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Morosi: «Traduzione fedele ma un testo evocativo con una parola più magica»

Di Monica Cartia |

Il mondo di Francesco Morosi non è fatto solo di traduzioni ma anche di parole evocate che diventano liriche. Ha fatto innamorare il pubblico per la musicalità e l’ambiguità delle parole utilizzate nella traduzione di “Edipo re” di Sofocle per la regia di Robert Carsen nella scorsa edizione delle Rappresentazioni Classiche e quest’anno traduce “Ulisse, l’ultima Odissea” per la regia di Giuliano Peparini in scena dal 29 giugno al 2 luglio al Teatro Greco di Siracusa.

«Se mi avessero detto due anni fa che sarei stato per due anni consecutivi uno dei traduttori per Inda, mi sarei messo a ridere. Quando Giuliano Peparini mi ha chiesto di partecipare a questo progetto aveva già le idee abbastanza chiare su cosa avremmo dovuto scegliere della mole enorme. La cosa che a lui interessava di più erano le avventure di Ulisse. La fortuna è che questo nucleo narrativo è nell’Odissea ben coeso, dal IX al XIII libro, e sono quelli ambientati nell’isola dei Feaci dove Ulisse arriva naufrago dopo una tempesta terrificante che credo sarà messa in scena. Accolto ospitalmente dai Feaci racconta le sue avventure un po’ controvoglia. Questa è l’unità narrativa anche del libretto; naturalmente si tratta di una riduzione ma siamo stati attenti a non disattendere quasi mai le indicazioni di Omero».

L’aeroporto è il luogo da cui si parte ma nel quale possiamo restare vincolati per volere degli dèi. Da un punto di vista testuale “Ulisse. L’ultima Odissea“ sarà la riproposizione dei libri centrali dell’Odissea. «La mia è una traduzione fedelissima di Omero – aggiunge – Non ci sono versi che non siano di Omero tranne uno che è di Giovanni Giudici, un poeta che mi piace molto e a cui ho voluto fare un omaggio. Si tratta di un lavoro diverso rispetto a quello che ho fatto per Sofocle lo scorso anno.

Il teatro di Robert Carsen richiedeva una traduzione piuttosto stilata, precisa, puntuale invece la sensazione che ho questa volta è che sia più utile un testo che sia evocativo intanto perché si tratta di episodi che nonostante seguano un filo narrativo sono un po’ sconnessi e quindi dobbiamo evocare ciascuna di queste storie e poi proprio perché il legame con la musica e la danza richiede, secondo me, una parola più magica. Lo scopo è fare interagire una parola arcaica con una messinscena volutamente moderna. È una Odissea senza Itaca. Penelope è una voce lontana e il momento più lirico è l’incontro con la madre nell’Ade ma non tanto il loro abbraccio ripreso anche da Dante nella Commedia quanto per le parole. Gli dice infatti che non è morta né per una malattia né per altra ragione fisica ma per la nostalgia del figlio».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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