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L'INTERVISTA

Buttafuoco e la Sicilia: «Agli occhi degli altri è il luogo dell’assoluto, ma noi non ce ne rendiamo conto»

Lo scrittore e giornalista: «Abbiamo a disposizione la terra più ambita e cercata, ma dobbiamo ancora imparare a valorizzarla e a farne tesoro». 

Di Maria Schillirò |

Scrittore raffinato, giornalista sagace e pungente, conduttore televisivo e radiofonico, uomo di vasta e profonda cultura, già direttore del Teatro Stabile di Catania e oggi presidente del Teatro Stabile d’Abruzzo. A tutte queste definizioni, però, Pietrangelo Buttafuoco preferisce quella di semplice artista, nel senso di “artigiano della parola”, che con le parole ama creare, raccontare il presente e il passato, il mondo che lo circonda e quello che ha dentro. 

Amante dell’arte in tutte le sue forme, non perde occasione per celebrarla, soprattutto quando a chiamarlo è la propria terra. Non è un caso che abbia accettato di diventare la voce narrante di “Vedere/Immaginare. L’arte vista da chi non vede”, un documentario nato da un’idea di Oliviero Toscani e scritto insieme a Francesco Pontorno per raccontare da una prospettiva inedita gli splendidi mosaici della Villa Romana del Casale.

Un’esperienza di libertà e cultura che Buttafuoco e gli altri protagonisti del progetto presenteranno il 7 dicembre, alle 16, al Museo della Città e del Territorio di Palazzo Trigona, in piazza Cattedrale, a Piazza Armerina. «È sempre un piacere parlare della nostra storia e del nostro territorio – spiega lo scrittore catanese – soprattutto quando il tema è così nobile e i compagni di viaggio così in gamba». 

Da una parte c'è la poesia di chi riesce a vedere anche ad occhi chiusi, dall'altra una sempre più dilagante cecità morale. Basti pensare a come la cultura in Sicilia, terra intrisa di arte e di storia, versi da tempo in uno stato di abbandono.

«Agli occhi degli altri la nostra terra è il luogo dell’assoluto, la meta delle mete, noi che ci abitiamo, invece, non ce ne rendiamo conto, non abbiamo la capacità di averne memoria. Tanti siciliani, a dire il vero, non hanno nemmeno la consapevolezza dei propri luoghi, cosa che non succede in altre parti d’Italia. Se ogni singolo centro risvegliasse la propria creatività, le cose cambierebbero radicalmente. Ne è un esempio Biccari, comune della provincia di Foggia. Qui Gianfilippo Mignogna, giovane sindaco già alla terza legislatura, è riuscito in un’operazione straordinaria, ovvero sfruttare la qualità della vita e le energie offerte dal territorio per generare occasioni, possibilità e traiettorie di sviluppo. Una strategia che è risultata vincente: sempre più persone provenienti da tutto il mondo, soprattutto i cosiddetti smart worker, scelgono di andare a vivere nel piccolo borgo pugliese, un contesto a misura d’uomo, dove tutto è più accessibile e straordinariamente bello. Per quale motivo non potrebbero fare la stessa cosa luoghi colmi di bellezza come Nicosia, Castelvetrano, Milazzo, Agira, Leonforte o Assoro?»

Forse perché non riusciamo a concepire l'idea che produrre cultura significhi anche produrre ricchezza?

«La politica, gli imprenditori e tutta la comunità dovrebbero capire che non si tratta solo di eventi, ma di infrastrutture. Tutto ciò che è investimento di un solo euro nella produzione culturale e artistica, ne genera inevitabilmente altri tre, è l’indotto il vero volano. Noi abbiamo a disposizione il luogo in assoluto più ambito e più cercato, ma dobbiamo ancora imparare a valorizzarlo e a farne tesoro». 

Una terra tanto bella quanto ricoperta di piaghe che sfregiano il nostro patrimonio artistico e ambientale. Una tra tutte è l’abusivismo.

«Sarebbe troppo facile prendersela solo con la politica, che pure ha le sue colpe. La responsabilità, però, è innanzitutto nostra. Accettiamo tutto passivamente perché in noi c’è una profonda malafede, un atteggiamento incarognito. Noi siciliani siamo gli stessi che, per fare un esempio, nel 1959 hanno silenziosamente accettato la demolizione di Villa Deliella, gioiello liberty, per ottenere in cambio un parcheggio abusivo. Secondo voi, sarebbe mai possibile una municipalità che decida la demolizione di una villa del Palladio? Ve lo dico io, no. Noi, invece, non ci siamo scomodati per impedire che ciò accadesse e continuiamo a non scomodarci tutt’oggi. Basti pensare alle nostre autostrade inesistenti, perché quelle che ci sono non possono certo essere considerate tali. Vogliamo parlare della Messina-Catania dove una corsia è ancora bloccata da una frana crollata anni fa? O di come percorrere la Catania-Palermo sia ancora oggi un’odissea?»

Nel frattempo la mafia tira l’acqua al suo mulino, mentre chi di dovere continua, spesso, a combatterla solo a parole.

«Una cosa è l’antimafia, un’altra la lotta alla mafia. Quest’ultima è una cosa seria, la prima, e la memoria ci porta a tempi non lontanissimi, ha avuto nel suo professionismo l’apoteosi dell’ipocrisia, della malafede e ha spesso difeso interessi indicibili attraverso i quali in nome del bene si praticava il male». 

Non c’è da stupirsi quindi se i giovani continuano a scappare.

«Ho pudore a parlarne perché sento l’incubo della retorica su certi argomenti. Io per primo non ho trovato lavoro in Sicilia e sono dovuto andare via. Spero in un cambiamento, ma oggi costruirsi un futuro da queste parti è obiettivamente difficile. Quando ho scritto il mio ultimo romanzo, “Sono cose che passano” (La nave di Teseo), ho studiato la Sicilia degli anni Cinquanta e ho capito come non ci sia paragone con quella odierna. Un tempo, per quanto assurdo possa sembrare, la nostra terra offriva molte più opportunità e in qualunque posto ci si trovasse, non si aveva mai la sensazione di vivere in periferia né tantomeno quella, come capita spesso a noi, di abitare un luogo remoto, dove non c’è la contemporaneità delle cose». 

«Capire la Sicilia significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi». Così scriveva Bufalino, per lei essere siciliano è una croce o una delizia?

«Nonostante tutto, è un privilegio, un vantaggio, un pozzo inesauribile di risorse che ti aiuta ad affrontare la vita».

Cosa rappresentano per lei il teatro e la scrittura? Ci sono nuovi progetti in cantiere?

«Uno è il luogo che abito e nel quale ho il privilegio di fabbricare quotidianamente le mie idee, l’altra è come l’acqua, l’aria, la luce, la notte, il riposo, un istinto spontaneo. Sto preparando una grande sorpresa insieme a Lello Analfino e Salvo Piparo. Non vi anticipo nulla, ma sappiate che vi spelleranno le dita a forza di battimani».   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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