Tutela alla salute e diritto a “vivere” la socialità
In corso di pandemia il grido dell’inconscio che non può rimanere inascoltato. Intervista al prof. Sergio Paradiso
Tutela alla salute e diritto a “vivere” la socialità
Nell'antica Roma la salute era la dea della salvezza intesa come garanzia di forza vitale e di continuità. Alla dea Salus gli indigenti affidavano tutte le loro speranze.
Il popolo romano si riconosceva unanime nella venerazione della Dea, e gli imperatori per questo motivo ne tennero in gran conto il culto che contribuiva all'unità socio-religiosa della popolazione, auspicata dalla politica imperiale. Con anacronismo, potremmo dire che oggi, in tempo di pandemia, stiamo vivendo, anche se in modo diverso e problematico, un momento di esperienza collettiva della sacra Salus.
A causa delle misure globali di contenimento dell'epidemia, infatti, tutto il mondo sta pagando la tutela della Salute pubblica dal Sars-CoV-2 a caro prezzo: non solo lo sgretolamento dell'economia reale mondiale, ma soprattutto l'inibizione di quasi tutte le forme dirette di socialità, divenute veicolo dei contagi, attraverso il “distanziamento interpersonale” finanche all'isolamento. Eppure mantenere uno stile di vita aperto agli altri è esigenza della salute.
La psicanalisi spiega, infatti, che le relazioni sociali costituiscono il nutrimento strutturale del soggetto. Sull’argomento sentiamo il prof. Sergio Paradiso, psichiatra, psicoterapeuta e neuro-scienziato, già professore di ruolo di Psichiatria e neuroscienze all'Università dello Iowa negli Usa.
Prof. Paradiso, abbiamo visto risposte diverse all’emergenza Covid-19 tra le persone: tra le più frequenti la insofferenza a seguire le regole dell’isolamento dettato. Cosa ne pensa?
«Al netto del fatto che alcune disposizioni sono e sono state difficili prima da comprendere e poi da seguire e che in alcune falde ristrette di popolazione c’è una tendenza a non amare le regole, bisogna rilevare che la psicanalisi ci insegna che ogni soggetto ha necessità direi costante di essere incluso in un circuito di riconoscimento. Anche in età adulta lo sguardo dell’altro aiuta a definire i contorni del soggetto che non sono, come si crede generalmente, così solidi e scontati, pertanto in un periodo di isolamento come quello che stiamo vivendo si possono sviluppare più facilmente stati di ansia e depressione».
«Per lo psichiatra e psicanalista francese scomparso nel 1981, Jacques Lacan, il fatto stesso di comunicare rappresenta un fondamento del soggetto. Il linguaggio usato nelle direttive sanitarie e politiche, generalmente sembra snobbare ipotesi di aggregazione sociale (che potrebbero svolgersi in modo responsabile e controllato) in spazi aperti come quelli che offre la natura».
Anche molti esperti ripetono che è opportuno l'isolamento in casa, specie degli anziani, che chattare usando tablet e smartphone può addirittura aiutare molto a ridurre disturbi dell'umore e deficit cognitivi. Cosa ne pensa?
«Durante la vita, il cervello umano non sarebbe in grado di produrre emozioni senza gli impulsi provenienti dal corpo. Il disorientamento, in particolare degli anziani, di fronte al massiccio uso dei mezzi telematici, e lo struggimento collettivo per le perdute occasioni di incontro reale, sono atteggiamenti che raccontano una verità: nessuna esperienza surrogata del mondo virtuale può essere terapeutica quanto il reale contatto con l'ambiente e gli scambi in persona, con la premessa che, in una pandemia, questi ultimi debbano essere opportunamente gestiti. Il neuro-scienziato e scrittore best-seller Antonio Damasio, mio collega all’Università, ci ha insegnato che le emozioni sono centrali all’essere umano. A partire da esperimenti empirici il suo gruppo di ricerca mostra che le emozioni umane, oltre ad essere, addirittura, la base della “capacità di prendere decisioni adeguate” - come spiegato in A. Damasio, “L'errore di Cartesio”) - sono eminentemente corporee».
Per avere una mente sana non basta che il corpo sia sano, ma è necessario che il corpo incontri il mondo naturale e gli affetti. Cosa pensa del cosiddetto negazionismo?
«Chi non si adatta a seguire le misure di prevenzione ovvero le “regole” (mascherine, distanziamento, coprifuoco, ecc.) direi che esprime fortemente la difficoltà insita nel soggetto di fare a meno dello sguardo dell’altro e della propria voce enunciante. Nei negazionisti propri (coloro che non credono nella pandemia e nel virus), ritengo possa prendere il sopravvento un meccanismo di difesa chiamato negazione (Verneinung secondo Freud) che serve all'inconscio per allontanare l'angoscia di morte nella speranza mal riposta che conseguenze non avverranno».
Il benessere derivante dalla socialità è premessa di salute. In attesa che la pandemia si riduca fino a scomparire, gli spazi aperti come ad esempio le aree di interesse naturalistico, possono essere grandi alleati per riformulare politiche aggregative socio-culturali , destinate a tutte le fasce di età, compatibili con le misure sanitarie di prevenzione, per una cultura dell' “avvicinamento responsabile”».