Molti amanti del cinema hanno in mente la scena del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, in cui un eccentrico barbiere ebreo si prodigava con zelo a radere un cliente a ritmo della Danza Ungherese n.5 di Brahms, diffusa da una radio presente nella bottega. Ma non tutti sanno che nelle antiche barberie della Sicilia dei primi anni del ‘900, allo stesso modo, risuonavano le note dal vivo delle chitarre e dei violini, dei mandolini e della ciaramedda (la zampogna), mentre qualche cliente divertito si dilettava ad accompagnarne il suono con i cucchiari.
Erano i tempi dei saloni – prima dei barber shop, delle lamette usa e getta, e degli hair stylist – in cui l’odore acre di schiuma e colonia si mescolava al profumo dei calendari osé appesi alle pareti con colorati fili di raso, e i barbieri erano una volta confidenti, un’altra improvvisati dentisti, ma soprattutto virtuosi maestri dell’arte musicale, divulgatori di un repertorio a metà strada tra la musica d’arte e la tradizione popolare, che comprendeva musiche spesso riprodotte a orecchio e tramandate da generazione in generazione, dai valzer ai pasturali, passando per le mazurke, le polke e le tarantelle, fino alle romanze recitate dai cuntaturi.
A Porto Empedocle si trovava invece il salone di don Nonò la cui storia è narrata da Andrea Camilleri all’interno dell’interessante volume del 2009 “Musica dai saloni, suoni e memorie dei barbieri di Sicilia” curato da Gaetano Pennino e Giuseppe Piscopo. «Nel Salone di don Nonò – scrive Camilleri – c’era il concertino eseguito dal duo Pirrotta-Spitaleri, di grande fama paesana. Pirrotta, al mandolino, era un ferroviere, Spitaleri, falegname, suonava la chitarra, […] venivano ingaggiati in occasioni speciali quali matrimoni o particolari ricorrenze. Si prestavano anche a serenate notturne (allora usavano) che gli innamorati facevano eseguire sotto le finestre delle loro belle. Certe volte le serenate finivano con la fuga precipitosa del duo, inseguito da qualche padre geloso che non gradiva la gentile attenzione verso la figlia. […] In occasione del concertino il salone si affollava all’inverosimile e il duo era costretto a suonare praticamente schiacciato contro il muro. Io me lo godevo da fuori, appoggiato alla porta, sicuro che don Nonò era troppo impegnato per darmi la caccia. Poi, nel 1942, il fascismo proibì i concertini. La guerra – spiegarono i gerarchi – poteva tollerare solo marce militari e inni patriottici. E il salone di don Nonò s’intristì».
È improbabile che le forbici di Don Nonò andassero perfettamente in sincronia con la musica, ma per un attimo ci piace immaginarlo così, a sciacquare e asciugare le mani nella tinozza, affilare la lama del rasoio, riempire di schiuma il viso del cliente per poi raderlo ora delicatamente ora in maniera rude, con movimenti lenti o rapidi, seguendo precisamente il ritmo scandito dai violini e dai contrabbassi. Come in un film.