Cannes: la Palma d’oro a Titane, il thriller infernale oltre i tabù

Di Francesco Gallo / 17 Luglio 2021

 Horror-thriller infernale che non guarda in faccia a nessun tabù, con dentro l’eterno ermafrodito, il sesso con le macchine e dentro le auto, la pratica crudele della mantide religiosa, gli steroidi, una gravidanza piena di olio motore con tanto di musica sacra in sottofondo. Va a Titane di Julia Ducournau, alle spalle un esordio con Raw, la Palma d’Oro del 74/o Festival di Cannes. 
 Tutto parte con un irrequieto ragazzino che, agitandosi nel sedile posteriore, provoca un incidente d’auto. Lo ritroviamo poi con la faccia sostenuta da una protesi in titanio prelevato dai doganieri all’aeroporto. Sostiene di essere Alexia (Agathe Roussel), scomparsa da bambina dieci anni prima, ma ora è bellissima e sexy. Balla divinamente e divinamente conquista, uomini e donne per lei pari sono, e uccide con il suo lungo ferma capelli. E poi nel film della Ducournau, spogliarelliste che si dimenano su super auto, corpi mutilati, incendi, danze estatiche e travestimenti. Se Alexia, lo si capisce subito, non sta troppo bene, questo vale anche per il padre Vincent (Vincent Lindon) capitano dei vigili del Fuoco sempre alle prese con il suo corpo (si riempie di steroidi perché si sente vecchio). Quando arriva da lui quello che crede il figlio lo arruola nella squadra, lo fa partecipare come fosse uno degli altri suoi allievi. L’amore di Vincent per il figlio non cambierà neppure quando scoprirà che è una figlia ancora più folle di lui. 
 Per la Ducournau, regista appassionata del corpo, Vincent Lindon e Agathe Rousselle si sono dedicati a un super allenamento: «Il loro coinvolgimento – ha sottolineato la regista – va oltre la sceneggiatura perché hanno avuto un anno intero per prepararsi. Bodybuilding per Vincent, danza e lotta per Agathe.» Alla regista è «sempre dispiaciuto che non si possano sentire gli odori in un film. Quello che mi piace – ha spiegato – è il lato organico di un’opera e questo si può avere mostrando, ad esempio, una stanza disordinata o filmando i capelli di un personaggio. Ci sono odori che emergono da queste immagini perché ci avvicinano a un’esperienza sensoriale che conosciamo. È qualcosa su cui ho lavorato sin dal mio primo cortometraggio». 

Pubblicato da:
Fabio Russello
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