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Cannes, la gaffe di Spike Lee che “spoilera” il vincitore della Palma d’Oro

Da presidente della giuria ha svelato con ampio anticipo il verdetto 

Di Redazione |

 Una Palma d’oro storica, andata al film estremo e spettacolare Titane della francese Julia Ducournau, la seconda regista premiata nella lunga storia del festival (la prima Lezioni di Piano di Jane Campion, 28 anni fa) ha chiuso il 74/o Cannes. Spike Lee, presidente della giuria, ha lasciato il segno: sia nel Palmares con il verdetto epocale e sia per la gaffe fatta ad inizio della cerimonia, che poi da quel momento è stata vissuta sotto choc da tutti: l’artista nero, all’inizio delle premiazioni, anziché annunciare il primo dei premi si è fatto sfuggire a bassa voce, ma a microfono aperto, 'la Palma d’oro è Titanè. La platea, anche quella della sala riservata alla stampa, è rimasta incredula, forse qualcuno ha pensato ad un gioco, altri non si capacitavano e pensavano che niente era stato pronunciato. Ma proprio perché i rumors davano favorita proprio quella pellicola, la vicenda era credibile. Fatto è che l’annuncio era prematuro e Spike Lee da quel momento non si è più ripreso e la serata si è trasformata abbastanza in un caos anche un pò tragicomico in cui l’emozione dei premiati era mitigata da risatine sottintese dalle parti dei giurati, con Melanie Laurent che quasi non riusciva a riprendersi e a mantenere l’aplomb.   Spike Lee, con un abito dipinto alla Magritte con sfumature rainbow molto Lgbt, ne stava combinando un’altra proprio al momento della consegna della Palma d’oro che stava annunciando di nuovo mentre toccava alla divina Sharon Stone luminosa in bianco dire la frase ispirata prima di pronunciare il titolo Titane. «Devo fare le mie scuse a tutti, ai miei colleghi, al festival e anche agli artisti a cui batteva il cuore per il pasticcio che ho combinato», si è poi scusato incontrando la stampa. «Dovete sapere che io adoro lo sport e quando finisce una partita la prima cosa che annunci è il risultato. Per questo sono andato troppo in fretta verso il finale».   Ma la gaffe assurda (pari solo a quella degli Oscar quando Warren Beatty confuse le buste nel 2017 e annunciò per sbaglio come miglior film La La Land anziché Moonlight) non deve far passare in secondo piano il valore storico del premio ad una donna. «Il mio film non è perfetto, qualcuno dice che è mostruoso», ha detto la regista, parigina, 37 anni che nel 2016 si era già fatta notare con Raw Una cruda verità. «Ma la mostruosità che attraversa il mio lavoro è una forza che rompe la cosiddetta normalità. Grazie alla giuria, ha accettato un mondo più fluido e inclusivo», ha aggiunto mentre sul palco veniva raggiunta dai protagonisti del film potente e transgender, con Agathe Rousselle nei panni di una creatura straordinaria e Vincent Lindon in quelli di un pompiere bodybuilder.   Momenti di emozione per la standing ovation a Marco Bellocchio, palma d’oro d’onore. Il regista piacentino di solito mantiene un certo distacco, ma certo che gli oltre 2000 della sala Lumiere in piedi per lui con fragorosi applausi lo hanno fatto cedere agli occhi umidi almeno per un momento. «Non ho più nulla da dire, da aggiungere», ha detto Paolo Sorrentino gli consegnava il riconoscimento. «Voglio condividere il premio con miei figli Pier Giorgio e Elena, il produttore Simone che è quasi un figlio adottivo e il grande Michel Piccoli che voglio assolutamente ricordare», ha detto citando insieme a Piccoli anche Anouk Aimee che furono premiati per il mio Salto nel vuoto nel '79». Sorrentino ha avuto per " il più importante e giovane regista che abbiamo in Italia» parole affettuose, e non solo: «è tutto quello che un regista dovrebbe essere: appartato, discreto, lontano dall’egocentrismo, curioso dell’altro. E quello che mi rende curioso in maniera morbosa nei suoi confronti, è la sua sotterranea inquietudine. Perché, a mio parere, è questa inquietudine che rende grande il suo cinema. Fare grande cinema è il risultato di una lunga guerra che un autore ingaggia con sé stesso».   Con un palmares che ha escluso molti nomi altisonanti (da Audiard a Moretti, da Ozon a Anderson), premiando film di tutte le latitudini come Compartment n.6 del finlandese Kuosmanen, An Hero dell’iraniano Farhadi (Ex aequo Grand Prix), il giapponese Drive My Car di Hamaguchi, Haberech dell’israeliano Lapid, Memoria del tailandese Apitchapong Weerasethakul e poi ancora per l’americano indipendente Nitram di Kurzel per il migliore attore Caleb Landry Jones e la norvegese Renate Reinsve per The Worst person in the World di Trier, si è chiusa una 74/a edizione audace sotto molti punti di vista, a cominciare dall’emergenza sanitaria in cui siamo ancora dentro.

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