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MARRANZANO WOLRD FEST

Contastorie e cantastorie di Sicilia, la narrazione continua ancora: ecco come

La tradizione è ancora viva nella nostra terra e capita spesso he coppie di sposi chiedano di mettere in versi e musica la storia del proprio amore

Di Pinella Leocata |

Quest’anno il Marranzano World Fest, di cui è direttore artistico Luca Recupero, indaga il confine tra narrazione e canto e dunque si sofferma anche sui contastorie e cantastorie di Sicilia le cui narrazioni performative sembrano continuare ancora oggi persino nelle forme del rap e dell’hip hop.

La narrazione è parte integrante della vita dell’uomo. L’homo sapiens – come ha spiegato il prof, Sergio Bonanzinga dell’università di Palermo nella conferenza-concerto tenutasi a Castello Ursino – si è evoluto circa 400.000 anni fa e fino alla scoperta dell’agricoltura, avvenuta solo 10.000 anni fa, si dedicava esclusivamente a muoversi, raccogliere il cibo offerto dalla natura e a cacciare gli animali per nutrirsene, esperienze che poi venivano raccontate la sera attorno ad un fuoco. E quelle più importanti e rischiose si trasmettevano di generazione in generazione con sempre nuove varianti e dettagli.

Sappiamo che i nostri antenati vivevano in simbiosi con l’ambiente e che credevano che la natura, gli animali e le piante fossero dotati di propria autonomia. Di qui la loro rappresentazione nelle caverne, veri e propri santuari dove stabilivano un’alleanza con l’ambiente. In questi spazi suonavano e cantavano, come si deduce dalle tracce di percussioni ritmiche lasciate sulle pareti e sulle stalagmiti. E, del resto, nulla sappiamo neppure della musica dei greci e dei romani. La narrazione, dunque, è un momento iniziale, fondativo, dell’umanità di cui si hanno testimonianze scritte e precise solo a partire dall’800. 

I contastorie e i cantastorie si distinguevano perché i primi usavano solo la voce e il corpo, oltre ad una spada e ad una pedana di legno su cui battere il ritmo, mentre i cantastorie usavano anche i cartelloni illustrativi e la musica. Le parlate erano differenti nelle varie aree della Sicilia, come hanno ben spiegato Leonardo Vigo di Acireale e Corrado Avolio di Noto. Il “cuntu” si caratterizzava per un’intonazione precisa, per un modo particolare di declamare il testo che unisce l’ultima sillaba di una parola alla prima della parola successiva. Una tecnica definita “scansione imitativa” perché attraverso il ritmo rende l’azione che si svolge anche quando non si capisce esattamente il senso delle parole. 

Altra differenza tra contastorie e cantastorie era il repertorio. Quello dei primi era dedicato solo alle storie cavalleresche del ciclo carolingio, alle storie dei Paladini di Francia, mentre quello dei cantastorie era più ampio e includeva anche leggende e storie sacre. Queste ultime, a Palermo, erano esclusiva dei cosiddetti “orbi”, riuniti in una confraternita, e i loro cunti sacri dovevano passare il vaglio e la censura dei gesuiti che sapevano bene quanto la narrazione cantata fosse un potente mezzo di indottrinamento delle masse. Questa pratica pone alla ribalta il complesso rapporto tra oralità e scrittura. Molti contastorie si basavano solo su tradizioni orali, ma alcuni “cunti” originavano da testi scritti poi ritrasformati e modificati e così tramandati di generazione in generazione. Basti pensare che Salvatore Salomone Marino ha rintracciato ben 360 varianti del canto della baronessa di Carini. 

Nel corso della conferenza-concerto hanno dato emozionante esempio della tecnica declamatoria dei cantastorie alcune registrazioni di “cunti” di Ciccio e di Nino Busacca, e dal vivo, i testi di Alessandro Nicolosi e Francesca Busacca (tra i promotori della “Casa del contastorie di Paternò” e dell’associazione dedicata ai fratelli Busacca), di Luigi di Pino – che ha “cuntato” l’eruzione che sconvolse Milo il 24 novembre 1930 – e il diciassettenne Orazio Fausto che ha presentato una sua cantata dedicata a Peppino Impastato. A riprova di quanto la tradizione dei cantastorie sia ancora viva nella nostra terra e in questo terzo millennio. Certo, rispetto all’attività tradizionale, che era corale, manca il rapporto con la comunità, eppure ci sono ancora delle eccezioni. Capita sempre più spesso, per esempio, che coppie di sposi chiedano ad un cantastorie di mettere in versi e musica la storia del proprio incontro e del proprio amore per “cuntarla” ad amici e parenti il giorno del loro matrimonio. 

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