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Catania, la storia di madre e figlia salvate dallo stesso chirurgo a distanza di 33 anni

Roberta Rapisardi era cardiopatica e dopo il trapianto mise al mondo la figlia Benedetta che è stata operata dal primario Livi

Di Redazione |

Mamma e figlia unite dallo stesso destino: una grave cardiopatia.  A salvarle, a 33 anni di distanza, le stesse mani, quelle del primario  Ugolino Livi.  E’ il 1989 quando Roberta Rapisardi, catanese, allora ventottenne, si rivolge al cardiochirurgo. Su di lei, a Padova, viene eseguito un trapianto di cuore, il primo che Livi esegue in prima persona. L’intervento ha successo. Roberta sta bene, si laurea (in Architettura), si sposa e, a nove anni dall’intervento, diventa pure mamma. Nasce una bimba, Benedetta, che presto però manifesta la stessa malattia. Oggi la giovane ha 25 anni. Le sue condizioni nell’ultimo periodo si aggravano e a ottobre subisce lo stesso intervento della madre. A operarla, a Udine, è sempre Livi. Per lui è l’ultimo trapianto prima della quiescenza da direttore della Cardiochirurgia del Santa Maria della Misericordia. Un congedo che è anche un ritorno a dove tutto era cominciato. 

La storia è raccontata dal “Messaggero Veneto” e dal “Piccolo”. Quando Roberta, studentessa catanese, incontra Livi la grave cardiopatia le lascia poche speranze. Nessun dubbio dunque sul trapianto, pur sapendo che allora i trapianti in Italia si eseguivano da non più di tre anni. L’intervento funziona, la vita di Roberta va avanti. Decide anche di correre un rischio – perché la malattia può essere geneticamente trasmessa – e di diventare mamma. Livi assiste al parto perché, racconta il medico, Roberta «venne a partorire a Padova, voleva il cardiochirurgo che l’aveva trapiantata vicino. Allora non erano molte le donne trapiantate di cuore che avevano avuto figli. Ora accade quasi normalmente».

Benedetta è sottoposta da subito a continui controlli, presto il suo cuore inizia a soffrire. Roberta cerca nuovamente Livi, che la indirizza al centro specializzato in cardiopatie diretto da Giancarlo Sinagra a Trieste. Qui Benedetta viene seguita a lungo. A un certo punto la situazione però si aggrava, la giovane si ritrova nel reparto di terapia intensiva, dove rimane due mesi in attesa di un cuore compatibile. «Non era facile trovarlo – spiega Livi – lei minuta di corporatura aveva bisogno di un cuore piccolo con caratteristiche particolari». Ma a ottobre per Benedetta arriva un organo. Sono passate alcune settimane dall’intervento: la giovane oggi sta bene ed è stata dimessa. 

Roberta conduce una vita «normalissima» e presto potrà farlo anche sua figlia. «Ogni mattina quando mi alzo – confessa la madre – anziché pensare “sono una trapiantata” penso a vivere normalmente la giornata. Tutto questo – ne è certa – è servito a Benedetta per affrontare la paura dell’intervento».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA