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Mario Monterosso, un chitarrista rockabilly di Trecastagni nel “tempio” di Elvis Presley

 E' tra gli artisti più apprezzati di Memphis. A 43 anni Monterosso, ex cancelliere nell’ufficio del Giudice di pace di Roma, ha deciso di cambiare vita

Di Elisa Petrillo |

«La mia famiglia mi ha dato solide radici ma il rock and roll mi ha fatto viaggiare lontano». Ed è proprio lì, in quella terra “magica”, fatta di passione, emozioni e soprattutto musica, che ci ha condotto in modo travolgente Mario Monterosso, il chitarrista, made in Catania, tra gli artisti più apprezzati di Memphis, dove ormai vive da diversi anni. Parlare con lui è come sentire le note del rock più puro, quello delle origini, senza contaminazioni, che ti brucia dentro, dalla prima all’ultima sillaba o nota. Affascinanti la sua storia e lui che quando parla del suo sound, si illumina di una luce speciale, di quelle che si vedono poche volte, e che appartengono solo a chi il successo lo ha raggiunto con grande determinazione, sacrificio e talento innato. Il suo stile chitarristico fedele alle origini, lo ha notato anche la moglie di Elvis Presley, Priscilla, che lo ha invitato ad esibirsi durante le celebrazioni dei 40 anni dall’apertura al mondo di Graceland, lo scorso 22 luglio. Si tratta della casa del re del rock a Memphis, luogo visitato fino ad oggi da oltre 22 milioni di persone, tornato all’attenzione poche settimane fa, perché si è svolta l’anteprima di “Elvis” il film diretto da Baz Luhrmann, introdotto da Priscilla e sua figlia, l’unica erede di Elvis, Lisa Marie.

Tra gli ospiti d’onore di questo tributo, oltre al soprano internazionale Kallen Esperian (che per 25 anni si è esibita con Luciano Pavarotti) e il cantante pianista Brennan Villines, c’era proprio il nostro Mario Monterosso. Al Lohrey Theatre il chitarrista nonché produttore etneo, si è esibito suonando una versione strumentale di “Don’t”, brano che Elvis incise nel 1958, accompagnato dall’orchestra diretta dal Maestro Gary Beard. Dopo la cerimonia, Monterosso ha guidato il suo quintetto rockabilly nel foyer del teatro. Una serata memorabile, ma così come lo è tutta la storia artistica di Mario, che dalla sua stanzetta di Trecastagni, dove è cresciuto, si è poi ritrovato da adulto sui palcoscenici più importanti del mondo. A far scoccare la scintilla una cassetta musicale. «Era il 1982, avevo 10 anni, mi regalarono la cassetta di un programma londinese intitolato “Radio Memphis” e la mia seconda cassetta fu poi un “Greatest hits” di Elvis. Ma io mi innamorai del mondo del rockabilly, grazie a mia sorella, pianista classica, che mi portò a un concerto dove suonavano questi artisti con i basettoni, ciuffi, camice con le svolte – che io indosso tutt’oggi –  e ho avuto l’illuminazione, proprio come i Blues Brothers. “Cos’è questa cosa?” dicevo a mia sorella, e lì ho capito che volevo essere questo e diventare come loro».

Da lì hai cominciato a cambiare il tuo stile ed è arrivata la prima chitarra e le prime band.  «Dalla tuta che indossavo perché frequentavo i salesiani di San Filippo Neri, mi ritrovai con il ciuffo, una maglietta rossa e la stampa con la bandiera confederata. La mia tesina della scuola media la feci proprio sul rock and roll e il rockabilly. A 15 arrivò la prima chitarra elettrica, che ho ancora, regalata dalla mitica zia Lia, cantante lirica e poi i primi gruppi al liceo, la mia prima band “Underground Blues Band”. A 16 anni la chiamata di Renato Zappalà, un’istituzione nell’ambiente rock ’n roll catanese, che cercava un chitarrista solista. Dissi subito sì e diventai il chitarrista dei “The Rhino Rockers”.  Per lo più ho studiato sempre da autodidatta e poi a 28 anni ho preso lezioni da Mimmo Sferro, jazzista a cui devo tutto quello che oggi faccio musicalmente all’interno di una pluralità stilistica che mi ha aperto nuovi orizzonti». 

Chi erano i tuoi miti?  «C’erano dei miti che erano quasi un must come Elvis, James Dean, Marilyn Monroe. Nella musica mi hanno influenzato sicuramente Chuck Berry, Carl Perkins, Scotty Moore, Cliff Gallup, Brian Setzer, Vince Mannino, Johnny Winter, Robben Ford, George Benson, Albert Collins, BB King and Eric Clapton. Non solo rock and roll e rockabilly, ma anche la musica country, il blues e lo swing».

Nel 2003 lasci Catania e vai a Roma.  «Qui ho avuto modo di condividere questa mia passione con Claudio “Greg” Gregori anche lui appassionato di rock ’n roll. Nel 2004 sono stato chitarrista di Carmen Consoli nel tour italiano Carmen in blues. E poi la commedia musicale che scrissi qualche anno fa “Fui e Sono Eddie Redmount”, messa in scena al Musco di Catania e l'ultima volta al Manzoni di Roma con la regia di Claudio Gregori».

Come sei arrivato a Memphis?  «Nel 2014 una mia amica mi propose di lavorare con un artista americano, Tav Falco, e così diventai chitarrista dei suoi “Panther Burns”. In seguito anche suo produttore. Ho prodotto i suoi ultimi 6 album. Dopo un primo tour europeo nel 2015, Tav mi ha portato in tour in America nell'ottobre 2015, un coast to coast di 23 date. Fra le varie tappe ovviamente ci fu anche Memphis. Non appena  misi piede in questa città mi sentii a casa, c’era un’insolita sintonia, come se fosse sempre stata parte della mia vita». 

Un colpo di fulmine: abbandoni tutto, passi dalle aule giudiziarie ai palcoscenici musicali in modo definitivo, e ti trasferisci in America.  «Sì, ho deciso di licenziarmi dal mio lavoro ordinario come cancelliere nell’ufficio del Giudice di pace di Roma e di dedicare la mia vita interamente alla musica, trasferendomi nella città che ha dato origine al suono che ha cambiato il mondo: Memphis. Questo trasferimento non è stato semplice, avevo 43 anni. Ma qui ho trovato terreno fertile. Nell’arco di alcuni mesi ho cominciato a suonare alle jam session. A dicembre ero già in giro con artisti in vari locali. E poi l’incontro con Dale Watson, chitarrista cantante texano. Ho registrato alla Sun Records varie volte. Nel 2020 ho conosciuto Priscilla Presley, in un locale storico in cui Elvis di tanto in tanto andava a suonare di notte: l’“Hernando’s Hideway”,  poi Graceland e il resto della storia la conoscete».

Oggi alla luce di tutto quello che hai fatto che tipo di musicista pensi di essere? «Sono un chitarrista rock and roll, suono swing, blues nel più ampio senso del termine. Sono curioso e mi piace sperimentare per natura. Accanto alla mia grande passione, la chitarra, c’è anche la scrittura. Il rock ’n’ roll crea un effetto musicale e visivo, c’è un certo stile, legato ai colori, agli accostamenti, componente fondamentale nella vita in generale che ti dà una direzione, a prescindere dal tipo di lavoro che fai e ti fa essere diverso rispetto agli altri». 

Che progetti ci sono in cantiere?  «Lo scorso febbraio è stato pubblicato il mio ultimo album, interamente strumentale, dalla ORG Music di Los Angeles, “Take it away” ed è disponibile su tutte le piattaforme digitali e anche in cd. Album registrato in Sicilia, a Catania. Dal 25 agosto fino al 2 ottobre partirò nuovamente in tour con Tav Falco. Un tour lunghissimo, 34 date in 39 giorni, che potete vedere sul mio sito www.mariomonterosso.com. Sto inoltre producendo un brano per aiutare le famiglie vittime della guerra in Ucraina. Sono coinvolti oltre 20 musicisti di Memphis, un coro di 30 cantanti, fra gospel singers, bambini della Stax Academy Music, ed altri artisti della città. Tra i cantanti solisti Carla Thomas, Kallen Esperian che eseguirà l'introduzione del brano accompagnata dal reverendo Charles Hodges, emerito hammondista.  Un progetto sia audio che video».  Ritornare in Italia?  «L’arte è una cosa eterna e senza tempo. Al momento Memphis mi sta dando tanto, lo scorso 26 luglio ho ricevuto un riconoscimento per la mia attività musicale dal “The Memphis City Council”. Ma chissà, domani potrei andare a vivere in un’isola oppure…». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA