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SICILIA SECONDO ME

La scrittrice Nadia Terranova: “Basta dire che a Messina tutto è stato spazzato via, la città ha una forte identità da scoprire”

"Non sopporto la sciatteria nei confronti dei luoghi". "Il Ponte? Sono contraria. Lo Stretto è la cosa più bella che nessuno potrà mai togliere a Messina e a Reggio Calabria, è il nostro patrimonio"

Di Ombretta Grasso |

È lì, tra Scilla e Cariddi, nel nostro “Corno d’oro”, che storia e miti si incontrano insieme con i due mari. Lì dove passano mercanti, viaggiatori, mostri e animali favolosi: sopravvive l’astuto Ulisse, si perde Colapesce. Lì, tra le correnti e gli ingannevoli riverberi dello Stretto si ritrova Nadia Terranova. Messinese, scrittrice di successo, voce di spicco della letteratura contemporanea, da poco riemersa in libreria con “Trema la notte”, ambientato dopo il catastrofico terremoto del 1908, in cui racconta la rinascita di una ragazza e di un bambino, Barbara e Nicola, una a Messina, l’altro a Reggio, i cui destini si incrociano dopo il sisma che rade al suolo le due città. Una folla di emozioni, un romanzo sulle possibilità, sulla libertà, sulla forza della vita.  Lo Stretto è un luogo letterario per antonomasia, in cui il mito riemerge continuamente. «È il luogo dei miei tre romanzi, ma anche di altri scritti. E’ per me una fucina di storie, di miti, di invenzione, di ricordi. Un grande luogo dell’immaginazione». Perché ha deciso di raccontare il terremoto di Messina? «Se lo Stretto diventa il luogo letterario d’elezione bisogna affondare dentro la sua storia che è fatta di distruzioni ricorrenti fino ad arrivare a quella più grande del 1908. Scrivere è stato un corpo a corpo con la storia della città. Mi sono documentata moltissimo, ho letto saggi, testimonianze, cronache degli inviati dell’epoca. Ho letto molto su usi e costumi del tempo per ambientare le mie due storie parallele». 

Il terremoto porta ai suoi protagonisti un cambiamento, bisogna distruggere per ricominciare? «Dentro la storia catastrofica c’era anche la grande possibilità di un nuovo inizio. Tutti raccontavano cosa si era perduto, io racconto anche, a sorpresa, cosa si può conquistare. Sembra difficile scorgere la speranza della rinascita, ma invece c’è».

Tutte le sue storie hanno le sue radici, Messina, la Sicilia, anche se vive altrove da vent’anni.  «Vivere in un’altra città ha fatto sì che potessi guardare la Sicilia con il giusto distacco, nella lontananza è possibile una mediazione letteraria. La Sicilia è ricca di storie, di luoghi che forse hanno bisogno che la loro identità venga riconosciuta. Messina è tra questi. Perché ha una forte identità ma è stata spazzata via dal continuo ripetere che tutto è andato via col terremoto, che tutto è stato distrutto, che è una città che non ha più nulla. Invece qualcosa c’è, fosse anche “il terremoto”. Allora, proviamo a dirlo».

Per molti Messina è la città che si passa per arrivare in Sicilia, non ci si ferma “perché non c’è niente”.  «Credo che una delle possibilità di cambiamento che ha l’uomo passi attraverso la cultura, letteratura, la narrazione delle storie, il racconto di ciò che avviene. Messina, e la Sicilia, hanno bisogno di essere narrate fuori dagli stereotipi, non semplicemente come luoghi da cartolina, ma con più onestà, con più verità».  Teme l’effetto fiction tv? «Le fiction fanno vedere le nostre bellezze e sono utilissime per il turismo ma bisogna vigilare perché i posti non si snaturino, non si trasformino in luna park».

Perché ha scelto di vivere a Roma? «Non credo che si debba restare a tutti i costi dove si è nati. Si va via per lavoro, per studio, per allontanarsi da un luogo protetto come accade in tutte le parti del mondo ed è sano. Ma non c’è una mobilità inversa, in pochi vengono a vivere in Sicilia, l’Isola deve diventare più attraente da questo punto di vista. Io vivo a Roma da vent’anni, ma ho casa a Messina e ho conservato un legame molto forte con la Sicilia, non me ne sono andata. Come si dice spesso, i siciliani non se ne vanno mai via davvero».

La Sicilia cos’è per lei? «Un continente. Mi piacerebbe dire che è casa, ma non vorrei che sembrasse che vengo in Sicilia per riposarmi, è anche spinoso come continente. E’ contemporaneamente il luogo per me più familiare e il mio estero, mi sorprende continuamente».

Cosa cambierebbe? «La sciatteria nei confronti dei luoghi».  E cosa dovrebbe essere più valorizzato? «Il mare e la cultura in tutte le loro forme». Messina è la città di Antonello e Caravaggio. «La città è stata anche depredata. Assurdo che una grande mostra su Antonello a Messina non si sia mai fatta in tempi recenti, è la città che gli ha dato i natali, compare in tutto l’immaginario di Antonello. Eppure la grande mostra la vedi a Roma o a Milano». 

Cosa pensa di un altro mito dello Stretto, il Ponte? Se ne ritorna a parlare. «Sono completamente, totalmente, contraria. Lo Stretto è la cosa più bella che nessuno potrà mai togliere a Messina e Reggio Calabria, lo Stretto è il nostro patrimonio. Il Ponte avrebbe due catastrofiche conseguenze, la prima continuate a considerare Messina una città di passaggio, perché con il ponte attraversi e le poche possibilità di fermarsi diventano zero e poi deturperebbe completamente il paesaggio e la possibilità di usufruire delle spiagge bellissime che ci sono. E poi, dopo anni di studi non è mai stato limpido il progetto sulla sua realizzazione. Lo lascerei tra i fantasmi dello Stretto». 

Il cambiamento da chi può partire? «Da chiunque abbia a cuore un pezzettino del proprio territorio. Per me il cambiamento è legato alla cultura, alla possibilità di offrire servizi, alla vivibilità». 

Il suo luogo del cuore?  «Capo Peloro a Torre Faro, dove i due mari, il Tirreno e lo Jonio, si incontrano».

Il cibo messinese da non perdere? «La granita, la “menza ca’ panna” come chiamiamo la granita con la panna a Messina, è completamente diversa. La granita è dello Stretto, senza offesa per nessuno, non si può mangiare in nessun altro posto. Innanzitutto non sta in una coppa ma in un bicchiere e soprattutto ha la giusta consistenza. Altrove o è troppo ghiaccio tritato o è troppo sciolta o è troppo densa. La “ggranita” con due “g” è proprio Messina in purezza».

Lei ha scritto storie per i ragazzi. C’è stato nell’infanzia un libro importante per la sua formazione? «Tantissimi, tra tutti “Piccole donne”, il mio primo romanzo. Non finiva subito come i libri per l’infanzia, non era una fiaba o un albo. Dovevo mettere un segnalibro e riprenderlo dopo, un gesto da grandi». 

Un autore determinante nel suo percorso? «Vittorini, l’incontro con “Conversazione in Sicilia” è stato fondamentale. Ho scritto la prefazione dell’ultima edizione di Bompiani, per me è il libro che ha fatto la differenza. Il libro archetipico del ritorno in Sicilia, forse il libro di noi tutti che siamo un po’ ulissidi. Partiamo ma teniamo sempre la Sicilia nel cuore». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA