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Il mistero dei desaparecidos siciliani

Alberto Todaro, il prof agrigentino che per un mese in Argentina ha ricostruito la storia dei siciliani scomparsi nel nulla durante la dittatura 

Di Redazione |

Il rombo dei motori degli aerei che si levano in volo dall’aeroporto Jorge Newbery di Buenos Aires, proprio sul Rio de la Plata, ha oggi un rumore decisamente meno sinistro di quanto non lo sia stato almeno fino al 1983, quando una delle più violente e sanguinarie dittature dell’America Latina si arrese alla democrazia ed ai colpi inferti dagli Harrier della Marina Britannica nelle Isole Falkland o Malvinas.

Da questo aeroporto, allora militare ed oggi riservato ai voli interni argentini, decollavano i Lockheed L-188 Electra, carichi di prigionieri politici e oppositori della Giunta Militare che venivano prima drogati e poi gettati in mare ancora vivi. Così – ma non solo così – scomparvero nel nulla in Argentina, tra il 1976 e appunto il 1983, trentamila persone. Sono i desaparecidos, gli scomparsi, e tra essi ci sono almeno quattro siciliani. Non argentini dal sangue siciliano, ma siciliani emigrati nel secondo dopoguerra e finiti nelle grinfie degli aguzzini di Videla, Agosti e Massera, la triade di generali che governò l’Argentina nel terrore e nella violenza.

La loro storia – nell’ambito di un dottorato di ricerca sui fenomeni dell’emigrazione promosso dall’Università spagnola di Granada – è stata ricostruita da Alberto Todaro, 60 anni, agrigentino, professore di inglese alle medie che è anche autore di due libri, uno, spassosissimo, dedicato ai modi di dire giurgintani (e infatti intitolato “Ce la so!”) e una raccolta di racconti d’Africa per lui che è stato più volte in Tanzania quando la Diocesi di Agrigento aveva “adottato” la Diocesi di Ismani e che ancora oggi è tra gli animatori di una onlus che si occupa dei bambini malati di Aids. «Dal 1860 in poi – ha spiegato Alberto Todaro – e fino agli anni della dittatura almeno 3 milioni di italiani sono emigrati in Argentina. Sono stati molti i cittadini italiani e siciliani partiti negli anni ‘50, ‘60 o agli inizi degli anni ‘70 finiti poi intrappolati nella dittatura. Secondo un report del consolato italiano a Buenos Aires ci sono almeno 45 italiani desaparecidos e tra questi sicuramente quattro siciliani». In realtà potrebbero essere anche sei, ma sugli altri due sono ancora in corso ricerche più accurate.

Todaro è rimasto in Argentina un mese che, per puro caso, è coinciso con il mese del Mondiale in Qatar. E infatti il viaggio di ritorno è stato un’odissea: «Stavo andando in aeroporto proprio mentre la Nazionale con la Coppa stava rientrando in Argentina. C’erano milioni di persone in strada, tutto bloccato e infatti ho perso l’aereo». Ma al di là di questo episodio alla fin fine divertente c’è ben altro di più inquietante da raccontare: chi sono i quattro siciliani vittime della folle e cieca violenza della Giunta Militare argentina? La prima storia, quella di Salvatore Privitera di Grammichele, è da film.

«Il primo – ha spiegato Alberto Todaro – è Salvatore Privitera, emigrato in Argentina da Grammichele, nel Catanese. Quando è scomparso, nel 1980, aveva 33 anni. Salvatore era un medico e la sua famiglia vive ancora a Mendoza. Lui era finito in carcere, ingiustamente, anche prima dell’avvento dei militari, accusato di avere partecipato a un attentato a una caserma. Rimase schedato. Poi grazie ad un gruppo di pressione nato proprio a Grammichele Salvatore ottenne la libertà ma a patto di tornare in Italia. Ma a Grammichele, dove vive ancora il fratello Paolo, rimase un anno, perché aveva la passione per la politica, era un montonero, un movimento di peronisti di sinistra. E così tornò in Argentina passando dal Messico, per partecipare alla controffensiva dei montoneros. Anche lui dovrebbe essere stato vittima dei voli della morte, buttato da un aereo nell’oceano».

Il secondo dei quattro desaparecidos siciliani è Claudio Di Rosa, emigrato da Piazza Armerina. «Claudio Di Rosa – ha spiegato Alberto Todaro – fu arrestato quando aveva 21 anni. Ragazzo che mi dicono sia stato di grande intelligenza e brillantissimo. Era emigrato in Argentina da bambino con la famiglia. Scomparve nel 1977. Anche Claudio era un montonero. Fu sequestrato per strada e da quel momento di lui non si seppe più nulla. Non si sa nemmeno come sia morto. Probabilmente è passato dall’Esma, la Escuela Superior de Mecánica de la Armada il più grande e famigerato centro illegale di detenzione della dittatura da dove passarono almeno 5 mila persone, con pochissimi sopravvissuti e con la maggior parte morta gettata ancora viva nell’oceano dagli aerei».

Il terzo siciliano, la cui storia è stata ricostruita da Alberto Todaro, è Vincenzo Fiore di San Mauro Castelverde nel Palermitano. «Vincenzo Fiore fu rapito dai militari nel 1977 quando aveva 27 anni. Non era un montonero, ma era socialista e faceva sindacato alla Peugeot a Quilmes. Fu portato in un centro di detenzione clandestino e non si sa nemmeno come sia morto. Perché c’erano sì i voli della morte, ma c’era anche la simulazione di fuga. Comunque finivano nelle fosse comuni o i cadaveri venivano bruciati. A Quilmes e a poche centinaia di metri da quello che una volta era un centro di tortura vive ancora la madre di Vincenzo, Pina Fiore, una delle madri di Plaza de Mayo. Quando sono andato a trovarla mi sono seduto esattamente dove erano seduti gli aguzzini che lo aspettavano a casa…». 

Il quarto desaparecido siciliano è Giovanni Camiolo. «Giovanni – racconta ancora Alberto Todaro – era di Valguarnera Caropepe, fu preso nel 1977 quando aveva 25 anni. Non si sa nemmeno se facesse politica. Faceva il muratore e fu catturato per strada mentre guidava il suo furgone. Furgone che fu rubato e che continuava a circolare anche dopo la scomparsa di Giovanni tanto che alla famiglia arrivavano le multe».

Alberto Todaro a Buenos Aires è rimasto un mese, nel corso del quale ha intervistato i rappresentanti delle associazioni per i diritti umani che si occupano dei desaparecidos. «A Buenos Aires – racconta ancora il professore agrigentino – ogni settimana ancor oggi a distanza di quasi 40 anni ci sono le Madri di Plaza de Mayo che vanno alla Piramide e per me è stato emozionante fare il giro rituale attorno a questo obelisco nei pressi appunto di Plaza de Mayo e della Casa Rosada». E, soprattutto, c’è anche la visita all’Esma, la caserma degli orrori, oggi una specie di museo della memoria: «Qui venivano portavano i sequestrati, venivano incappucciati, torturati. Poi erano drogati, caricati su un aereo e gettati ancora vivi nell’Oceano». E nel Paese dove il calcio è quasi una religione e dove Messi è sì un idolo ma Maradona è – letteralmente – un semidio, fu il Mondiale del ‘78 che da “vetrina” dei militari diventò la vetrina degli orrori:

«Durante quel Mondiale la tv olandese raccontò al mondo la questione dei desaparecidos e delle madri di Plaza de Mayo. Da lì il mondo prese coscienza di quello che stava accadendo in Argentina». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA