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Siracusa

Depuratore di Priolo, le mille verità della superperizia

Da più di un anno si attendeva la risposta dei consulenti del gip aretuseo. In 410 pagine poche certezze sul presunto disastro ambientale

Di Luisa Santangelo |

Un ciclo di trattamento «non completamente adeguato alla depurazione delle acque reflue industriali», ma comunque uno scarico «con caratteristiche di qualità di norma conformi agli standard ammessi allo scarico». Inquinanti in mare inferiori a quelli ammissibili, ma anche «valori non trascurabili, e talvolta elevati, della concentrazione di idrocarburi» in aria, specialmente di quelli più volatili. E ancora: «elevate quantità» di idrocarburi pesanti in ingresso nell’impianto di depurazione, «nell’ordine di alcune centinaia di tonnellate all’anno (tra le 400 e le 600)»; ma anche la totale assenza di «informazioni affidabili, pure in letteratura scientifica», circa la capacità di queste sostanze di biodegradarsi o disperdersi nell’atmosfera.

Sono 410 pagine tutte così. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Dal 7 settembre 2023 si attendeva la relazione dei tre periti nominati dal gip di Siracusa nell’incidente probatorio sul presunto disastro ambientale al depuratore di Priolo Gargallo, sotto sequestro dall’inizio dell’estate del 2022. Quel giorno di un anno e mezzo fa era stato conferito l’incarico alla nuova triade di consulenti (la precedente era stata rimossa perché si era incrinato il rapporto di fiducia col giudice, una lunga storia che passa anche da incontri riservati nei parcheggi). Ci volevano sei mesi, poi altri sei, poi altri tre. La data ultima era fissata: il 31 marzo 2025. Non un giorno in più. Né uno di meno, considerando che l’ultima firma elettronica porta l’orario delle 22,52 di lunedì.

Se, tra le pieghe delle risposte ai sette quesiti dell’incidente probatorio, qualcuno si fosse aspettato di leggere se il depuratore industriale di Priolo Gargallo inquini oppure no, sarà rimasto deluso: la risposta non c’è. Ci sono delle «disconformità, verificatesi in numero decisamente troppo elevato», scrivono i periti nelle loro conclusioni. La procura siracusana ha nel mirino i colossi della petrolchimica del territorio: Sonatrach, Isab, Eni-Versalis, Sasol. I cosiddetti «grandi utenti industriali» che, per l’accusa, scaricano nel depuratore una quantità di sostanze inquinanti superiore a quella che l’impianto della penisola di Magnisi è in grado di trattare. Le aziende «avrebbero dovuto effettuare una gestione più efficiente dei propri impianti di pre-trattamento – scrivono i periti del gip – e un controllo più stringente delle relative prestazioni». Il cerchio. Poi aggiungono: «Nell’impianto di depurazione di Priolo Gargallo sarebbe stato opportuno adeguare in maniera definitiva il sistema costituito dalla copertura delle vasche e dal prelievo e dal trattamento delle emissioni gassose». La botte.

Considerando le due matrici che potrebbero subire l’inquinamento, l’acqua del mare e l’aria, i ragionamenti da fare sono diversi: lo scarico a mare non sembra avere particolari criticità. Non tanto per la diluizione, quanto perché il grosso degli inquinanti in parte evapora e in parte viene inglobato da enormi quantità di fanghi con elevatissime concentrazioni di idrocarburi pesanti al loro interno. Il vero rebus, rilevano i tre consulenti, è l’aria. Perché «le indagini in aria ambiente […] sono state spesso condotte in punti diversi dell’impianto, in differenti periodi dell’anno, con il prelievo di campioni volti alla misurazione di parametri diversi. Tali indagini sono peraltro anche difficilmente confrontabili con quelle specificamente condotte al fine della rilevazione di odori, che, per definizione, forniscono informazioni di carattere più generale». Allo stesso modo, sono stati fatti in maniera troppo diversa gli esami sui «flussi gassosi emessi dalla superficie di alcune delle vasche dell’impianto di depurazione», tanto che è difficile trarne «conclusioni attendibili e definitive».

Il benzene, per esempio, la sostanza cancerogena che più facilmente attira l’attenzione: a misurarlo sulle vasche del depuratore si supera spesso il limite dei 5 microgrammi al metro cubo. Ma quello è un limite massimo annuale. Comunque, se ci si sposta rispetto ai confini dell’impianto biologico consortile, ricordano i consulenti, le concentrazioni di inquinanti si riducono abbastanza da tornare nei limiti.Le certezze, invece, riguardano i carichi immessi dai grandi utenti industriali nelle fognature del depuratore Ias. Come era emerso dalle indagini dei magistrati, a regolare le portate e le concentrazioni di quanto finisce nel depuratore biologico consortile sono i singoli contratti di fognatura stipulati dalle raffinerie con Ias. Accordi illegittimi, secondo i magistrati, e che comunque dovrebbero essere superati dall’Autorizzazione integrata ambientale concessa a Ias a luglio 2022, a sequestro già avvenuto. Scrivono i periti: tutti i valori sono notevolmente più bassi dei limiti contenuti nei singoli contratti. Considerando però le concentrazioni di idrocarburi totali e solventi organici aromatici consentiti dal Testo unico ambientale, invece, «tutti gli scarichi presentano scostamenti» verso l’alto.Cioè: sforano. In un impianto che ha «un’articolazione più prossima a quella usualmente adottata per la depurazione di reflui civili». Tutto questo sarà oggetto di discussione in tribunale. L’udienza è fissata per metà aprile. E non sarà l’unica prima della fine di questo eterno incidente probatorio.

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