaro gigante"

Di Redazione |

Uno spettacolo triste. Che ha fatto ridere moltissimo. E questo era proprio l’obiettivo che voleva raggiungere Angela Finocchiaro. La protagonista de “Il calamaro gigante” che è andato in scena mercoledì sera al teatro Duemila di Ragusa, nell’ambito della stagione teatrale promossa dall’associazione culturale C&M con la direzione artistica di Carlo Nobile. Il pubblico ha molto apprezzato. Perché chi si è fermato in superficie, ha riso per le battute nevrotiche contemporanee della protagonista e per le sue reazioni alle situazioni paradossali create in scena. E stop. E’ uscito dal teatro rilassato e sereno dopo un’ora e tre quarti brillanti.

Chi ha voluto scendere giù, molto giù, chi ha voluto approfondire il significato vero di questa commedia, ha dovuto confrontarsi con le tematiche legate all’inconscio personale e collettivo, con gli archetipi e il bisogno di mitologie diffuse in cui riconoscersi per sentirsi parte di una stessa specie: con tutte le paure profonde che provoca l’avventurarsi in certi territori interni ed esterni alla propria mente. E allora si ritorna in superficie: alla battuta nevrotica, spiazzante, urbana alla Woody Allen-Finocchiaro, che serve ad esorcizzare la paura. Ma tanto è inutile, perché non si può scappare dalla psicologia e quindi dalla paura collettiva che appartiene a ciascuno di noi in quanto esseri umani. Uno spettacolo triste che fa ridere, si diceva appunto. Una protagonista che passa la vita a rifugiarsi nel suo mondo di illusorie sicurezze, fatto di pratiche assicurative dove tutto quello che può accadere è già stato previsto in un modulo burocratico: e se accade è comunque già stabilito un risarcimento. Le scene non ci sono. Tutto si limita a un paio di carrucole, con cime e bozzelli che evocano il sartiame delle navi a vela del passato. Ci sono grandi teli bianchi che di volta in volta ricordano le vele, appunto.

Oppure il mare in tempesta; o un’isoletta in mezzo all’oceano; o un mostro marino che ti ingoia all’improvviso. A muovere i teli (sopra, sotto, di lato) creando ogni volta qualcosa di diverso sono otto bravissimi attori di teatro-danza, capaci di fare tutto: dalle acrobazie, ai mimi, dal canto alle ombre cinesi, alla recitazione. Eccezionale quando riescono a trasformare l’ombra dei loro corpi in una barca nel mare in tempesta con persone a bordo. La parete posteriore è uno schermo. Sullo schermo la computer grafica crea mari agitati, navi, barche, onde e soprattutto enormi tentacoli che arrivano a ghermirti per portarti a fondo. Ma evoca anche la dolce nonna della protagonista, che cerca di indurre la nipote Angela ad aprire la mente alle possibilità e alle verità dell’irrazionale. Ovviamente la nipote si rifiuta e fugge per la paura. Ma tanto è inutile, si diceva prima: non puoi sfuggire alle paure dell’inconscio. E quindi Angela ci si ritrova in mezzo, a combattere con il mostro vero: dopo avere per sua sfortuna chiesto e ottenuto la fine del mondo, al culmine di un momento di incazzatura con l’Universo. Un ottimo Bruno Stori nei panni dello scienziato esploratore Montfort le regge il sacco, mentre la fantasia si incrocia con la realtà e le storie di mostri veri ritrovati si incrociano alle biografie di altri scienziati-esploratori e visionari destinati a non essere creduti. Il lieto fine? Non c’è.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA