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Roma, il Catania in serie A: trionfo

26 giugno 1983, Luigi Prestinenza racconta il ritorno della squadra rossazzurra nell'Olimpo del calcio italiano

Di Redazione |

Roma, 25 giugno ore 19,50 una grande A  dorata si accende sul tabellone luminoso dell’Olimpico. Il Catania ha pescato in una dura partita, che però raramente l’ha visto in affanno, le chiavi della serie A. Era nell’ordine naturale delle cose che la Cremonese, a cui non restava che una sola via d’uscita, quella di strappare la vittoria piena, fosse la prima a rompere gli indugi, a venir sotto, a sparare tutte le cartucce che aveva. E tuttavia l’offensiva grigiorossa, abbastanza ben manovrata nel primo tempo, fatta di rabbiosi sussulti nella ripresa, non ha mai incrinato il calmo controllo che la squadra più esperta ha imposto alla partita. Quella squadra era il Catania.

Risultato dunque indiscutibile, anzi con più nette e ripetute opportunità di vittoria per i contrattacchi catanesi e decisione incontestabile per il mini torneo di spareggi: l’ha vinto la squadra più solida, la squadra con i veterani più esperti, come in molti pensavano. Ed erano nel vero, s’è visto. Sabato scorso a questo Catania aveva dovuto arrendersi il roccioso Como; oggi è toccato alla indomabile, ma alla fine domata, Cremonese.

Forse la marea dei tifosi catanesi che ha invaso l’Olimpico e assicurato un incasso di quasi 330 milioni, si aspettava dai suoi una prova più spavalda, meno ragionata. A conti fatti hanno avuto ragione proprio i ragionieri. Il Catania non aveva motivo di rischiare più del dovuto e del necessario per un malinteso senso di sfida, per un eccesso d’orgoglio. Le sue minacce alla porta di Pionetti le ha portate lo stesso, anche se non ha avuto la fortuna di poterle condurre al gol: il suo controllo dell’incontro non è stato mai rinunzia. ha sempre lasciato sbocchi aperti verso l’area avversaria, e la prova superba di qualche giocatore — Mastalli e Mastropasqua su tutti — ha dato peso e sostanza alla prestazione generale.

Questa terza drammatica serata romana segna dunque la quarta scalata rossazzurra alla serie A. Vi abbiamo assistito commossi, col cuore in gola, mentre pian piano scorrevano gli ultimi minuti. E ci venivano davanti agli occhi come in sovrimpressione lontani fotogrammi: a Como, quasi trent’anni addietro, anche lì un pari che portò in A i colori rossazzurri per la prima volta; poi Brescia, dove Di Bella fu sconfitto in campo, ma promosso dal gioco dei risultati dopo un magnifico campionato; Reggio Calabria infine, dodici anni fa, un’invasione massiccia, un 3-1 trionfale. Delle quattro, questa è stata la conquista più sofferta, più dura, inseguita fin oltre il traguardo del campionato.

Non importa; oggi è importante soltanto che si sia arrivati. Bene, ci siamo svegliati in tempo per vedere l’arbitro Menegali raccogliere il pallone da terra in area rossazzurra e levarlo in alto: mentre dalle tribune scoppiava un urlo irresistibile, un poderoso coro di vittoria. E poi le scene del trionfo, i giocatori denudati, i capitomboli in mezzo al campo, le mille bandiere baciate dall’ultimo sole. Momenti sicuramente da ricordare. Adesso più che rifare i conti del successo importa comunque mirare all’avvenire.

Catania ha voluto fermamente questa conquista, vi ha partecipato con passione, l’ha sostenuta con tutte le forze e il suo ardore: merita che una tale conquista, che è anche e soprattutto sua, non le venga sottratta. Che al contrario venga coronata da qualcosa di duraturo. E questo qualcosa significa squadra, significa un salto di qualità ncll’organizzazione sociale, significa stadio da rifare, e non appena possibile grande stadio da mettere in programma.

Questo richiederà che tutte le forze della città si mobilitino e soprattutto quelle politiche che, in verità, da Catania hanno parecchie cose da farsi perdonare. Adesso è giusto che collaborino con Massimino o qualunque altro gli venga al fianco per portare in alto il nome della città.

Questo è il discorso mirato sull’avvenire che volevamo fare. Il passato, anche recentissimo, non conta più. Questa partita che si è appena chiusa ci sembra già archeologia, mentre sugli spalti tornati silenziosi inseguiamo queste rapide note. E’ una partita che ricorderemo come sofferenza innanzitutto. La scommessa del Catania sullo 0-0 aveva i suoi innegabili rischi. L’avversario non si è arreso sino agli ultimissimi minuti: questa Cremonese, giovane e spavalda, ha meritato davvero l’onore delle armi. Ma la scommessa è stata tenuta dal Catania con fermezza, garantita sin all’ultimo giro della pallina del croupier.

E’ stata soprattutto la difesa rossazzurra il pezzo forte della squadra. Ma quando parlo di difesa non parlo di un reparto, ma di un’intera organizzazione di squadra, in cui ad esempio uomini come Morra si sono inseriti come pezzi di un mosaico perfetto. Un’organizzazione da cui sono usciti come frecce Mastalli e Crialesi a rovesciare il fronte, costringendo Pionetti a uscite da brivido sino a cinquanta metri dalla propria porta. E uno di questi tentativi è stato stroncato in maniera assolutamente contestabile da uno spintone a Crialesi, che era senz’altro degno del calcio di rigore.

La Cremonese è parsa, in questa sua partita della disperazione, più decisa, più aggressiva: la regìa di Bonomi e di Bencina le ha consentito via libera per le sgroppate di Vialli e di Frutti, mentre Viganò remava su un’ampia fascia. Di Marzio preoccupato per la marcatura di Vialli ha risposto nella ripresa spostando Ranieri sulla giovane insidiosa ala e portando Ciampoli su Frutti. Da quel momento la saracinesca, che nel primo tempo aveva mostrato qualche smagliatura, si è chiusa, è calata come una muraglia davanti alla Cremonese e alle sue ultime speranze.

Il verdetto alla fine è stato quello sperato, sudato da Di Marzio e dai suoi in dieci duri mesi, in un ritiro finale davvero stressante. Non fosse che per questo direi che un Catania di questo genere meritava e merita la stima, l’affetto, la passione che un’intera città gli ha dato e gli ha testimoniato: con tutto il cuore.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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