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Lo scienziato del clima: «Caldo e fenomeni estremi, andrà sempre peggio. Ma possiamo ancora fare qualcosa»

Intervista con il professor Federico Maria Butera, palermitano, consulente per il clima delle Nazioni Unite, e professore emerito al Politecnico di Milano di fisica ambientale

25 Luglio 2023, 16:11

Senzanome

Professore Butera, siamo dentro una pentola che bolle. Che sta succedendo?

«Ciò che il mondo scientifico dice da anni, la crosta terrestre si riscalda e scatena fenomeni meteorologici estremi e di lunga durata. Dobbiamo mutare il nostro stile di vita».

Federico Maria Butera è uno scienziato del clima nei suoi 80 anni portati in ottima forma ed eleganza per il suo sorriso e il cravattino immancabile. Palermitano, consulente per il clima delle Nazioni Unite, è professore emerito al Politecnico di Milano di fisica ambientale, scrive libri di taglio scientifico-divulgativo, e quindi adatti anche ai giovani, come il recente «Affrontare la diversità. Per governare la transizione ecologica», Edizioni Ambiente, e l’ultimo «Sole Vento Acqua. Italia a emissioni zero nel 2050», Manifestolibri.

Professore, in questi giorni in Sicilia stiamo sfiorando i 50 gradi, gran parte dell’Europa si è trovata sotto una cappa di calura eccezionale…

«L’Europa subisce l’incremento di temperatura maggiore del pianeta, quasi due gradi in più rispetto alla media mondiale di un grado».

In Veneto palle di grandine grossi come arance

«Episodi di sempre, ma ora in forma più frequente e violenta».

Le alte temperature sono solo una spia?

«Tutti ricordiamo estati torride, un giorno, due o tre, la persistenza non c’era, ma c’è adesso e andrà peggio»

Che fare noi, singolarmente?

«Possiamo agire su due livelli: impedire che la situazione peggiori in futuro e difenderci sul momento. Si chiama adattamento: evitare di stare fuori il più possibile, in casa usare prima di tutto il ventilatore, combinarlo semmai con il condizionatore a bassa intensità ottenendo frescura in minor tempo e a più basso consumo».

E la mano pubblica dove va indirizzata?

«Revisione dei piani regolatori, ci vuole più verde, marciapiedi chiari, il cemento scuro attira il calore, più attenzione ai fenomeni. Le città sono più calde delle campagne, le auto, i condizionatori sono i principali produttori di calore».

Dica la verità, non le hanno mai dato del catastrofista?

«Sì, molto spesso, a scuola abbiamo studiato tutti una certa Cassandra che purtroppo aveva ragione».

Chi sono gli scettici del cambiamento climatico?

«Ci sono due categorie: una irrazionale, non voglio ammettere di essere nei guai e non voglio cambiare abitudini. La seconda è composta da coloro che vogliono mantenere le cause della crisi ambientale e che fanno di tutto per istillare dubbi. Le imprese petrolifere hanno speso un miliardo di dollari in propaganda per convincere la gente che gli ambientalisti sono dei pazzi scriteriati. Questa linea è sposata dalle destre in tutto il mondo, da Meloni a Trump».

L’ambientalismo è di sinistra?

«Difficile dirlo, è di sinistra nella misura in cui i danni sono causati dallo stesso modello che determina ingiustizie sociali. E’ di destra se mira alla conservazione della natura, se non intacca il sistema produttivo».

I Paesi meno ricchi dicono: ora tocca a noi svilupparci.

«Devono sì, ma in una maniera diversa che ha un maggior prezzo, una centrale a carbone costa meno di un impianto eolico, è interesse comune lo sviluppo, date loro i soldi per svilupparsi. Il mondo più ricco ha promesso cento miliardi all’anno, cifra mai raggiunta».

Sale la temperatura e sale il livello dei mari e degli eventi atmosferici violenti.

«Esatto, sale per due ragioni: i ghiacciai si sciolgono, come sulle Alpi, Groenlandia, Everest, i galleggianti del Polo Nord no. La seconda è più grossa: l’acqua si riscalda, cresce di livello, erode le coste».

Lei riporta nel libro la frase di un’autorevole rivista medica inglese: «Il cambiamento climatico sta già pregiudicando la salute dell’umanità».

«Per tante ragioni, una è l’ondata di calore: l’estate scorsa l’Italia ha avuto il numero maggiore di decessi, 18 mila. L’altra riguarda le alluvioni. In Romagna quindici vittime, in Bangladesh migliaia. Aumentano, poi, le malattie trasmissibili dagli insetti che vivono meglio con temperature più alte. La zanzara raggiungeva in passato i 500 metri di altitudine, oggi arriva agli 800».

Il clima pazzo agisce anche sul morale dei nostri giovani?

«Di più, le statistiche descrivono un aumento dei suicidi e dell’incidenza sull’equilibrio psichico a causa del cambiamento climatico».

Quali sono i settori della produzione che provocano più problemi al clima?

«Edilizia civile e settore terziario, trasporti e industria si dividono le responsabilità alla pari. Le strade? Edifici più facili da abitare, isolati bene, sostituire le caldaie con pompe di calore. Per i trasporti è necessario passare all’elettrico. Sull’industria è più duro operare cambiamenti, troppe resistenze».

Ci sono zone del pianeta che stanno peggio di altre?

«Sì, le più povere, il clima tropicale è sconvolto, Corno d’Africa, Bangladesh, Pakistan e Filippine vivono fattori climatici esasperati: tifoni, desertificazione, picchi di caldo. E non hanno risorse né organizzazione adeguate».

Il clima impazzito provoca estinzioni. Ma se scompaiono orsi polari e tigri, qualcuno potrebbe dire: ma per noi cosa cambia?

«Molto importante, invece. Gira-gira, il sistema climatico influisce sulla produzione del cibo. Sono in netta diminuzione le comunità delle api e degli insetti impollinatori, il 75 per cento del cibo viene impollinato, non puoi mangiare carri armati».

Il suo cavallo di battaglia è l’economia circolare: in una frase vuole spiegare di che si tratta?

«Si tratta di evitare di comprare cose inutili per poi buttarle, che i prodotti siano durevoli, riparabili, riusabili, rigenerabili, riciclabili, meno scarti e meno magliette da produrre».

E qui torniamo al modello produttivo..

«Si tratta di combinare produzione e manutenzione, fare vivere gli oggetti più a lungo, debbo avere il negozio di riparazione dove vivo, riparare una scarpa può diventare un lavoro di alta tecnologia, per esempio in 3D, quindi un mestiere appetibile per i giovani».

Emissioni zero nel 2050: utopia?

«Dobbiamo farlo, ci siamo impegnati, le destre europee sul Green Deal si sono fermate, ma dovremo arrivarci, gli Usa e la Cina sono avanti, l’India, anche se in ritardo, si muove. E l’Europa non può restare indietro».

Ad ottenere quel risultato, il pianeta sarà in salvo?

«Ci vorranno alcuni decenni per tornare alla normalità. In caso contrario, i nostri nipoti vivranno in un pianeta inabitabile. Primi atti: riassorbire le emissioni e cambiare il modello di produzione agricola».

E’ realistico cambiare il modello economico?

«L’opinione pubblica deve impegnare le istituzioni a farlo subito, stop agli allevamenti intensivi, soprattutto di carne rossa. Smettiamo di ordinare bistecche, impegniamoci a mangiarle una volta a settimana. Come una volta».