Arte
Alessandro Florio, a Taormina un pittore vacanziere d’altri tempi nato con l’arte del tattoo
Nel mondo dell'artista messinese, già molt apprezzato e pronto ad esporre a Londra, ci sono palme, animali fantastici, frutta e fiori esotici, ma anche allegorie e bizantinismi, santi e burloni della tradizione siciliana
Viene dalla “provincia”, anche se la sua, Taormina, è un luogo del mondo. Alessandro Florio non ha neanche 50 anni e già di lui si parla moltissimo. Il “giro” è quello dell’arte contemporanea, fatto di critici, artisti e gallerie internazionali e nel quale si è appena affacciato senza neanche sapere come. Entrare nel suo atelier (a Taormina, ndr), è come immergere la testa sott’acqua. La luce, i riflessi delle vetrate, i colori dei quadri, sono come filtrati dal liquido che rende le immagini percepite come se ci fosse una sorta di lente d’ingrandimento dinanzi agli occhi di chi guarda. Disegni, quelli sulle grandi tele, usciti da pura immaginazione e nei quali sono il blu e il verde che risaltano maggiormente ma, se ti aiuti con la luce di una torcia, il rosso, il giallo, l’arancio e l’oro si accendono in tutto il loro scintillare. Il mondo di questo artista siciliano, piccolo e scuro come uno scugnizzo napoletano, tautuato dalla testa ai piedi perché «questa è stata la prima passione» è fatto di grandi tele dove vi trasferisce tutta la sua fantasia: palme, animali fantastici, frutta e fiori esotici, ma anche allegorie e bizantinismi, santi e burloni della tradizione siciliana (un quadro è dedicato a Pippo Pernacchia, ndr), l’humor dell’Isola, oltre che i richiami a tutte le terre del sud, all’arte sacra, alle stratificazioni di culture diverse e della Sicilia di oggi, viva, contemporanea. L’effetto “sott’acqua”, inoltre, rende gli oggetti più vicini e più grandi rispetto a come appaiono in superficie. Ed ecco le grandi tele, pareti intere, con figure giganti.
Florio, da dove viene tutto questo e da dove viene lei. È spuntato fuori come un folletto delle fiabe indiane o persiane?
«Macchè, sono figlio di un direttore d’albergo e di una madre casalinga e anche quando la vita non è stata dolce con noi, quando nel 1997 ho perso il mio unico fratello Davide, 3 anni più grande di me, non ho perso fiducia e ho creduto nella possibilità di un futuro lieve, nella forza dell’ironia e del sorriso. Non ho grandi passioni al di là dell’arte e posso dire che il mio “hobby” è quello di vivere nel mio adorato paese, Taormina, che magicamente non mi fa mai annoiare, facendomi sentire un pittore vacanziere di altri tempi».

In effetti ha uno stile un po’ alla Capri degli anni ’50. Ma come ha scoperto il tuo talento, oggi ricercatissimo da raffinati collezionisti?
«Alla Mazzarò, più che alla Capri (ride, nda). Nel 2007 ho avuto il primo approccio con il mondo del tatuaggio e qualche anno dopo ho aperto il mio primo Tattoo studio. In fondo, quando ti siedi e crei un disegno per un tatuaggio devi avere anche un pizzico di creatività e di fantasia. Non è un mestiere meccanico, ci vuole talento e poi c’è molto di te, anche se si tratta di servizi su commissione. Come sono passato alla pittura? Ho sempre pensato che nella vita avrei fatto questo! Poi un’esperienza in Brasile, molto tempo fa, che mi ha segnato e ho voluto dedicare le mie forze interamente a quello per cui mi sentivo più portato. L’incontro con il tatuaggio e stata una casualità, quello con la pittura una predestinazione».
Addirittura?
«Certo, è la mia vita. Agli inizi lo facevo anche solo per me stesso e se andate a guardare alle mie prime opere, quelle per cui mi sono fatto conoscere e che mi hanno portato a un discreto successo, sono davvero un mix di bizantinismi e sicilianità, ma è anche dell’influenza che ha avuto la mia vita a Taormina, un piccolo centro che è un’esplosione di colori e di culture diverse. Ecco, sono un giovane artista, ma con tanto entusiasmo».
A cosa s’ispira realmente, o meglio, a cosa pensa quando dipinge?
«La pittura del ’900 è quella al momento sento di più come fonte d’ispirazione, anche se ultimamente mi sta appassionando moltissimo l’arte contemporanea. Lo scorso settembre ho visitato la personale di De Kooning all’Accademia di Belle Arti di Venezia e mi sentivo in una giostra, un luogo immenso e ricco d’ispirazione, dall’arte sacra alle magnifiche stanze della galleria di Peggy Guggenheim».

Fisico minuto ma tele enormi: da dove nasce la scelta?
«La prima volta che visitai il Louvre, tanti anni fa, mentre tutti erano intenti ad osservare la Gioconda di Leonardo, io rimasi pietrificato d’innanzi una pala d’altare di Cimabue. Misurava cinque metri per tre, era così magnetica e magnifica che dentro di me pensavo: voglio fare questo. Cimabue fu un pittore di spregiudicata capacità innovatrice, quest’altra sua caratteristica, nel mio piccolissimo microcosmo, mi affascina tantissimo. Da lì il mio approccio alle tele è sempre stato in grande scala. Voglio essere riconosciuto come uno “spregiudicato” di Sicilia».

Taormina come ombelico del mondo o trampolino per il mondo?
«Per me è l’unico ombelico nel mondo. È casa, la mia famiglia, il luogo dove è nata mia figlia e dove sono cresciuto con tutti gli amici di una vita. Sono riconoscente al mio paese, mi ha permesso di conoscere e farmi conoscere, è sempre stato un passo in più degli altri, in Sicilia, e poter avere una galleria in pieno centro storico è sicuramente motivo di orgoglio. Devo molto alla mia compagna Valeria, prima fan dei miei lavori e madre esemplare, e alla sua famiglia, rispettatissimi imprenditori».
Quali sono i progetti futuri?
«Sto lavorando per due nuove mostre. Una collettiva e una personale a Londra grazie alla galleria Maddox, che per me è il massimo delle vetrine. Ma ho avuto anche il piacere di iniziare a collaborare con gallerie importanti come la Liquid Art System con sede a Miami e a Capri. Obiettivo di quest’anno per me e poter esporre a dicembre a Miami, alla prossima edizione di Art Basel. Lo scorso anno, grazie alla galleria Cà D’Oro ho esposto ad Art Miami, ma Art Basel rimane per me la Mecca dell’arte contemporanea».
La sua precedente linea stilistica era molto differente, molto più bizantina, ma è quella che ha portato alla ribalta. Come avviene il passaggio a questa nuova versione di Florio, molto diversa?
«Sono cresciuto! Un passaggio necessario, ero troppo fossilizzato in uno stile che non dava vie d’uscita ritrovandomi intrappolato in un limbo. Era come se vivessi nelle foreste che disegnavo, la magia e gli influssi del Brasile si sentivano enormemente. A volte bisogna mettersi in discussione ed io ho deciso di farlo, sono stato mesi a meditare, a provare cose che uscivano dalla mia nuova testa. Bisogna osare per non rimanere atrofizzati su di un binario morto. Resto dell’idea, comunque, che la mia priorità e rifarmi alle mie radici, alla Sicilia e rivisitare la tradizione secondo la mia chiave personale e affettiva».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA