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Stefano Bollani martedì a Milo per beneficenza «La mia musica come atto d’amore»

Di Giorgio Romeo |

«Per i non vedenti la musica è più importante che per tutti noi. Perciò quando mi è stato chiesto di devolvere il ricavato del concerto di Milo per la realizzazione di un campus residenziale per musicisti con disabilità visiva ho subito accettato». Parola di Stefano Bollani, che proporrà martedì 17 (ore 21) nell’Anfiteatro Lucio Dalla di Milo i brani tratti dal suo ultimo lavoro “Que Bom” (Alobar, 2018), un vero e proprio viaggio tra le strade di Rio (con influenze da tutte le musiche del mondo) all’insegna dell’improvvisazione jazzistica. Il grande pianista – che sarà accompagnato sul palco da Jorge Helder al contrabbasso, Jurim Moreira alla batteria e ad Armando Marçal e Thiago da Serrinha alle percussioni – farà anche tappa mercoledì 18 (ore 21.30) al Castello di Donnafugata a Ragusa.

Dieci anni fa in “Carioca” reinterpretavi i classici brasiliani. Oggi in “Que Bom” prendi in prestito quelle sonorità per i tuoi brani inediti. Com’è nato questo progetto?

«Il disco nasce dal mio amore per il Brasile, dalla voglia di tornare a Rio per farmi circondare dalle percussioni – perché il pianoforte fa parte della loro stessa tribù – e dal desiderio di avere ospiti una serie di amici. Con uno di essi, Hamilton De Holanda, suono spesso, mentre è stata la prima volta che ho inciso con João Bosco, Jacques Morelenbaum e Caetano Veloso».

In passato sei stato uno dei pochissimi musicisti ad aver tenuto un concerto in una favela. Com’è andata?«È stata un’occasione unica per mettere insieme la gente dalla favela e gli abitanti della città di Rio. Si tratta di due popolazioni divise: basti pensare che una può farsi aiutare dalla polizia mentre l’altra, non essendo iscritta all’anagrafe, deve stare molto attenta perché quando la polizia entra nella favela sa già che sparerà. La musica a volte compie delle piccole magie»

Che ruolo ha la cosiddetta “saudade” in questo disco?

«È chiaramente presente, anche se il clima generale è piuttosto gioioso. La “saudade” è una costante di molte culture che si affacciano sul mare, dal fado portoghese alla canzone napoletana. Diciamo che in un certo senso fa proprio parte di noi».

A proposito di canzone napoletana. C’è un filo rosso che in qualche modo collega la città partenopea a questo nuovo lavoro? Come è nata “Nebbia a Napoli”?

«A volte certe cose vengono fuori in maniera del tutto inaspettata. Ho scritto il testo di questa canzone in Brasile, proprio la sera prima d’incontrare in studio Caetano Veloso. Non era previsto che la cantasse, ma quando l’ha sentita gli è subito piaciuta. Poi mi ha chiesto di interpretare un altro brano in italiano, che aveva pensato lui vent’anni fa quando conobbe Michelangelo Antonioni».

Il disco è quindi anche un omaggio al cinema?

«Come Caetano, anche io sono un appassionato. Anche “Uomini e polli” è una citazione cinematografica. Sarebbe la traduzione italiana di “Mænd & høns”, un film di Anders Thomas Jensen, mai uscito in Italia».

Di cosa parla il film?

«Racconta in maniera apparentemente seria l’incontro tra cinque fratelli figli dello stesso padre, ma di madri diverse. È un film pieno di trovate divertenti. Jensen è lo sceneggiatore dei drammoni danesi di Susanne Bier, però poi quando è regista conferisce ai suoi lavori un tono molto grottesco, che fa sì che tu rida dall’inizio alla fine di una cosa che è tratta da un argomento estremamente serio».

È questa la leggerezza che cerchi anche tu nei tuoi spettacoli?

«Esattamente. La possibilità di parlare di quello che vuoi, ma affrontarlo con spirito. Credo che questo sia il trucco che mi sono dato anche nella vita».

Parlando dell’improvvisazione hai spesso citato la celebre frase di Thelonius Monk sull’esistenza di errori giusti ed errori sbagliati. Anche questa è una regola di vita?

«Assolutamente: spesso abbiamo un cammino ben preciso in testa e interpretiamo un possibile cambio di direzione come un errore. È necessario invece essere più elastici, in modo da far diventare gli errori delle possibilità. Questo nell’improvvisazione jazzistica è molto chiaro, ma si può applicare anche alla vita: non dobbiamo avere paura di cogliere le suggestioni che modificano i nostri progetti».

Tu sei un divulgatore. Che effetto fa, tra le altre cose essere diventato un personaggio di “Topolino”: Paperefano Bolletta?

«Da appassionato di fumetti ne sono particolarmente contento. Topolino rientra tra i miei personaggi preferiti, in particolare le storie del ’37, del ’38».

Pianista, compositore, scrittore, attore di teatro. Una delle tue caratteristiche è l’eclettismo. Manca solo una mostra di pittura: hai già imparato a dipingere?

«Non ancora. Ci risentiamo fra qualche anno».

Sei stato molto amato anche come personaggio televisivo. Tornerai a fare televisione?

«Penso di sì ma non so quando. Ho in programma una lunga serie di concerti che mi terranno occupato fino all’inverno. Del resto, andare in un posto dove la gente si riunisce affinché tu possa suonare per loro è per me la cosa più bella. E una telecamera non può sostituirla».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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