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Padre Beniamino Sacco: «Io prete di frontiera senza frontiere»

Siciliano di Enna trapiantato a Vittoria dagli anni Settanta, è diventato un punto di riferimento storico per chiunque abbia bisogno di aiuto

Di Nadia D'Amato |

Padre Beniamino Sacco, prete di frontiera nel dna, dice subito e lo fa con orgoglio, di essere siciliano dalla punta dei piedi a quella dei capelli. «Ho studiato tanti anni a Roma e, come molti, avrei potuto prendere l’accento romanesco, ma ritengo che la nostra identità debba esprimersi in tutti i sensi e in tutti gli aspetti. Amo la mia terra, la terra dove siamo nati, che ci ha cullati, fatto respirare. Ma amare significa anche evidenziare i difetti». Nato a Gagliano Castelferrato, in provincia di Enna, don Sacco (che il prossimo 11 ottobre compie 78 anni) lasciò il suo paese nel 1955 per frequentare il seminario a Roma. Fu ordinato sacerdote l’8 settembre 1969 a Ragusa, dove rimase per cinque anni, poi espletò il suo servizio sacerdotale a Vittoria, dove opera ancora oggi ed è punto di riferimento per le lotte sociali, si batte contro la violenza sulle donne, la mafia e la criminalità organizzata. È fondatore de “Il Buon Samaritano”. Il Centro di Accoglienza "Spirito Santo", il Centro Sociale di solidarietà, la coop. sociale "Pierino Grispino" sono i tre piedi su cui poggia la struttura. Fin dagli anni ’80 la Parrocchia Spirito Santo si è inserita come punto di riferimento per offrire agli immigrati i servizi essenziali. È nato così il centro di Accoglienza "Spirito Santo".  L'Associazione "Centro Sociale di Solidarietà" promuove iniziative e progetti destinati alle fasce più deboli e minori in difficoltà. La cooperativa gestisce un'azienda agricola che impiega lavoratori locali e stranieri.

Quali sono i difetti di questa Sicilia? «Primo fra tutti il fatto che non sappiamo valorizzare i nostri cervelli. Ho sentito di recente di quel vittoriese che ha vinto un prestigioso premio come miglior radiologo del mondo, ma non lavora in Sicilia. Ecco. Questo è un difetto molto serio perché da noi c’è tanta eccellenza che preme per essere messa in evidenza. Nel mio paese, ad esempio, c’è Fiorello che fa cravatte, papillon e foulard e li spedisce in tutto il mondo. È stato anche nominato Cavaliere della Repubblica; nello stesso paesino vive chi ha inventato il Ficodì, liquore di Ficodindia; un altro produce marmellate e le spedisce in tutto il mondo… e parliamo di un paesino. La Regione ha il dovere di supportare queste iniziative. A Milano queste imprese avrebbero avuto molta più visibilità, qui gli imprenditori hanno dovuto faticare il doppio e farsi strada da soli. Il siciliano ha nel suo Dna la creatività e la politica ha il dovere di sostenerla». 

Vede anche i pregi isolani? «La Sicilia è stata fucina di creatività culturale, ma non possiamo vivere di ricordi. Abbiamo delle realtà che sono un dono come le spiagge, i paesaggi ma non riusciamo ad attirare gente anche per la viabilità. Non ci sono città e paesi senza opere d’arte. La Sicilia è un museo a cielo aperto, ma dobbiamo far sì che ogni luogo sia facilmente raggiungibile. Veda, per tornare al mio paesello, distante 120 km, ci metto due ore. Abbiamo ancora strade che sono mulattiere. Basti pensare che c’è un ponte a Gagliano Castelferrato che è fermo da 15 anni. 15 anni per concludere un ponte di 70 metri. Non chiediamo certo autostrade ad ogni angolo, ma almeno una viabilità dignitosa. Qualche anno fa il presidente della Regione, Nello Musumeci, lanciò l’hastag diventeràbellissima. Spero che diventi realtà. Non dico di risolvere tutti i problemi, ma almeno che i ragazzi siano messi in condizione di produrre, siano valorizzati. Bisognerebbe favorire il cooperativismo». 

Cosa c’è che non funziona nella politica? «La politica deve essere in grado di dire basta ai favoritismi. Il clientelismo mortifica la meritocrazia. Chi riesce ad andare avanti per i propri meriti, alla fine, non lo fa solo per se stesso, ma nella maggior parte dei casi crea lavoro e aiuta gli altri e, in ogni caso, migliora la nostra terra con le sue capacità. Un motivo in più per sostenerli. La politica ha il dovere di mettere in evidenza le straordinarie e molteplici eccellenze della Sicilia e valorizzare chi studia, altrimenti i nostri giovani (e non solo) si mortificano. Vanno a fare lavori che non si confanno con gli studi per appena 300 euro al mese. È dignità questa? Io sono orgoglioso di essere siciliano, ma vorrei che la Sicilia fosse orgogliosa di noi siciliani. A me ha fatto riflettere, ad esempio, il modo in cui la Regina Elisabetta II si è messa al servizio del suo popolo. Lo stesso Papa l’ha definita una donna che ha tenuto al suo ruolo e che ha portato avanti con impegno questo suo servizio. È così che dovrebbe agire un politico. Il suo obiettivo, a fine mandato, dovrebbe essere quello di lasciare una Sicilia migliore rispetto a quella che ha trovato. 

Come sono cambiati, secondo lei, i siciliani in questi anni? Partiamo dal punto di vista dell’accoglienza.  «C’è ancora tanta chiusura e spesso li vediamo come nemici. Invece, soprattutto nell’ultimo periodo abbiamo capito che abbiamo bisogno di loro. Qualcuno dice per colpa del reddito di cittadinanza, ma in ogni caso molte aziende o chiudono o diminuiscono la produzione perché manca la manodopera. Non possiamo vivere né di paura né di condizionamenti. Chi vive di paura è già morto. Mi chiedo spesso da cosa nasca questo malessere. Forse perché ci ritemiamo migliori degli altri o forse ne abbiamo paura? Li vediamo come usurpatori? Le racconto un episodio che è accaduto qualche giorno fa: una persona è venuta a portarmi dei soldi dicendomi “lei 20 anni fa mi ha prestato mille euro. Oggi sono venuto a restituirglieli”. Io non ricordavo nemmeno questo episodio. Era un tunisino. Oggi molti tunisini e romeni sono diventati datori di lavoro e danno lavoro a italiani facendo quindi crescere l’economia di questo territorio».  Cosa significa oggi integrazione? «Integrazione non è omologare, ma mettere a confronto le diversità e cercare, o creare, un punto che ci permetta di coabitare. “Le religioni – lo dice anche il Papa – non possono essere contrapposizioni”. Io quando arrivo allo Stretto di Messina sento già di essere a casa. Questo però non è significa rimanere imprigionati in un luogo, ma trarre da quel luogo il modo per capire il mondo. Conosco ragazzi in gamba, capaci di pensare in grande, che hanno l’idea dell’appartenenza al mondo. Un’idea importante che ci permette di guardare con più speranza al futuro». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA