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Dai ”Treni del gol” al crac della Sigi: così il Catania rischia di sparire

 Entro il  2 gennaio  la cordata  deve versare 600mila euro oppure si arriverà a una fine per certi versi annunciata e forse evitabile

Di Giovanni Finocchiaro |

«Novità?» «Eh, qualcosa sì, ma adesso non posso dire niente. Un treno è alle 15». «E l'altro? Ce ne sono altri due di treni». «Tienimi informato». Quando all'alba del 23 giugno del 2015, dopo aver ascoltato nei giorni precedenti questa telefonata tra il patron del Catania Nino Pulvirenti e il direttore sportivo Daniele Delli Carri, e tanti altri colloqui, la Polizia arrestò patron e altri collaboratori, il Calcio Catania cominciò la discesa verso gli inferi. Oggi rischia di sparire: in sei anni non s'è più ripreso, anche se alcuni tentativi di schiodarsi dalla melma paludosa della Serie C sono stati compiuti. A volte sono falliti per questione di poco: un rigore sulla traversa, un altro calciato fuori. Che jella.

Sette campionati in Serie C, con penalizzazioni pesanti il primo anno (si partì dal -10 subito annullato durante la gestione di Pippo Pancaro sulla panchina etnea: arrivò una riduzione). E mentre il processo sui “Treni” proseguiva tra lo stupore di chi leggeva le intercettazioni e la perplessità sul perchè fu solo Nino Pulvirenti a pagare per tutti, il Catania ha continuato a disputare campionati anonimi tranne che con Lucarelli.

Pulvirenti pagò per tutti, ma non è una ciambella tesa verso il patron plenipotenziario che chiese scusa al suo popolo ammettendo di aver agito ingenuamente per il bene del “suo” Catania. Ma la lista – mai resa nota – di una ventina di calciatori che avrebbero acconsentito ad ammorbidire alcuni risultati (bene cinque gare) perchè non è stata mai presa in esame? Perchè questi calciatori non sono stati mai chiamati in causa? Mai sentiti? Mai condannati? Pagò il Catania, ma soprattutto città e tifosi ne uscirono con le ossa rotte. 

I primi anni di C, quando andavamo in giro per l'Italia meridionale per le trasferte, tutti quanti venivamo accolti al grido di “mafiosi”, “venduti”, “corrotti”. Tutti quanti. E non è stato uno spettacolo edificante. Dalla gestione Pitino, Bonanno, Ferrigno (deceduto l'anno scorso) al ritorno di Pietro Lo Monaco il passo fu breve. E il dirigente campano – dopo gli anni favolosi in Serie A –  fu accolto come un eroe, un salvatore della Patria: «Stiamo risanando i debiti, il Catania è tornato» diceva a ogni conferenza stampa che si trasformava in uno show mediatico. Rientrato il 9 giugno 2016 e accolto come un eroe in qualità di Ad, se ne andò il 29 settembre 2020 tra improperi vergati sui muri della città di Catania. E dopo aver litigato con tutti: tifosi, stampa e ambiente. Restano celebri le frasi «La m… danni, solo danni» riferito alle proteste che non tollerava e ad altre diatribe che portava avanti a suon di parolone e parolacce.

La Sigi entra in scena nel gennaio 2020 quando comincia a diffondersi la voce di un interesse del gruppo di professionisti etnei pronti a rilevare il Catania. Storia affascinante ma anche controversa se è vero che il 3 gennaio venne costituita una società composta da Fabio Pagliara, Antonio Paladino, Maurizio Pellegrino, Girolamo Di Fazio che il 20 maggio diventa Sigi e comincia a trattare l'acquisto del Catania. 

Ma ecco l'imprevisto: il 10 luglio alcuni elementi della Sigi vengono coinvolti da un'indagine della Guardia di Finanza. L'operazione, denominata “Fake Credits”, porta in manette proprio il commercialista Antonio Paladino, considerato il leader dell'operazione Sigi. Dunque la cordata rinomina il Cda e il 23 luglio si aggiudica l'asta competitiva, in Tribunale, rilevando le quote del Calcio Catania oltre a Torre del Grifo Village.

Il resto è storia recente. La trattativa con Joe Tacopina è durata fin troppo. Il 26 aprile la data del closing per il passaggio di consegne dopo una firma preliminare, decade. Scoppia una polemica tra Sigi e l'imprenditore che vira sulla Spal diventando eroe perduto per una parte di tifoseria, oppure alla stregua degli altri pretendenti che poi hanno lasciato perdere. Ma veramente qualcuno credeva che Tacopina fosse così ingenuo da farsi infinocchiare da chiunque? Valutazione errata. Dall'altra parte c'è anche da dire che l'avvocato se avesse voluto comprare il Catania avrebbe messo i soldi sul tavolo – come aveva già cominciato a fare – ma è anche vero che i debiti erano talmente tanti da non poter condurre una trattativa a cuore leggero, senza leggere ed esaminare ogni particolare.

Si arriva all'estate scorsa con l'iscrizione alla squadra che resta in bilico fino al 28 giugno. Servono 800 mila euro dalla città per iscrivere la squadra. Il resto lo versa Sigi. L'avv. Ferraù, presidente Sigi, lancia l'appello: «Uniamoci nell'ultimo disperato tentativo». Arriva la certezza dell'iscrizione in Serie C dopo una raccolta popolare in città che coinvolse persino i tifosi, capaci di raggranellare 134 mila euro in men che non si dica. Un'operazione senza precedenti, quasi commovente. C'è chi riesce a portare a casa il pane a stento ma versa la propria quota per le possibilità che ha. Viene scongiurato il fallimento per il secondo anno di fila, almeno così sembra. 

Ma arrivano altri imprevisti. Ad agosto non viene pagato lo stipendio di giugno per un pignoramento da 250 mila euro preteso e ricevuto da un ex dirigente. La squadra sarà penalizzata di due punti. Anche la seconda scadenza diventa un problema per la Sigi: pagato il mese di luglio, non sono stati onorati per tempo agosto e settembre. I giocatori mettono in mora il club ma la mossa viene scongiurata col pagamento dei due mesi, seppur in ritardo. I quattro punti in meno arriveranno presto, ma intanto Sigi deve rispondere alla convocazione del tribunale per dell'udienza prefallimentare in Procura (21 dicembre) nel corso della quale la Sigi avrebbe dovuto presentare un piano industriale dimostrando con la ricapitalizzazione una continuità di gestione. Si arriva al prossimo passo, il 2 gennaio. Senza 600 mila euro versati, sarà la fine dei giochi. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA