L'intervista
Da Casta a Costner, vita da press agent
In libreria il “Manuale di sopravvivenza” di Pierluigi Manzo, catanese, che racconta set, backstage, meraviglie e capricci dei divi. Dalla costola lussata per difendere Can Yaman al colpo di fulmine con Laetitia
L’imbarazzo di Kevin Costner «quando fu convinto da Paola Cortellesi e Laura Pausini a partecipare allo show di Raiuno ma senza aver ben capito di cosa si trattava», la costola lussata «per difendere Can Yaman dalla foga di una fan che ebbe la meglio», il colpo di fulmine con Laetitia Casta «che la sera in cui presentavamo un film a Milano si rese conto che era il mio compleanno e mi mise tra le mani un cuore di quarzo rosa che da allora porto sempre con me», i capricci del team di Isabelle Huppert a Venezia, «irremovibili nel non voler far fare a piedi all’attrice i 200 metri che separavano il suo hotel dal luogo della conferenza stampa. Non so veramente come, ma dopo una serata passata a pregare il Cerimoniale, l’organizzazione della Mostra e ogni santo in paradiso, ottenni un’auto elettrica autorizzata. La mattina lei, carismatica e affascinante, una vera diva, esce dall’hotel, l’autista le apre lo sportello, volge lo sguardo verso di me “ma c’è il sole, perché vuoi andare in auto? Su andiamo a piedi…».
Di questo e di molto altro ci racconta Pierluigi Manzo di cui sta per arrivare in libreria “Professione Press Agent: manuale di sopravvivenza. Comunicare cinema, fiction e star tra errori, aneddoti e successi” ( edito da Les Flaneurs Edizioni) , circumnavigazione di un mondo sempre sotto i riflettori eppure pieno di angoli e di zone ignote, alla ricerca di cosa parliamo quando parliamo del mestiere del press agent tra set e backstage, telecamere e copertine, meraviglie e capricci, spalmando con delicatezza gourmet ironia e leggerezza.

Ma come è cambiato negli ultimi decenni divorati dal virtuale questo mestiere amato – odiato?
«Praticamente c’è stata una rivoluzione che ha cambiato la percezione che il pubblico ha degli artisti. I divi di un tempo erano gli attori del grande schermo, le pop star e i cantautori, i comici, i conduttori, le più famose showgirl televisive oppure le super top model. Erano figure caratterizzate da un’aurea di impalpabilità, la distanza tra loro e il pubblico era netta, erano considerati inarrivabili. Oggi più che di divo, si parla di “personaggio”. Ai tempi delle lucherinate la vita privata del talent poteva essere violata solo da un paparazzo o da qualche scandalo giornalistico, spesso, appunto, anche architettato a tavolino. Oggi, attraverso instagram, ad esempio, i “famosi” parlano direttamente al pubblico e il pubblico stesso è diventato un vero e proprio reporter, sostituendosi al giornalista, pubblicando contenuti, immagini e video, anche senza uno specifico consenso a farlo».
Andando oltre le star internazionali, a quali artisti siciliani sei più legato?
«Comincerei da Maria Grazia Cucinotta, una persona eccezionale, una vera amica. La conosco da più di venti anni, ha creduto in me quando io ero appena uno stagista e lei una delle nostre attrici più conosciute al mondo. Generosa, materna e di grande sensibilità. Proseguirei con Isabella Ragonese cui ho affittato per alcuni anni un monolocale a Roma, quando aveva fatto i primi film ma si capiva già che il suo talento l’avrebbe portata in alto, e con Donatella Finocchiaro, di cui sono il press agent, una catanese doc come me. E aggiungo Carmen Consoli, che ricordo, quando ero adolescente, andavo a sentirla suonare allo storico pub “La cartiera” di Catania e sono stato felice la scorsa settimana di presentare a Roma il film “L’amore che ho”, di cui cura le musica. Ma anche il catanese Simone Susinna, ex modello, attore conosciuto in mezzo mondo con milioni di followers, con cui ho lavorato per il film “Malamore”. Mi è bastato parlarci pochi minuti, per ritrovare quella sicilianità, profonda, infuocata, solare e un po’ barocca della nostra città».
