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Il concerto

Al Bano, la Sicilia, il carretto siciliano e il vino: le 4 cose che (forse) non sappiamo

Venerdì 3 marzo, alle ore 21, lo show “E' la mia vita” al Teatro Metropolitan di Catania

Di Simone Russo |

«Nel 1968 feci il mio primo tour in Sicilia, da quel momento ho un legame importante con la Sicilia». Un legame consolidato tra Al Bano Carrisi e la nostra Terra. «In quella occasione – spiega Al Bano – mi comprai un carretto siciliano a Selinunte che ho ancora a casa mia a Cellino San Marco. Ricordo che era il mese di febbraio ma sembrava di stare nel mese di maggio. Un bel periodo, fantastico. Viaggiare in Sicilia, in quell’epoca, mi è sembrato un regalo di Dio. A dodici anni scrissi “Addio Sicilia”, era la storia della sorella di mio padre. Lui mi parlava sempre di lei. Mia zia si innamorò di un siciliano che faceva degli innesti alle vigne a Cellino San Marco, la portò prima in Sicilia e poi andarono a San Rafael Mendoza, in Argentina. Lì crearono una famiglia incredibile. Tanti figli e tanti nipoti. Li andai a trovare per la prima volta nel 1976 e fu una gioia vedere questa immensa famiglia. Nel frattempo, se ne andarono via dalla Puglia per l’Argentina anche un mio zio ed un mio cugino. Avevano creato il nuovo spazio Carrisi a San Rafael Mendoza. In “Addio Sicilia” mi immaginai proprio questo viaggio, mia zia che partiva da Catania e in nave se ne andava in Argentina. Tutto vissuto attraverso i racconti che mi faceva mio padre».

Venerdì 3 marzo, alle ore 21, al Teatro Metropolitan di Catania, grazie a D.M. Produzioni, Ventidieci, Agave Spettacoli e Savà Produzioni, ripercorrerà la sua lunga carriera con lo show “E’ la mia vita”. Cosa succederà sul palco?

«Il pubblico siciliano mi conosce molto bene, sà già cosa succederà su quel palco. Succederà un toccare dei tasti dell’anima ad ognuno di loro, compresi i miei tasti. Creeremo un’atmosfera di una umanità interessante, intensa e percorribile».

Cosa rappresenta la musica nella sua vita?

«La musica è pura medicina. Io dalla medicina buona e positiva non riesco a starne lontano. Ho cominciato a scoprirla già attraverso i canti che mi faceva mia madre quando ero piccolissimo ed ho continuato per quella strada. Nella mia vita ho attraversato dei momenti belli ed altri meno belli ma la musica è stata il mio salvagente, il mio volante».

Nel 1966, per quattro sere consecutive, vinceva con l’applausometro a “Settevoci”, oggi si contano le visualizzazioni sulle piattaforme digitali. La musica è cambiata o è rimasta uguale?

«Uguale no, perchè tutto cambia. Se pensiamo all’origine della musica dobbiamo ricordarci che tutto nasce proprio da quei popoli che si inventavano le canzoni. Le cantavano con il tipico metodo della gente di paese, da lì poi tutto si è sviluppato ed è arrivato il momento del grande Beethoven e del grande Bach. Poi c’è stato il cambio e siamo arrivati a Chopin, Schubert, Mozart, Verdi, Puccini, Mascagni. Da lì Carosone, Modugno e Celentano. La musica è evoluzione ed è lo specchio dei tempi che si vivono. Oggi chi domina la società sente il rumore, la musica di conseguenza si è adeguata ed è un continuo “boom boom”».

Pochi giorni fa è ritornato al Festival di Sanremo, ci si abitua a quel palco?

«Ho perso il conto di quante volte sono salito su quel palco, credo minimo venti. Ogni volta, però, è una carica di adrenalina unica, quello che provo su quel palco non lo provo da nessun altra parte. Una emozione intensa che si vive solo al Festival di Sanremo».

Super ospite insieme ai suoi amici Gianni Morandi e Massimo Ranieri, si aspettava questo regalo da Amadeus?

«L’ho considerato un grande regalo, finalmente Gianni si è deciso. Ne parlavamo da 27 anni, finalmente si è deciso. Qualche mese fa mi ha chiamato Amadeus e prima di sentire la canzone che volevo presentare in gara mi ha fatto la proposta. Ho risposto che questa era la mia proposta, già fatta gli anni scorsi a Gianni. È stata una grande gioia, un grande regalo. Sognavo quel momento, non avrei mai immaginato di farlo a Sanremo ma è capitato lì. È stata una gioia indescrivibile».

Nonostante un successo mondiale, non ha mai abbandonato la sua Terra, dove tra l’altro “nasce” anche il suo vino esportato in tutto il mondo. Come mai questa passione?

«Sono nato in una famiglia di contadini, ho sempre visto fare il vino. Da giovanissimo feci una promessa a mio padre, gli dissi che sarei partito ma che sarei tornato per fare una cantina ed il primo vino avrebbe portato il suo nome. Così è stato, il “Don Carmelo”. Lui non ci credeva, ma quando è arrivato quel giorno, nel 1972, si è emozionato tantissimo, forse, più del grande successo di “Nel sole”».

A maggio spegnerà 80 candeline, quattro volte 20, cosa si augura per i prossimi venti?

«Sono sempre stato un elemento molto positivo, come un buon contadino le erbacce so come vanno tolte. Quindi sarà una prossima primavera, da vivere, da distribuire e da condividere».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA