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Chirurgia vertebrale e materiali innovativi per dire addio al mal di schiena

Il neuronavigatore e la fluoroscopia 3D fanno vedere in tempo reale il posizionamento delle viti. Il dott. Romano (Humanitas): «Prestazioni affidabili e di alto livello» 

Di Redazione |

L’ernia del disco, la stenosi del canale vertebrale e la spondilolistesi sono le patologie degenerative più comuni che interessano la colonna vertebrale e sono quelle per cui si ricorre più di frequente al medico. La popolazione italiana è sempre più anziana ma ha stili di vita sempre più giovanili e chiede soluzioni per i disturbi che il tempo inesorabilmente produce sulle  colonne vertebrali.  Sono sempre di più dunque gli interventi chirurgici per queste patologie. Ma, quanto è affidabile oggi la chirurgia della colonna vertebrale e cosa c’è di nuovo in questa disciplina? Lo chiediamo al dott. Alberto Romano, responsabile del reparto di Neurochirurgia e dell’Ortho-Neuro Center del nuovo Istituto Clinico Catanese Humanitas.

 «La chirurgia della colonna vertebrale – spiega il professionista – è una disciplina che ha conosciuto una rapida evoluzione a partire dagli anni ‘90. In questi decenni è divenuta sempre più sicura, affidabile e meno invasiva, consentendo così ai pazienti un recupero molto rapido anche dopo interventi impegnativi». «La microchirurgia della colonna – aggiunge – è ormai divenuta estremamente sofisticata. I sistemi di stabilizzazione vertebrale si sono evoluti in modo tale da essere robusti, affidabili, poco invasivi e facili da impiantare. Ancora più di recente, il neuronavigatore e la fluoroscopia 3D intraoperatoria hanno consentito di “vedere” in tempo reale il posizionamento delle viti nella colonna vertebrale, riducendo drasticamente il rischio di cattivo posizionamento e quindi le complicanze. L’uso di sistemi di monitoraggio neurofisiologico intraoperatorio “avvisa” il chirurgo che le strutture nervose che sta manipolando stanno soffrendo, riducendo così il rischio di danno neurologico». «La novità più interessante in uso nella nostra sala operatoria, che ha migliorato sensibilmente i risultati è rappresentata dall’uso di biomateriali realizzati in titanio lamellare con stampanti 3D per i metalli».

Quand’è che si ritiene necessario l’utilizzo di questi materiali? «Quando bisogna ottenere la fusione tra due vertebre come, ad esempio, quando si opera un’ernia del disco cervicale o una spondilolistesi. In questi casi vengono posizionati al posto del disco intervertebrale dei supporti detti “cages”. Inizialmente prodotte in carbonio o in Peek, negli ultimi anni sono state sviluppate cages in metallo. L’uso innovativo della stampante 3D consente di ottenere materiali leggeri e robusti. La loro struttura interna, costituita da fini trabecole, assomiglia molto alla struttura dell’osso. A febbraio abbiamo pubblicato in collaborazione con il laboratorio di Biotecnologie dell’Istituto Galeazzi una ricerca sull’International Journal of Molecular Sciences che dimostra che la struttura di questi materiali non solo consente la migrazione delle cellule ossee al suo interno, ma addirittura la facilita, favorendo una rapida integrazione dell’impianto con l’osso adiacente e, di conseguenza, una guarigione più rapida».

Altri vantaggi di questi materiali? «La possibilità di dar loro forme anatomiche che consentono di mantenere o ripristinare la corretta curvatura della colonna, migliorando così il risultato chirurgico. In certe circostanze è possibile ottenere  impianti su misura, stampati per quel singolo caso su indicazione del chirurgo realizzando una procedura sartoriale “cucita” sulle esigenze del paziente».

Grazie alle nuove tecnologie, insomma, potremo dire addio al mal di schiena? «No. Non è corretto pensare che il chirurgo possa  risolvere tutti i problemi della colonna. Il limite principale di questo tipo di intervento è che tratta patologie degenerative. Frequentemente i segmenti di colonna vertebrale a monte e a valle di quelli trattati chirurgicamente presentano anch’essi un certo grado di degenerazione. Non è sempre facile decidere quali segmenti di una colonna vadano trattati chirurgicamente e quali vadano lasciati “indisturbati”. Ci sono, ovviamente, criteri scientifici rigorosi che regolano molte decisioni, ma non è raro che la complessità di alcuni casi renda difficile incasellarli in uno schema semplice. In questo senso il lavoro del chirurgo vertebrale assomiglia a quello di un restauratore: è necessario spiegare al paziente che comunque la sua colonna vertebrale continuerà a invecchiare e è inevitabile che alcuni disturbi permangano o si ripresentino nel tempo. Per questo la comunicazione tra il chirurgo e il paziente è fondamentale». «Bisogna precisare inoltre che la chirurgia viene proposta solo in pochi casi selezionati. Molti episodi di dolore acuto tendono a guarire spontaneamente in poche settimane e non necessitano di trattamenti aggressivi. In molti casi di dolore cronico basta modificare lo stile di vita riducendo il peso corporeo, rinforzando i muscoli della schiena e dell’addome con ginnastica specifica e facendo più attenzione alla postura, soprattutto quando si compiono sforzi fisici».

Comunque sia, nonostante la chirurgia innovativa, i cosiddetti viaggi della speranza fuori regione continuano. Perché? «Proporci come un riferimento per arginare la migrazione nel resto d’Italia o anche all’estero è uno degli obiettivi che ci siamo posti quando, poco più di un anno fa, abbiamo cominciato il nostro percorso all’Istituto Clinico Catanese Humanitas. Va comunque precisato che sono molte le strutture siciliane che in questo campo forniscono prestazioni altrettanto affidabili e di livello elevato. Perché la gente continua ad andare fuori ugualmente? Non lo so. Ma, mi creda, non ne vedo il motivo».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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