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Il processo

Scieri, alla ricerca di riscontri: “Un puzzle di verità che si compone”

Secondo accusa e parti civili il giorno del ritrovamento del cadavere, la catena di comando sapeva già della morte di Emanuele, "sparito" tre giorni prima dopo essere rientrato dalla libera uscita

Di Massimiliano Torneo |

L’addetto all’area del casermaggio convocò a servizio in quel sito le quattro reclute che così, inevitabilmente, quel giorno (il 16 agosto ’99) ritrovarono il corpo senza vita di Emanuele Scieri, ma lui non si fece trovare. Dopo il ritrovamento nessuno dei testi ricordava 23 anni fa, e oggi lo ribadisce in aula, la presenza degli ufficiali più alti in grado in caserma: Salvatore Romondia e Pierangelo Corradi, quest’ultimo comandante della Gamerra. Arrivò invece l’allora comandante della Folgore, Enrico Celentano, restando solo per qualche minuto. Sono tutti dettagli che, secondo accusa e parti civili, portano alla conclusione che il giorno del ritrovamento la catena di comando sapesse già della morte di Emanuele, "sparito" tre giorni prima dopo essere rientrato dalla libera uscita. È anche per dare riscontro a questi indizi, in un processo che a 23 anni di distanza non potrà che essere indiziario, che sabato sono stati sentiti in aula alcuni dei testimoni previsti nel procedimento in corso in Corte d’assise a Pisa sulla morte di Scieri. L'allora 26enne siracusano fu trovato morto il 16 agosto del 1999 all'interno della caserma Gamerra di Pisa, dove svolgeva il servizio di leva nei parà. Secondo l’accusa la notte del 13 agosto fu incrociato dai suoi aguzzini nell'area del casermaggio poco prima del contrappello e costretto a atti di nonnismo che poi sfociarono nell’omicidio: Emanuele tentò di fuggire sulla torretta asciugatoio dei paracadute, ma lì venne raggiunto e fatto precipitare sotto. Dove venne trovato morto tre giorni dopo. A processo con l'accusa di omicidio volontario sono due ex caporali: Alessandro Panella e Luigi Zabara.

Un terzo, Andrea Antico, è stato assolto in abbreviato dalla stessa accusa, insieme con i due ufficiali Celentano e Romondia che invece erano accusati di favoreggiamento (la sentenza è stata appellata dalla Procura). Sabato, dunque, seconda giornata di dibattimento: sono stati sentiti i quattro commilitoni, dello stesso scaglione di Emanuele, che ritrovarono il suo corpo nella circostanza descritta sopra: Walter Raggiri, Marco Ravasi, Carlos Picelli e Marco Parodi. I legali della famiglia Scieri, Alessandra Furnari e Ivan Albo, si dicono soddisfatti dei riscontri: “Siamo convinti che le testimonianze stiano componendo un puzzle che porterà alla verità”. Confermato dai testi anche che nonni e firmatari erano soliti pernottare in caserma nonostante fossero in licenza. Bastava restare lontani dalle camerate al momento del contrappello e salire dopo a dormire. Circostanza che secondo accusa e parti civili nutrirebbe l’ipotesi che gli accusati (formalmente in licenza, ma che i testimoni chiave del processo collocano in caserma quella notte in abiti civili) si trovassero nell’area casermaggio, di loro “dominio”, quando, incrociando Lele, cominciarono gli atti di nonnismo finiti male. Non c’è stato il tempo di sentire Stefano Viberti, l’ultimo commilitone ad aver visto Emanuele vivo. Sarà sentito l’11 giugno. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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