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Un giorno a San Teodoro da tosatori di pecore 

Oggi la lana resta invenduta e la pratica di “rasare” il gregge si è trasformata in occasione di conoscenza del territorio e delle sue tradizioni  

Di Carmen Greco |

Elisabetta di mestiere fa l’anestesista rianimatrice all’ospedale San Marco di Catania, ma in una calda domenica di giugno s’è fatta 70 chilometri di strada per provare l’emozione di tosare una pecora. E, come lei, il gruppo di visitatori che s’è ritrovato ieri in un’azienda agricola di San Teodoro per partecipare alla “Festa della tosatura”, «una pratica per il benessere degli animali che una volta era l’occasione per coinvolgere il vicinato e il paese – ricorda Tony Longo, allevatore di pecore, capre e bovini con un caseificio di famiglia -. Ora è diventata una pratica da tutelare perché la lana non la compra più nessuno. Il problema è che in Sicilia non ci sono centri di lavorazione, esistono solo al nord e sono pochissimi i commercianti che l’acquistano. Una volta eravamo noi ad essere pagati per la lana, un chilo di lana valeva quanto un chilo di formaggio, ora siamo noi a dover pagare per smaltirla, anche perché è considerata un rifiuto speciale, solo noi ne produciamo 600 kg a stagione».

Che fare, allora, della lana invenduta? Trasformare la difficoltà in opportunità grazie al lavoro del cugino, Danilo Longo, anche lui allevatore da generazioni (dal 1907 per la precisione) e “deus ex machina” assieme a Tiziana Valente, Guido Massimo Romano e Salvo Drago, di un progetto per salvaguardare e diffondere a tutti i livelli (dal cibo con l’invenzione della “Friggitoria dei Nebrodi”, ai mestieri, dall’artigianato, al trekking) la cultura rurale di questo pezzo di Sicilia, fra Cesarò e San Teodoro. In questo contesto rientra il recupero della festa della tosatura come “invito” per i turisti, per chi non l’ha mai vissuta e per chi, magari, la rivede, recuperando ricordi d’infanzia e gesti dimenticati.

Come Giuseppe Sotera, che da Troina se n’è andato negli Anni Ottanta per fare il ristoratore in Olanda. «Sono tornato indietro nel tempo, mi è venuta la pelle d’oca – confessa -. Qui con la moglie Marianne e la figlia adolescente Alessia, impegnata a postare un video sulla tosatura, pensa all’esperienza di suo padre. «Aveva un terreno abbastanza grande dove coltivava olive e mandorle. Io decisi di andare via perché era un lavoro pesante, allora andavamo via tutti, e poi in quel periodo tutto questo non era apprezzato. In Olanda mi trovo bene, ma adesso mi sono stancato, vorrei tornare. Chissà, forse anche dedicandomi alla campagna con i turisti, perché no?».

Anche Claudia Labbate, è originaria di Troina ma vive a Catania dove lavora all’Istituto musicale. Ha portato qui i suoi tre figli, 11, 14 e 16 anni. «Loro vengono qui tutte le estati – dice – ma vivono comunque una realtà ovattata, cittadina. Mi piaceva, invece, fare vedere loro che ancora queste cose esistono e che dietro il maglione venduto nel negozio c’è tutto un lavoro». E i figli hanno risposto entusiasti soprattutto per l’asino che li ha accolti a Borgo Salvatore Giuliano (non il bandito, un soldato di Roccella Valdemone morto in Abissinia ndr), il punto di ritrovo dei visitatori, un sito costruito nel 1940 dall’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano che nelle intenzioni del governo fascista doveva essere un luogo di aggregazione per i contadini del circondario. Oggi è un borgo fantasma i cui edifici sono stati solo in parte ristrutturati non si sa bene per farci cosa. La Sicilia è anche questo.

Il contatto con la natura, la voglia di capire cosa arrivi sulle nostre tavole, la qualità della vita degli animali, sono state, invece, le molle che hanno spinto Elisabetta Brancato, l’anestesista, a partecipare: «Tosare una pecora è stata un’esperienza insolita. Avevo paura di ferire l’animale, ma è andata bene, un’esperienza veramente carina».

Come tutte le feste di campagna che si rispettino, questa della tosatura si è conclusa con una mangiata nel bosco, provola locale “impiccata” sul braciere, pane fatto in casa, carciofini selvatici, caponata di mamma Rosalia, salsiccia di suino nero dei Nebrodi, ricotta infornata e (ovviamente) vino. «Non c’è una cosa che non provenga da questo territorio», spiega Danilo Longo con un pizzico d’orgoglio, profondo conoscitore di ogni singola pianta che sbuca dal terreno, ma anche dell’arte di intagliare il legno, di intrecciare i cestini, di fabbricare strumenti musicali, di parlare con le sue vacche… «Noi siamo convinti che tutto questo abbia un valore e la dimostrazione è l’interesse dei turisti, siciliani e non, che sempre di più ci chiedono di vivere queste esperienze. Secondo noi è il futuro». c.greco@lasicilia.itCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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