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IL PERSONAGGIO

Pippo “Pernacchio”, l’uomo che campava d’aria diventa uno spettacolo teatrale nella sua Catania

Amato e conosciuto in tutta Catania per le sue mirabolanti e divertenti esibizioni in via Etnea

Di Paolo Francesco Minissale |

Pippu s’u purtau lu ventu

Comu sgrusciu di carrozza

Lu distinu ’nfami e tintu

Ci manciau li cannarozza.

C’è la malinconia di un’intera comunità, privata del piacere d’incontrarlo in via Etnea e ridere delle sue mirabolanti esibizioni, nello struggente brano dedicato dieci anni fa dal cantautore Vincenzo Spampinato a Pippo Pernacchio, al secolo Giuseppe Condorelli, nato a Catania il nove giugno del 1930 e morto per un cancro alla gola il 15 marzo del 1993. Trent’anni fa.

Chi fosse Pippo Pernacchio, protagonista della Catania brancatiana, della Milano del Sud, lo sanno tutti e nessuno. Tanti sono stati gli articoli che il nostro quotidiano gli ha dedicato, anche dopo la sua morte.«Gli autobus di linea e quelli dell’Etna Trasporti – ha raccontato in un articolo nel 2016 Alessandro Russo – lo portano con sé e lo mostrano come un trofeo… Non appena scende giù, quello comincia a spernacchiare uomini e cose da un marciapiede all’altro. Come una stella del varietà, dapprima accenna un lieve inchino poi allarga in modo solenne le braccia; avvicina la mano alle labbra, gonfia le guance e s’esibisce con maestria».

Seconda casa

La Sicilia è stata, oltre alla via Etnea, una sorta di seconda casa per Pippo. Per via di Piero Corigliano che era quel che oggi definiremmo il suo principale sponsor, oltre che amico. Tutti, al giornale, volevano bene a Pippo: giornalisti, tipografi, fattorini, centralinisti. Di lui sapevano che, di certo campava d’aria, poiché visse vendendo i sonori sberleffi del soprannome. Sapevano che era amato da tutti: dava del tu alla gente del popolo ma anche a medici, attori, registi, imprenditori, avvocati e persino magistrati (non ai politici: quelli li spernacchiava). Così, quella volta che fu “rapito” da un camionista e sparì per qualche giorno, fu al Giornale che la città, preoccupatissima, chiese sue notizie.

E proprio quell’episodio sarà narrato in uno spettacolo teatrale dedicato a Pippo che sarà proposto in autunno al Brancati.

Lo spettacolo teatrale

«Ritengo importante – ha sottolineato Orazio Torrisi, produttore teatrale di riferimento non solo nel Catanese – che il Teatro si occupi di personaggi che hanno in qualche modo segnato una comunità. Mettendo in scena le loro vicende si creano affreschi che rappresentano una certa Sicilia. È indubbio che, a trent’anni dalla morte, Pippo Pernacchio, l’uomo che campava d’aria, sia ancora estremamente presente nell’immaginario collettivo dei Catanesi e non solo. Per questo abbiamo deciso di dedicargli uno spettacolo». «Al termine di un mio spettacolo – spiega Cosimo Coltraro, che nel lavoro sarà Pippo – incontrai il giornalista e scrittore Giuseppe Lazzaro Danzuso e, poiché mi era piaciuto un suo testo, mi proposi come interprete di una sua pièce su Pippo Pernacchia, invitandolo a scriverla. Due giorni dopo mi arrivò il copione. Incredibile!».

«In realtà – svela Lazzaro Danzuso – da tempo pensavo a uno spettacolo su Pippo. Ne avevo già scritto in un mio libro del 2012, “Gran circo Catania” e lo conoscevo di persona visto che frequentava assiduamente “La Sicilia” e che veniva a trovarmi all’Ansa, che era nello stesso stabile di viale Odorico da Pordenone. Così buttare giù una prima stesura del copione è stato abbastanza semplice. Anche perché ho utilizzato alcuni scritti di Piero Corigliano, badando a mantenere l’inconfondibile ironia del suo stile e l’idea di considerare il protagonista della nostra storia come il figlio birichino… dell’intera città».

La famiglia

Il padre di Pippo si chiamava Angelo Condorelli ed era un “vilanzaru” del Borgo, maritato con Rosalia Minissale. Oltre a lui ebbero sei figli: due maschi, un poliziotto e un bidello, e tre femmine, una delle quali, Pina, che riposa con Pippo e i genitori in una delle tombe della famiglia nel cimitero di Catania, fu la sua tutrice legale. Però, poiché lavorava da impiegata, ad accudire Pippo era la sorella minore, Concettina, che lui chiamava “la mia mammuzza”.

Ma era lui il piccolo di casa, perché, colpito da una meningite a otto anni, il suo sviluppo mentale si era fermato ad allora. Un eterno bambino, insomma. Ma non solo.

«Pippo – sottolinea Sergio Lo Trovato, presidente del Csr Aias – fu l’anticipatore di un’espressione che avrebbe preso piede soltanto anni dopo: diversamente abile. Era un campione nel fare i pernacchi e ne fece il suo punto di forza. Tutti gli volevano bene ed era diventato un emblema del riscatto di coloro i quali, un tempo, venivano bollati come minorati».

Eterno bambino

E quell’eterno bambino attirava non soltanto chi aveva conservato un cuore puro ma anche chiunque avesse la capacità di giocare.

«Per me – racconta il pronipote, Dario Aloisi, noto come assicuratore e pallavolista – non era uno zio come gli altri ma l’uomo dei giochi: la stella da sceriffo, il fischietto e ninnoli d’ogni tipo. Ero affascinato da lui e lo vedevo come un uomo senza paura che dispensava pernacchie a chiunque. Anche in famiglia, pur se non usava tutta la potenza che era solito manifestare fuori. Con me era gentile, premuroso e mi parlava quasi come fossimo coetanei. Ho nel cuore il ricordo di una persona buona, che mi faceva divertire. Lo stesso ricordo che hanno i Catanesi che lo conobbero».

E non solo i Catanesi, visto che Pippo era noto pressoché in tutta la Sicilia orientale: non è un caso che sia stato posto dal pittore francese Cristian Bernard proprio al centro del celebre murale del bar Mocambo di Taormina, città in cui l’Uomo dei pernacchi divenne il beniamino dei turisti, conquistando una piccola fama internazionale.

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