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Il racconto

Pippo Zeffirelli, il figlio adottivo siciliano che conserva la memoria del Maestro

Originario di Agrigento, Pippo Zeffirelli ha vissuto per 50 anni accanto al regista e autore fiorentino scomparso qualche anno fa

Di Giorgia Lodato |

Millenoventoventitré-2023. Sono i “cento anni” di Franco Zeffirelli l’occasione per far uscire dagli armadi dei teatri e dagli archivi della Fondazione dedicata al regista, disegni, costumi di scena, bozzetti e fotografie che hanno caratterizzato il lavoro cinematografico e teatrale di Zeffirelli e che per il centenario voleranno a Milano, Friuli, Puglia, Verona, Roma, New York, Tunisia e Marocco per mostre, eventi e rappresentazioni dedicate a un maestro che ha fatto la storia del cinema. 

Anche in Sicilia, terra amatissima da Franco Zeffirelli, ci si sta muovendo per celebrare questo importante anniversario. A Palermo con il Teatro Massimo, dove ha girato Storia di una capinera, Cavalleria Rusticana, Pagliacci, e forse anche a Taormina e Siracusa. 

A Pippo Zeffirelli, originario di Agrigento, figlio adottivo del grande regista, il maestro, ha affidato il compito – e la responsabilità – di tenere viva la memoria del suo operato e tramandarla alle giovani generazioni. «Tra il ’68 e il ‘69 ho lasciato la Sicilia per fare il militare – racconta Pippo Zeffirelli -. A un certo punto mentre ero in Marina a Roma, si è presentata l’occasione di incontrare il regista Mauro Bolognini, che all’epoca non conoscevo». Sarà quello l’incontro che cambierà per sempre le carte in tavola nei programmi di Pippo, allora diciannovenne. «All’incontro era presente anche Franco Zeffirelli. Ero appassionato di cinema, quando potevo andavo a vedere gli spettacoli e diventavo pazzo di fronte a quei pochi film che passavano il lunedì sera sul primo canale. Benché fossimo ragazzini, i genitori ci permettevano, quell’unico giorno, di andare a letto tardi, mentre solitamente dopo la tv dei ragazzi non ci era permesso di guardare la televisione. Mi piacevano i film con Marlene Dietrich e Greta Garbo». Una passione, quella per il grande schermo, che ha da subito condiviso con chi, invece, il cinema lo faceva. «Franco mi disse di scrivergli e il caso volle che il giorno dopo questo episodio in televisione si parlava di lui. Aveva avuto un incidente con Gina Lollobrigida, in cui ha rischiato di perdere la vita. Ne approfittai per scrivergli e fargli gli auguri di pronta guarigione. Quando uscì dall’ospedale, mesi dopo, organizzò una grande festa a casa sua e mi invitò. C’erano la famiglia, i parenti, gli amici più cari e trascorsi un fine settimana nella famosa Villa sull’Appia, dove abbiamo vissuto fino a un paio di anni fa».

Finito il periodo militare, dunque, inizia l’esperienza di Pippo Zeffirelli nel mondo del cinema. «Non sapevo quasi niente, ero molto timido, ma a furia di seguirlo – gli tenevo il copione, come fanno molti ragazzi che iniziano a lavorare nel mondo del cinema – il fascino per questo mondo cresceva sempre di più». All’epoca girava Fratello sole, sorella luna. È stato dopo un paio d’anni, con Gesù di Nazareth, che Pippo ebbe il suo primo vero incarico. «Mi chiese di cercare gli attori per i diversi ruoli. È stato splendido, ho lavorato nell’ufficio di Vincenzo Labella, produttore del film. Quando sono iniziate le riprese l’aiuto regista, nel passaggio dal Marocco alla Tunisia, si è ammalato e mi chiesero di sostituirlo. È stata la prima esperienza come assistente alla regia, per poi passare alla produzione». Il rapporto si rafforza, dunque, ma non solo sul piano professionale. Zeffirelli, non avendo figli naturali, decide di adottare Pippo e un altro ragazzo per formare la famiglia che si sarebbe presa cura di lui fino all’ultimo giorno.

«Sono rimasto con lui 50 anni, mi ha regalato una delle vite più belle al mondo tra cinema, opera e teatro. Ho avuto la possibilità di conoscere i più grandi attori al mondo, da Laurence Olivier a Peter Ustinov a Claudia Cardinale. E, soprattutto, attraverso le sue produzioni d’opera mi sono educato ad amare la musica. Si è sempre circondato di grandi direttori e grandi teatri come La Scala, il Metropolitan, lo Staatsoper di Vienna. Ad Agrigento c’era un cinema, ma non si andava a vedere l’opera. È stata una meravigliosa scoperta sul campo». Quando Zeffirelli si è ammalato la sua famiglia si è occupata di organizzare, catalogare e sistemare tutto quello che aveva prodotto nell’arco della sua vita. «Un archivio straordinario che racconta 70 anni, una biblioteca con più di 10 mila volumi e i suoi disegni, i suoi bozzetti». Serviva uno spazio dove poter collocare il materiale e nasce così, nel cuore di Firenze, la Fondazione ospitata nel palazzo barocco sede dell’ex Tribunale. «È stato il suo sogno avverato, se n’è andato tranquillo. Con la Fondazione organizziamo corsi nell’ambito delle arti e dello spettacolo, perché oggi i giovani interessati al disegno, al costume, alla scenografia elaborano tutto attraverso il computer. Noi invece li spingiamo ad adoperare le matite, le mani, mostrando loro i 150 bozzetti all’interno del museo perché capiscano l’importanza del disegnare con il sapore della pittura, dalla china, all’olio, all’acquarello. Invitiamo spesso gli insegnanti per accrescere l’interesse e il coinvolgimento degli studenti e abbiamo una sala musica dove ospitiamo gratuitamente i concerti degli studenti del Conservatorio di Musica Luigi Cherubini. Insomma, è molto importante per noi aprirci ai giovani e alla città». 

E la Sicilia? «Ha avuto sempre una grande passione per questa terra. Ha lavorato al Teatro Massimo di Palermo e abbiamo girato il film opera Cavalleria – Pagliacci e Storia di una capinera. Ha imparato persino il dialetto siciliano quando ha lavorato con Luchino Visconti al film La terra trema, per poter dialogare e istruire le persone coinvolte nel film. Ricordo che nel ‘69 ci trovavamo a New York e gli dissi che per Natale avrei raggiunto i miei nonni e degli zii nel New Jersey. Volle venire anche lui e si divertì come un pazzo, perché nonostante i miei zii e i miei nonni fossero nati in America continuavano a parlare in dialetto siciliano. E lui si mise a parlare con loro per tutta la sera». 

L’America. È lì che pensava di tornare Pippo dopo la morte di Franco Zeffirelli. Ma il suo ruolo di erede lo ha trattenuto a Firenze. «Ho ancora qualche anno da dedicare alla Fondazione prima di riposarmi. Per ora è tutto sulle mie spalle, ma a un certo punto bisognerà renderla indipendente». Chi sarà il suo erede? «Lo devo ancora trovare, deve essere qualcuno che ama Zeffirelli quanto lo abbiamo amato noi e che abbia la capacità imprenditoriale di gestire questa enorme storia», dice Pippo Zeffirelli, che conclude il suo racconto con un sorriso e un saluto speciale: «Maestro ti vogliamo bene, ciao». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA