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Sant'agata

La Santa, i luoghi, la gente la narrazione “plastica” di una festa comprensibile

Di Maria Torrisi |

Percorrendo le strade di Catania durante la festa di Sant’Agata, su un tracciato ben definito, sperimentiamo plasticamente il fluire di una “narrazione” che lega la città alla sua storia e a quella della devozione per la sua santa patrona. Come in ogni struttura narrativa, anche nell’esperienza personale della partecipazione alla festa, si ritrovano gli elementi del racconto “plastico”. C’è una protagonista: un’eroina con un forte ideale, che combatte e ottiene l’immortalità data dallo status di santa. C’è una storia: quella della vita della santa, del processo e del martirio, e poi quella dei successivi suoi “interventi” sul territorio a protezione della città. Ci sono i dialoghi: quelli tra Sant’Agata e Quinziano dai quali emerge una personalità decisa della protagonista. C’è una città e ci sono luoghi precisi nei quali le vicende si collocano fisicamente: il carcere, la fornace, il primo sarcofago, il fiume Simeto che inghiottì Quinziano in fuga. Catania è disseminata di chiese, edicole votive, steli, piazze costruite sui luoghi del martirio e poi anche su quelli nei quali è stata chiesta ed ottenuta l’intercessione a protezione della città. E possiede iscrizioni, in forma di acronimo, che ricordano e confermano lo stretto rapporto che lega Sant’Agata alla sua città natale.  In questa festa-narrazione ci sono poi precisi riferimenti temporali: l’anno 251 per il martirio, addirittura il giorno e il mese, il 5 febbraio, e ci sono le date certe di una storia che continua – con i terremoti, le eruzioni, le invasioni, le pestilenze – date che hanno visto Sant’Agata ancora protagonista, grazie al suo potere di salvezza in risposta alla richiesta di protezione dei devoti. In questa narrazione non astratta ma piena di elementi concreti di realtà ci sono persino le tracce, le conferme tangibili della vita della protagonista e della successiva devozione, sia nella città teatro dell’evento, sia oltre i suoi confini territoriali. Come in una ideale passeggiata in una zona archeologica, la devozione per Sant’Agata nel teatro della storia, annovera numerosi reperti: l’iscrizione funeraria greca della donna di Ustica e la lapide latina di Julia Florentina, già del III secolo, il Canone Romano che nel VII secolo, su decisione di papa Gregorio Magno, inserisce il nome di Sant’Agata nelle celebrazioni eucaristiche di tutta la cristianità e soprattutto le reliquie, segno che la Chiesa ha sempre ritenuto di massimo valore, tanto da edificare su di esse chiese di pietra e comunità di fedeli. Le narrazioni che noi conosciamo – i romanzi, i film, i miti, le leggende – si presentano in forma verbale: sono descrizioni che utilizzano frasi e dialoghi, mentre la festa di Sant’Agata, essendo costituita da un ricchissimo protocollo di azioni, è una narrazione non verbale che potremmo definire “plastica”, immediatamente comprensibile da tutti, per questo anche turisti e bambini ne sono affascinati. La festa di Sant’Agata – senza la forzata parentesi legata all’emergenza Covid degli ultimi due anni –  è un cammino devozionale: due giorni e due notti di continuo spostamento, a passo lento, anche logorante, in forma collettiva, lungo le vie della città. Uno spostamento che tocca punti-chiave che formano un lungo filo di una narrazione: giorno 4, con il “giro esterno”, i punti tracciano i confini della città disegnati dalla ricostruzione successiva ai due grandi episodi catastrofici che la colpirono alla fine del Seicento – l’eruzione del 1669 e il terremoto del 1693 – mentre giorno 5 con il “giro esterno”, i punti-chiave ripercorrono e “narrano” la storia della vita della santa e il suo riverbero sulla vita consacrata dei monasteri. Momenti che rivivremo. Tale cammino è collettivo e rappresenta il popolo della chiesa che segue l’esempio della santa; è unificante perché, con il “sacco”, tutti i partecipanti vedono annullate le differenze di ceto; è espiativo perché impone fatica fisica, assomiglia ai pellegrinaggi e ha tratti di analogia con la Via Crucis; infine è propiziatorio perché esprime il bisogno costante di protezione contro la paura di ogni male, nei confronti del quale la devozione rappresenta un “vaccino” capace di allontanare le conseguenze più gravi e disastrose. Il cammino è una narrazione, ancorché non verbale, perché si snoda in pensiero, e lo fa attraverso l’esperienza fisica e sensoriale. Unisce tappe attraverso passi, tocca luoghi-simbolo della città e “mima” la concatenazione degli eventi. Ogni devoto percepisce con i sensi, passo dopo passo, il procedere della storia, sperimenta su di sé il “prima” e il “dopo”, che è anche il procedere di ogni narrazione. Simbolicamente il cammino è metafora della vita, ma anche metafora della narrazione perché ogni racconto è un sistema concatenato di passi-eventi ed è persino circolare: riproduce il movimento degli astri, la perfezione celeste, e pure quello delle narrazioni di formazione, diventando metafora del ritorno a casa con una consapevolezza maggiore, preludio di un nuovo inizio che si compie con la ripetizione annuale dell’evento. Il percorso “racconta” la storia della città di Catania e della protezione di Sant’Agata. Racconta un’alleanza inscindibile tra un territorio e la sua storia, tra un popolo e la sua identità che si unifica e si forgia sul modello di sant’Agata.  L’ultimo ingrediente che vorrei aggiungere è l’elemento emotivo che fa della festa di sant’Agata una narrazione plastica che procede su basi emozionali. L’atmosfera della festa è un tripudio di sollecitazioni sensoriali: l’odore del torrone e dello zucchero filato, i colori delle luminarie e dei fuochi d’artificio, le urla delle invocazioni, la folla con la sua fisicità incontrollabile, sono sensazioni scolpite nella mente dei catanesi e stratificate negli anni della vita di ciascuno. Su questa base di emozioni si innestano quelle personali di ogni “pellegrino”: le ansie, le angosce, le paure, le aspirazioni e i desideri più intimi e profondi, quelli che si consegnano nelle mani della patrona con palpitazione. Tutte queste richieste sono anch’esse “narrazione” che chiudono il cerchio della festa: alla santa ogni devoto “racconta” la propria storia di angoscia, fatica e aspirazioni, invia segnali di ritorno alla comunicazione della festa e la vivifica. Tra le pieghe della grande narrazione della festa sono cucite le singole storie dei devoti, come le gemme e i gioielli donati alla santa e cuciti sul suo busto reliquiario. Questo legame intimo è ciò che dà spessore alla festa, e che costituisce la polpa di una impalcatura che da sola correrebbe il rischio di rimanere una vuota rappresentazione. 

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