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Il giornale non è un mero “sacco di notizie” ma un istruttivo libro di testo

Riflessioni di Luigi Prestinenza  in occasione della settimana dell’informazione

Di Redazione |

Luigi Prestinenza

Giornalista, caposervizio allo Sport de La Sicilia, astrofilo “sin dall’età di dieci anni, quando ebbi la fortuna di leggere “L’Astronomia popolare” di Camille Flammarion”, come amava dire, ideatore e curatore per oltre mezzo secolo della rubrica mensile “Il cielo”. Ma Prestinenza fu pure e soprattutto un uomo che amò la cultura e ne divulgò i saperi, le conoscenze, le acquisizioni, principalmente quelli nel campo scientifico, astronomico in particolare.

Nella primavera del 1977, con un manipolo di giovani e un maestro di judo, fondò la prima associazione di astronomi non professionisti a Catania, che nel giro di poco tempo crebbe numericamente, divulgò l’Astronomia nelle scuole e tra la gente con corsi, conferenze e serate astronomiche con l’uso di telescopi. 

Nel febbraio del 2003, la dolorosa separazione e qualche mese dopo, insieme con numerosi docenti provenienti dal mondo universitario e scolastico fonda “Stelle e Ambiente”, l’associazione di ricerca e divulgazione astronomica e ambientale intitolata alla memoria dell’insigne scienziato prof. Marcello La Greca, di cui fu il primo presidente fino al 2010, anno in cui fu nominato presidente onorario per le sue precarie condizioni di salute, che nei mesi successivi si sarebbero aggravate progressivamente fino alla morte, avvenuta il 6 settembre del 2012. 

DALLA TESTATA LA SICILIA 24 APRILE 1975

Può essere davvero il giornale, come vuole il tema della «Settimana dell'informazione», un libro di testo per ogni giorno, o si tratta semplicemente d'una battuta ad effetto, coniata dalla fantasia fertile che s’attribuisce (e talvolta si rimprovera) ai giornalisti? Se lo sarà chiesto, magari, più d'un educatore, perplesso davanti alla novità dell'argomento o preoccupato dell'abbondanza di «diversivi» che si vanno offrendo alle nostre scolaresche; e gli stessi dubbi potranno ritrovarsi in una parte del pubblico, che giudica il giornale, come molte altre cose, da taluni aspetti più appariscenti e superficiali. Mi par di sentirli, questi Catoni. Ma come, il giornate che riferisce tante cose sgradevoli,che si rinzeppa di cronaca nera o di articoli sportivi, scritti in un gergo da iniziati così come son descritti le alchimie dei parlamenti e dei partiti; il giornale che pubblica fotografie audaci o scioccanti; il giornale che può essere espressione di parte anche se talvolta non lo dice fin dalla testata, questo «enfant terrible» dell'informazione e della cultura entrerebbe nei recinti sterilizzati della scuola, dovrebbe essere letto e commentato sui banchi e dalla cattedra? Se non è la fine del mondo, poco ci manca.

Ma non è, in realtà, la fine del mondo. Come molte altre cose, solo che siano rettamente introdotte, illustrate, adoperate, e non siano dei diversivi fine a sé stessi, o peggio ancora il pretesto per atteggiamenti faziosi, per contestazioni sterili, per portare la politica dei partiti davanti e dietro la cattedra. Alcuni presidi e professori ci hanno telefonato, negli ultimi giorni, chiedendo che cosa precisamente intendessimo fare, una volta davanti agli studenti, che cosa avremmo detto, se sarebbe stata soltanto una conferenza o soltanto l'inizio, il pretesto per un dibattito. Chiaramente, deve essere anzitutto un incontro, un dibattito. Lo fu già l'anno passato, quando la « Giornata dell'informazione » impegnò alcuni valenti colleghi dei giornali catanesi nelle scuole, fra cui i nostri Salvatore Nicolosi, Nino Milazzo, Candido Cannavò e Vittorio Consoli; e non mancarono le domande «difficili» o apertamente polemiche. Quest'anno l'incontro si ripete, su scala più ampia, e l'iniziativa è stata dell'Associazione della Stampa, che naturalmente conta sulla collaborazione di giornali e giornalisti, stampati e radiofonici o visivi, oltre che su quella del Provveditorato, dei presidi, dei docenti. Ma che cosa, esattamente, diremo ai giovani? Bene, io direi loro anzitutto che il giornale non è un semplice «sacco di notizie». Che è un prodotto difficile e fuor della regola, atipico: è una «fotografia» del mondo, fissata per un certo istante, con certi criteri, per un certo pubblico. O meglio, il semplice fotogramma di un film che dura molto a lungo, che vuol essere ed è, sia pure parzialmente e in modo imperfetto, lo specchio di ciò che avviene nel mondo, lontano e vicino. Nessun fotogramma descrive appieno un avvenimento: ne fissa un momento, talvolta irripetibile, ma soltanto un momento. Richiama il precedente e rinvia al successivo. Che cosa si mette nel giornale? Ma di tutto un po', a seconda dei gusti, delle esigenze, della tradizione di un determinato ambiente. Si mette tutto quanto si pensa che possa interessare al pubblico, alle più svariate categorie di lettori, giovani e vecchi, colti e meno colti. I giornali che si fanno oggi sono molto diversi da quelli che si offrivano al pubblico cinquant'anni fa, non foss'altro perché recano molte notizie di più. Non sono neppure adesso un puro fatto di cultura, al contrario puntano essenzialmente sull'attualità. Informano, soprattutto. Il punto è vedere «come» informano, come commentano e interpretano la notizia, ed è da questo «come» che si misura la classe, la caratura di un determinato giornale.

Messo, assai sommariamente, in questi limiti, che cosa può rappresentare il giornale per la scuola? Come può essere effettivamente un libro di testo, sia pure ausiliario? Certo che lo può; prima d'ogni altra cosa offrendo un'immagine viva del mondo, della società, della città in cui si vive, un'immagine che non è quella «congelata» nei libri di storia o di geografia, nei manuali di economia politica, o nei libri di storia dell'arte o del cinema. Un'immagine complessa, certo; un'immagine precaria e provvisoria, quale può essere fissata per un istante, in quell'istante. Ma appunto questo, questa sublime precarietà della vita e detta società che si evolvono, è la lezione da intendere e da interpretare. E qui, dopo la fatica del giornalista, comincia quella dell'insegnante e del ragazzo. Chi lavora a « fabbricare» il giornale ha fatto del suo meglio, coi mezzi, le notizie, gli specialisti di cui dispone, per dare una notizia, per dettagliare e illustrare un avvenimento. Adesso tocca ad altri collocarlo nella giusta cornice, rapportarlo alla propria mentalità e preparazione civile e culturale. Un discorso difficile? Ma che cosa è facile in una scuola non fatta di semplici nozioni, in una scuola che mira — come in realtà ha sempre mirato — anzitutto al libero e fruttuoso sviluppo della personalità dello studente, in fiducioso e fecondo rapporto con l'insegnante che lo cura e che lo segue? Si è sempre fatto questo, più o meno consapevolmente, da che mondo è mondo: se non si vogliono fabbricare degli automi, ma indirizzare dei giovani, parlare alla loro sensibilità nel modo più giusto e più comprensibile.

Il giornale registra dei fatti, non li interpreta certo in modo definitivo: naturalmente. Non è un libro di testo, in questo senso. Però fa il meglio che si possa in un margine di tempo limitato. Lo fa con parzialità, come espressione di una certa temperatura politica? Naturalmente, nessun uomo fa diversamente. E' sempre sé stesso, davanti agli stimoli più vari. Ma ci sono altri giornali, c'è nella pluralità della stampa democratica, la possibilità di utili, istruttivi raffronti e confronti, che il professore farà notare se ce ne sarà bisogno: ma forse non dovrà neppur prendersi questa briga, perché la diversità di certi titoli, di molte vedute, salterà agli occhi di ogni giovane che non sia rozzo e limitato. I giornali sono diversi, debbono essere diversi come ogni voce libera: avevano un accentuazione particolare, quelli che erano fatti bene, anche in un regime totalitario come anello che c'era in Italia più di trent'anni fa. In un margine più ristretto, ma l'avevano.

Queste sono soltanto alcune delle riflessioni che si possono fare davanti a un giornale. Se ne potrebbero fare molte altre, il più delle volte in senso critico. E perché no? Pochissimi giornali italiani danno ai fatti della scienza, per esempio, il giusto rilievo con un'apposita pagina o rubrica; c'è ermetismo e accademia nel gergo di troppi scrittori; ci sono giornali, grandi e piccoli, scritti male o mediocremente, nella lingua e nei concetti. Ma in edicola è come in libreria: il più cattivo giornale ti darà, se non altro, il gusto di uno migliore. Si tratta di saper raffrontare e scegliere: e come si può, se non concretamente scegliendo?

In Italia, purtroppo, si legge poco: si preferisce guardare gli schermi, grandi e piccini. Il che, talvolta, può essere molto utile; ma niente può sostituire, per la cultura, per la nostra mente, ciò che andiamo a cercarci da noi stessi. Informandoci, educando la nostra sensibilità, il nostro gusto. Ecco che cosa può farti, ecco quale processo può stimolare, quel «sacco di notizie» che è un giornale, e che in Svizzera o in Inghilterra si lascia alla porta d'ogni casa, vicino alla bottiglia del latte. Non parlo qui, volutamente, delle collaborazioni dichiaratamente culturali che si possono leggere su un giornale, con il contributo di illustri firme, di professoroni dei più diversi specialisti. Questa è già cultura, è qualcosa che affianca e integra il giornalismo, e magari lo illustra e lo nobilita: ma la viva realtà del giornale è altrove, quando parla di ciò che succede di qua e dì là dell'orizzonte, e dice l'ultima parola, prima di finire a foderare un cassetto o appallottolato in fondo a un cestino.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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